I giusti

0
743

Cosa c’è in questo essere umano che io cerco sempre ancora di voler capire? Da dove viene quell’impulso che ti fa fare il bene e da dove quello che ti fa fare il male? Dalla coscienza, da quell’imperativo categorico citato da Immanuel Kant che fa agire incondizionatamente come nella tragedia greca di Antigone, classico esempio di obbedienza verso il bene, di non piegarsi all’ingiusto anche a costo della propria vita?

La Giornata della Memoria riporta a questi pensieri. La terribile crudeltà dell’Olocausto – che significa etimologicamente “bruciare interamente” – svela il male in tutta la sua brutalità. Ma svela anche l’impulso verso il bene che diventa eroico quando il soggetto che lo compie è consapevole di mettere per questo bene a repentaglio la propria vita. Gli esempi documentati di simili eroismi non mancano. A partire dal conosciuto Oskar Shindler e dalla sua lista che ha salvato 1100 ebrei alla meno conosciuta Irena Sendler, che ha salvato 2500 bambini dal Ghetto di Varsavia ed è stata poi torturata dai nazisti, moltissime altre persone non ebree, persone comuni come impiegati, contadini, montanari, proprietari terrieri e di industrie, donne e uomini, hanno protetto i perseguitati sfidando la sorte loro e delle loro famiglie. Definirli eroi non è troppo. Definirli Giusti neppure. Per questo il nome di molti di costoro ha trovato posto in un luogo a loro dedicato a Gerusalemme. Molti però rimarranno sconosciuti, persi nell’anonimità di ottant’anni.  

Resta la domanda, non solo per la Shoah e l’Olocausto ma comune a tutte le guerre, la domanda sulla coscienza intesa come istanza di giudizio e di agire morale. Di cosa nell’essere umano fa “scattare la molla” verso il bene o verso il male. Ed anche la domanda più concreta da porre non solo alle guerre cruenti ma anche a quelle di ogni giorno: perché il male, perché il bene nell’uomo? Perché soprattutto fare il male quando le vittime sono indifese, inermi e non ti hanno mai fatto nulla di male? Rappresentano una categoria come tutto sulla terra, ma fanno parte comune di quel genere umano al quale apparteniamo tutti.

 Un reduce dei campi di concentramento traduce il suo monito ai giovani, senza amarezza, senza acredine, in un semplice: siate buoni, siate giusti, fate il bene, non fate soffrire. Quanto giusto!

Nicoletta Noi-Togni