Per il Giorno della Memoria: i morti a Campocologno

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Dal diario di Simone Evangelisti (1).
“Campocologno, 23 settembre 2019.

Lascio la macchina al parcheggio del vecchio distributore (mi affiorano i ricordi dell’infanzia, i dolciumi sul bancone, Sugus, teste di moro dal metallo dorato etc. etc. e il saluto sempre gentile del gestore, il fascino dell’elettronica del negozio). La strada me la indica un vecchio articolo di Andrea Tognina che aveva lasciato alcune briciole, come nella favola, o un piccolo filo di Arianna. Passo i binari e arrivo al piccolo cimitero: mi fermo prima di entrare e respiro. Mi aspetta un lungo viaggio, nel tempo. Entro in punta di piedi nel Campo dei morti di un piccolo comune alla ricerca di un povero soldato greco morto (senza che la famiglia lo sappia, e la sua anima è ancora qui fermata in questi boschi che non “sentono” del profumo dei suoi pini marittimi) e di Vittoria. Non so che faccia abbia Vittoria, vorrei vederla almeno questa volta (ma ci vorrà tempo prima averla davanti ai miei occhi, come la vedo ora di profilo sul mio computer). Cerco tra le tombe e mi affiorano immagini di tombe ebraiche con sassolini, ma forse qui non è possibile, siamo in un cimitero cristiano. Trovo solo i nomi della piccola comunità di Campocologno (famiglie che si intrecciano tra di loro, con qualche eccezione, prima di svanire). Mi perdo, passo in rassegna tutte le poche tombe, senza speranza ormai. Sento fallire il mio precetto (Zakhòr, dice la Bibbia) l’obbligo della memoria (se fossi religioso direi almeno un Kaddish per questa mia privata e impropria, non sono un parente, Yahrtzeit, commemorazione).
Ma una signora entra nello spazio della memoria, nel cimitero, intendo, e le chiedo se conosce la storia di quella donna morta durante la Seconda guerra mondiale sui monti di Campocologno, e lei mi dice di sì, che la madre le aveva raccontato delle urla dei poveri bambini ma non mi sa indicare la tomba: mi dice di chiedere al parroco. Poi verrò a sapere che le tombe vengono smontate e probabilmente la famiglia avrà avuto indietro la sua lapide.

Simone, aggiungi qualche elemento in più sulla vicenda di Vittoria Liebmann, la sfortunata donna…

Mi rifaccio a quanto scritto da Luciano Ascoli, il figlio della donna, nel suo saggio autobiografico “Tu vil marrano” (2).
Egli così descrive quello che avvenne la notte del 2 dicembre del 1943: «Dinanzi a noi si ergeva la montagna, che di lì a poco cominciammo ad aggirare verso sinistra mia sorella sbuffava sotto il grosso zaino, gli altri tacevano, io procedevo tranquillo durò tutto un attimo. Un improvviso rumore di sassi e di terra smossi, e poi un tonfo sordo e cupo come di balzi, prima vicini, poi sempre più lontani e in basso. E a quel punto la voce di mio padre: “E’ caduta la mamma”. Non ci fu il tempo di fermarsi. Ci dissero di andare avanti perché eravamo nella terra di nessuno, dove i contrabbandieri temevano l’arrivo delle guardie naziste con i cani. Il giorno successivo ci fu la tristissima ricognizione del corpo della mamma».

Il Grigione Italiano del successivo 8 dicembre pubblicò un trafiletto sulla disgrazia (vedi foto sotto). Molto interessanti, immediatamente sotto, le cinque righe. Si parla dei “figli della casa di Giacobbe”, quindi degli ebrei, “che sfuggono de populo barbaro”. “De populo” non è un errore perché il redattore sapeva il fatto suo, ma semplicemente una citazione latina: esattamente del Salmo 114 (recitato anche nel momento culminante del Seder, la Pasqua ebraica). Ma anche di Dante che nella Divina Commedia pone quest’inno sulle labbra delle anime del Purgatorio: «In exitu Israël de Aegypto / cantavan tutti insieme ad una voce…» (Purgatorio II, 46-47). Il salmo biblico, nel suo insieme, è un canto gioioso e trionfale che evoca l’esodo di Israele dall’oppressione degli egizi. Da ultimo: il redattore parla apertamente di persecuzione violenta perpetrata nei confronti degli ebrei “oggi” (nel ’43) da un popolo barbaro (chiaramente i nazifascisti).

