Dal 14 al16 ottobre la poschiavina Ursina Lardi reciterà a Milano “Everywoman”, ispirato a “Jedermann” di Hugo von Hofmanstahl. Un onore per lei, ma anche per Il Piccolo Teatro. Abbiamo raggiunto telefonicamente Ursina nel suo “buen retiro” immerso nelle foreste del Brandenburgo.
Nel 2020 e nel 2021 abbiamo vissuto il Teatro in modo intermittente. Chiusura ad inizio anno e poi Lei è andata in scena con “Everywoman” con la “prima” il 19 agosto 2020 al festival di Salisburgo. Quindi a Berlino il 15 ottobre 2020. E poi basta. Ora si è ripartiti, speriamo definitivamente. Come ha vissuto questi terribili periodi di forzata stasi?
Dal punto di vista professionale ho avuto abbastanza fortuna. Non ho lavorato solo nel primo lockdown. Siamo invece riusciti ad andare in scena appunto a Salisburgo e a Berlino. Successivamente quando sono stati chiusi i teatri, non è successo con i film: infatti ho potuto girare tre film. Io quindi non ho sofferto, a differenza invece di tanti colleghi: esistenze che hanno giusto sofferto molto, gente che si è rovinata.
Dal 14 al 16 ottobre sarà a Milano al Teatro Strehler, la sala maggiore (e più prestigiosa) delle tre che formano il Piccolo Teatro di Milano. Sarà il primo e il principale spettacolo internazionale ospite della prima parte della stagione del teatro milanese. Con che spirito affronta questo impegno?
Per me è una fortuna, un onore, un piacere. Noi con la Schaubühne viaggiamo molto, però ci sono dei luoghi speciali… Parigi, Mosca e adesso Milano. Era un sogno, mi rende felicissima.
A Milano reciterà in tedesco con sopratitoli in italiano...
Noi viaggiamo molto in tutto il mondo e recitiamo sempre in tedesco con sopratitoli nella lingua locale. Quando sono in scena da sola cerco di usare anche in piccola parte la lingua locale, sempre che la conosca. Ecco a Milano inizierò appunto in italiano. È la prima volta che recito in italiano a Teatro, mentre nei film mi è già capitato. A novembre girerò per dieci giorni a Torino e reciterò in italiano (ma ho anche cominciato a girare in francese). Ho vissuto a Poschiavo (Le Prese) i miei primi anni e quindi ho cominciato con il dialetto e poi il romancio.

Insomma, Lei si esprime in tutte le cinque lingue federali e tra queste annovero anche il dialetto poschiavino!
Nel quotidiano Repubblica Anna Bandettini intervista Milo Rau, bernese, regista dello spettacolo. Egli afferma: “(Ursina ed io) volevamo lavorare insieme… abbiamo fatto una ricerca… e abbiamo trovato…”. Però la critica teatrale scrive anche: “Scritto da Carmen Horbostel e Christian Tschirner”. Qual è stato il suo ruolo nella genesi dello spettacolo?
No, no, c’è un errore. Il testo è stato scritto da Milo Rau e da me.
Il lavoro dei drammaturghi citati da Bandettini è stato molto importante: tra l’altro Carmen Hoborstel ha trovato la signora che dialoga con me in scena.
Sempre Rau afferma: “Mi rimbalzavano domande sul perché la gente muore sola, perché ci fa paura la morte. Io volevo che ci fosse anche lo sguardo dell’amore verso la morte”. Quanto c’è di amore nello spettacolo?
Sì, c’è amore e c’è tanto rispetto. Il nostro atteggiamento non è per niente cinico, non c’è proprio voyeurismo
Ricordo che in scena con me appare in video la signora Bedau, ammalata terminale per un cancro al pancreas. In fondo la signora è il personaggio centrale.
Forse Lei si sminuisce. Mi pare di capire che il vostro sia un dialogo amorevole e rispettoso. Quindi siete in due…
Sì, esatto, siamo in due. Non è un monologo!
“Eccezionali doti recitative e la radicalità della sua arte”, queste le qualità attribuite a Lei, Ursina, nelle motivazioni addotte dalla giuria del Gran Premio svizzero di teatro / Anello Hans-Reinhart.
