Matteo 4,18-22
Sermone del 16 gennaio 2022
I culti vengono registrati e si possono riascoltare al seguente nuovo indirizzo:
https://diretta.riformati-valposchiavo.ch
“Chi sono i discepoli oggi?”. Per rispondere a questa domanda, bisognerebbe essere uno di loro. Ma chi se la sente, senza esitazione, di dirsi cristiano? Non è un caso che in tutte le chiese il culto inizi con la confessione dei peccati, cioè con l’ammissione, da parte dei cristiani, che la loro vita non è all’altezza del nome che portano e che devono essere perdonati in quanto insufficienti. Come diceva il teologo danese Sören Kierkegaard: nessuno è cristiano, anche quelli che si considerano tali possono solo dirsi “aspiranti cristiani”.
“Chi sono i discepoli oggi?”. Si potrebbe rispondere dicendo che il discepolo è una replica vivente di Gesù. Lo diceva già l’autore della prima lettera di Giovanni: “Chi dice di dimorare in lui, deve camminare anch’egli come camminò lui.” (1 Giovanni 2,6). Dunque, per sapere chi è il discepolo devi sapere chi è il Maestro, e quindi parlare di lui, e raccontare la sua storia.
“Chi sono i discepoli oggi?”. Potremmo rispondere parlando dei primi discepoli di allora, dei Dodici, così come ce li presentano i quattro evangeli: uomini che hanno seguito Gesù abbandonando le loro case e le loro famiglie, ma che poi non lo hanno capito. E non solo non lo hanno capito, ma si sono addormentati quando avrebbero dovuto vegliare, lo hanno abbandonato quando avrebbero dovuto stargli vicino, lo hanno rinnegato quando invece avrebbero dovuto confessarlo, sono fuggiti quando sarebbero dovuti restare: Gesù non è stato crocifisso tra due discepoli.
“Chi sono i discepoli oggi?”. Sono sempre ancora uomini e donne che seguono Gesù, costretti a rendersi conto che il discepolato è un’avventura più grande di loro. Sono uomini e donne come quelli descritti nei vangeli: non sono campioni della fede e neppure di umanità, spesso non brillano né per intelligenza spirituale né per coraggio morale, e se alla fine possono ancora portare il titolo di discepoli è solo per un dono generoso, un benevolo riconoscimento.
Alla domanda “Chi è il discepolo” possiamo dire due cose: il discepolo è innanzitutto una persona che ha ricevuto una chiamatao, e in secondo luogo un itinerante.
Primo aspetto: il discepolo è un uomo o una donna che è stato chiamato e non può sottrarsi a quella chiamata, non può fuggire come tentò invano di fare Giona, o l’autore del Salmo 139, il quale ammette: “Dove potrei andarmene lontano dal tuo Spirito, dove fuggirò dalla tua presenza? Se salgo in cielo tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoti là”.
Nella Bibbia nessuno si mette con Dio di sua iniziativa: sono tutti chiamati, da Abramo in avanti, attraverso Mosè, i profeti, Giovanni Battista, i Dodici, l’apostolo Paolo. Sono tutti stati chiamati, uno ad uno. Come dice Gesù, nel vangelo di Giovanni: “Non siete voi che avete scelto me, sono io che ho scelto voi” (Giovanni 15,16).
E perché mi chiama? Non per quello che sono, per le mie qualità intellettuali o morali o spirituali. Non saprai mai perché sei stato chiamato. Forse per quello che sarai, per quello che Dio farà di te. Forse neppure per questo, ma soltanto per quello che Dio è: grazia immeritata e incondizionata.
Ecco chi è, oggi come allora, il discepolo di Gesù: una persona chiamata che ubbidendo alla chiamata si mette in cammino e conosce chi è colui che lo chiama. Il discepolo di Gesù non sa prima chi è Gesù, lo saprà dopo, cammin facendo.
Secondo aspetto: accanto alla vocazione, c’è l’itineranza. Il discepolo non è seduto ai piedi del Maestro, è in piedi e gli va dietro. Non è solo colui che impara, è anche colui che cammina. Un tratto caratteristico del Dio della Bibbia è costituito dal fatto che egli fa muovere le persone, non le lascia dove sono. Abramo deve lasciare il suo paese e la casa di suo padre e partire per una terra lontana e sconosciuta. Anche il popolo d’Israele, schiavo in Egitto, deve partire: il viaggio sarà lungo, travagliato; quelli che partono non arriveranno alla meta, non entreranno nella terra promessa; neppure Mosè potrà entrarci, pur vedendola dall’alto del Monte Nebo prima di morire. È come se fosse più importante partire che arrivare.
Il discepolo è uno che parte: non sa dove arriverà, né quando arriverà e neppure se arriverà, come Mosè, che non è arrivato. Non è un salto nel buio, ma un affidarsi alla promessa – anche se la promessa non ha ancora dei contorni nitidi. Anche Gesù, quando dice al discepolo: “tu, seguimi”, non precisa dove lo porterà, perché non si sa prima dove il viaggio ci porterà. Ma il viaggio vale almeno quanto la meta.
È significativo il fatto che Gesù abbia detto: “io sono la via” e non “io sono la meta”. Non per niente il primo nome della religione cristiana fu “la via”. Il cristianesimo è una via, non un traguardo. Il traguardo è Dio, Gesù è la via verso Dio e il discepolo percorre questa via. Ecco dunque chi è il discepolo di Gesù: non un uomo arrivato, ma un uomo partito. Un uomo, una donna che Dio ha messo in movimento.
Essere discepoli di Gesù, limitandoci all’essenziale, significa: rispondere a una vocazione ed essere in movimento. Dopodiché potremmo dire anche che un discepolo, una discepola, fa delle cose. E in particolare fa tre cose: crede, spera, ama.
Ma questo sarebbe un altro sermone, e dunque per il momento mi fermo qui.
Pastore Paolo Tognina