Dal Grigione Italiano

Il tragico epilogo della vita di Vittoria Liebmann, ricordato dal settimanale locale, rimase tuttavia nella memoria orale della piccola comunità di Campocologno; solo le accurate ricerche dello storico brusiese Andrea Tognina hanno provato a ricostruire qualche elemento della vicenda, ma la distanza temporale, l’incertezza sull’identità e la mancanza di un qualsiasi profilo biografico della vittima ha creato un vuoto che la rimozione della lapide, a opera della famiglia, presso il minuscolo cimitero ha agevolato. Oltre a ciò, lo status di non ebrea (Vittoria era infatti stata battezzata) ha impedito che la sua memoria sia conservata nei memoriali virtuali delle vittime della Shoah, benché a tutti gli effetti si possa ascrivere a vittima della persecuzione.

Sappiamo qualcosa del soldato greco…

Sì, Demetre Drossos era il suo nome ed era probabilmente un prigioniero di guerra sfuggito ai carcerieri italiani. Ecco, infine, una noticina curiosa riferita a lui, a Vittoria e a Salmen Blauenstein (altro profugo deceduto nella fuga) scritta da Andrea Tognina: «Le fatture, conservate con cura nell’Archivio comunale di Brusio, consentono di rilevare un ultimo dettaglio della vicenda: Salmen Blauenstein e Demetre Drossos furono sepolti in una semplice cassa di legno. Per Vittoria Ascoli invece si fece fare un “cofano verniciato”, con piedi e manette».


  1. Simone Evangelisti è docente di Italiano, Latino e Storia presso l’Istituto Balilla Pinchetti di Tirano. Le sue parole sono parte di una corposa relazione letta durante il convegno internazionale “Transizioni di memoria” a Carpi (15-16 ottobre 2021). Da parte mia aggiungo, se non si fosse già capito, che Simone è mio figlio.
  2. Il libro di Luciano Ascoli è stato pubblicato nel 2002 da Bardi, Roma. Così il Dizionario Treccani spiega l’epiteto “marrano”: In origine, titolo ingiurioso rivolto dagli Spagnoli, durante il medioevo, ai musulmani e agli ebrei convertiti al cristianesimo, passato poi nell’uso letter. ital., soprattutto nei poemi epico-cavallereschi, a indicare chi non osserva le leggi della cavalleria e della cortesia, con il sign. quindi di traditore, fellone e sim.: ah mancator di fe’, marano! (Ariosto). Da parte mia aggiungo che “vil marrano” era usato in qualche testo teatrale ad uso degli Oratori. E da ragazzi era da noi usato quando simulavamo un duello.

5 COMMENTI

  1. Ricordo che da bambino, un mio anziano zio, mi aveva raccontato più volte l’episodio di questa signora di origini ebraiche, in fuga dalla persecuzione nazista, caduta in un dirupo lungo uno degli impervi sentieri del contrabbando. Ricordo perfettamente quel cognome “Ascoli”, che da ragazzino, appassionato di calcio, mi evocava tanto la squadra di quella città. Già allora, e parlo di poco meno di cinquant’anni fa, la tomba non esisteva più, in quanto più volte mi ero fatto accompagnare al camposanto da questo mio zio alla ricerca della stessa, mai però trovata. Sono ora riuscito ad individuare l’ubicazione della tomba grazie ad una telefonata con Valentina Albertini, una lunga vita vissuta a Campocologno e memoria storica di questo paese, che ricorda molto bene i tempi di guerra vissuti quand’era bambina. Valentina mi ha indicato il luogo dove è stata sepolta Vittoria Ascoli-Liebmann, raccontandomi di rammentare bene d’aver partecipato anche al suo funerale, celebrato da Padre Paolo Simonet, frate capuccino, storico e carismatico parroco di Campocologno. Nel rievocare l’episodio Valentina si rammenta ancora le urla udite quella notte al passaggio dei poveri fuggiaschi, specificando approssimativamente anche il luogo dell’accaduto, situato sul versante sinistro della valle (lato Sasso del Gallo). Ringrazio Valentina per la chiacchierata, che mi ha ricondotto a questo episodio che, non fosse stato per il bel contributo di Piergiorgio e Simone Evangelisti (ringrazio pure loro), avrei probabilmente dimenticato per sempre.