Soffermiamoci sulla parola “radicalità”. Questa può avere diversi significati. “Essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice, ma la radice, per l’uomo, è l’uomo stesso”, (Marx, 1843). A me pare che vada molto bene per il ventaglio delle sue scelte drammaturgiche. D’accordo?
Questo mi piace moltissimo (Ursina al telefono ride felice, n.d.r.). Va tutto benissimo e sono proprio felicissima di queste spiegazioni.
Dove, come ha scoperto il Teatro? La Filodrammatica poschiavina le è stata di aiuto? Forse anche a Coira il tradizionale spettacolo annuale delle studentesse e degli studenti?
Sono partita a cinque anni e quindi ho conosciuto la Filo decenni più tardi. Sì, sono stati gli spettacoli annuali a Coira. E lì che mi ha preso la voglia di farlo come mestiere. Decisivo è stato un testo di Peter Weiss Marat Sade dove io interpretavo proprio l’assassina di Marat, Charlotte Corday. Avevo diciotto anni e fu un’esperienza unica.

È ancora “malata” di Teatro, ammaliata dal Teatro?
È stata una buona scelta e ancoro lo amo molto, il Teatro. Come anche il Cinema e la Musica. Ma attenzione suono solo per diletto, serve anche per rilassarmi. In scena no: in “Everywoman” suono Bach e sono invece molto tesa. Se suono e nessuno mi sente è rilassante, invece in scena…
Tornando al termine “radicalità” a Lei attribuito, un altro significato potrebbe essere quello dell’agire in profondità, in modo fermo, rigoroso, di una persona che non svende i propri principi. Può andarle bene?
Capiamoci: interpretando un personaggio faccio di tutto, lì non ci sono i principi. In Teatro scelgo io quello che voglio fare, sono rigorosa e selettiva. Non esiste che io faccia qualcosa perché lo devo far, scelgo solo quello in cui credo. Nei film invece recito ogni tanto anche qualcosa per i soldi, ecco.
Sul sito della Schaubühne (e su YouTube) si trova la sua lettura della durissima lettera della scrittrice Arnie Ernaux contro il “presidente”. Nel nostro caso si tratta di Macron, ma potrebbe estendersi a tanti “presidenti” di qua e di là dall’Oceano, che tollerano o favoriscono oggi politiche terribilmente antisociali. Invettiva ispirata da quella famosissima scagliata negli anni Cinquanta del secolo scorso da Boris Vian (1) contro i presidenti delle guerre coloniali in Algeria e Indocina. Arte e politica come li vive a Teatro?
Io faccio spettacoli con tema politico, se il tema è trattato in modo complesso e intelligente, vedi per esempio i miei spettacoli “Compassione-La storia della mitraglietta” e “Lenin”.
Non è assolutamente obbligatorio per me che sia un tema politico e comunque l’Arte deve essere libera (1).
“Onoriamo un’attrice estremamente versatile”, ha affermato il ministro della Cultura Alain Berset durante la cerimonia di premiazione sopra ricordata, sottolineando la sua capacità di tessere legami fra facilità e passione, fra leggerezza e radicalità.
Ecco altri elementi: limitiamoci a passione e leggerezza. Li trova appropriati al suo lavoro?
Ma questo è troppo bello: in questo momento non me lo ricordavo così. Sarebbe quello che… è l’ideale per me.
Da ultimo: progetti in gestazione?
Del film a Torino ho già detto, aggiungo che da gennaio preparo uno spettacolo ancora per il Festival di Salisburgo con la regia di Thorsten Lensing e fra un anno farò la quarta opera con Milo Rau: sarà Fedra (a modo nostro).
Arrivederci a Milano giovedì prossimo e forse in Valle…
- A proposito di libertà dell’Arte e dunque senza censura, giova ricordare che, come ha scritto Annie Ernaux e come recita Ursina Lardi, la canzone “Le desérteur” di Boris Vian è censurata alla Radio, così come “Orizzonti di gloria” di Stanley Kubrick fu censurata, sempre in Francia “grazie” all’Armée, per decenni.
Piergiorgio Evangelisti