  2. Forse è venuto il momento di fare qualcosa in Valposchiavo per condividere di più questa storia (siamo a disposizione). Grazie a vostri interventi si è definitivamente chiarito che lo sforzo profondo di fare memoria (non semplice quando risalire il passato implica la coscienza e l’assunzione della sofferenza e non solo la facile retorica) porta all’agire consapevole nel presente.

  3. Ringraziamo per le pertinenti considerazioni e le preziose notizie contenute negli interventi di Arianna Nussio e di Andrea Lanfranchi.
    Per la situazione odierna ricordiamo quanto si fa da parte delle istituzioni, delle organizzazioni umanitarie e dei cittadini nel mare e nelle isole del Mediterraneo. A cui bisogna aggiungere nelle nostre valli per esempio l’operato dell’Associazione Interventi umanitari Valposchiavo (IUVP), della Caritas e dei soci valtellinesi di Banca Etica che entro il prossimo 11 febbraio raccoglieranno aiuti in denaro e abbigliamento per i migranti momentaneamente insediati sulle Alpi Marittime e Cozie.
    Per quanto successo 80 anni fa riprendiamo una recentissima dichiarazione di Sonia Bombardieri, vicesindaca di Tirano: “Purtroppo ogni giorno, anche dalla cronaca, ci rendiamo conto che l’odio e l’intolleranza non sono scomparsi e il negazionismo trova ancora spazio, specialmente sul web. La consapevolezza della portata dell’orrore della Shoah non è più evidente a tutti, come hanno dimostrato certe manifestazioni di questi ultimi temi con paragoni inaccettabili. L’esercizio della memoria diventa quindi indispensabile per ridare dignità e onore alle vittime e ai superstiti della Shoah, ma anche per noi stessi, per preservare la nostra umanità contro l’indifferenza. Serve interrogarsi costantemente su ciò che accade nel nostro tempo”.
    Concludendo possiamo testimoniare che nel paesino valtellinese in cui abitavamo almeno due persone apertamente mostravano il loro apprezzamento per nazismo e antisemitismo. Riteniamo necessario che un vigile clima civile e democratico impedisca la schiusa delle uova di serpente, parafrasando il titolo di un film di Ingmar Bergman.

  4. Caro Piergiorgio e caro Simone, importante e profondo questo testo!
    Cara Arianna, fai bene ad collegare il passato con il presente, e ricordare che tra il dire e il fare non sempre c’è di mezzo il mare (un’immagine che questo contesto può sembrare inappropriata). Sono membro della Commissione federale della migrazione e non nascondo che malgrado tutti i rapporti con dati, obiettivi, piani di lavoro ecc. provo spesso un senso di impotenza a volte opprimente. La speranza è anche quella dei piccoli gesti (come indicato proprio da Piergiorgio con l’editoriale di inizio anno: le lanterne verdi alla finestra in molte case sul confine tra Bielorussia e Polonia).

  5. Grazie per questo interessante contributo! Conoscevo più o meno la storia, grazie ai racconti di alcune donne anziane di Campocologno.

    Pochi anni fa, quando ci fù l’ondata di profughi proveniente dalla Siria, sia io, sia altri brusiesi, abbiamo sentito i passi di chi, di notte, percorreva i binari della ferrovia in direzione nord. Un mio amico sentì pure un bambino piccolo che piangeva. Personalmente mi colpì molto capire come “la storia” mi passava letteralmente vicina e di come sia più semplice parlarne (e va assolutamente fatto), che agire e partecipare personalmente.
    Per esempio la situazione in Afghanistan di questi tempi è catastrofica, ma i governi e la stampa non se ne curano più di quel tanto. Si fa prima a ricordare gli orrori di 80 anni fa che a impegnarsi per gli orrori contemporanei? La mia bisnonna Pina Pola di Campocologno, rimasta vedova giovane con due figli, una panetteria e un negozio a carico, cucinava, con altre donne, per i profughi. Vorrei anche io almeno poter cucinare una minestra, cosciente di aver la fortuna di essere nata in un paese ricco in tempo di pace!