I cinquant’anni del nuovo monastero (seconda parte)

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Ricorrono cinquant’anni, in questo 2022, da quando le suore agostiniane lasciarono il vecchio monastero per trasferirsi nel nuovo e moderno edificio a Santa Maria. Per celebrare l’anniversario, sabato 10 settembre, alle ore 10.00, nella cappella del nuovo monastero sarà celebrata una S. Messa cui tutti sono invitati a partecipare.
Don Battista Rinaldi, con una narrazione che in questi giorni pubblichiamo in tre momenti, ricorda quanto accadde cinquant’anni fa e come si giunse a quello storico passaggio.


Il monastero vuol essere una strada per condurre a Dio. Perciò chi entra nel monastero si trova subito in un atrio nel quale, tra le altre, vi è la porta che conduce in chiesa. La chiesa è il cuore del monastero, poiché esprime il luogo di quella Presenza, alla quale le suore dedicano la loro vita. Per questa stessa ragione una grande parte della cappella è occupata dagli stalli del coro che le suore agostiniane si sono – a buon diritto – riservate.
L’interno della cappella si alterna in una serie di realtà accoppiate: due parti degli stalli corali scandiscono il ritmo di una preghiera che è soprattutto a cori alterni; c’è l’aula in basso per il popolo e l’aula in alto – una leggera balconata cui si accede per una scaletta nascosta ma che si può raggiungere anche dall’infermeria – per le ammalate; due grandi vetrate (Somaini) il cui disegno si esprime attraverso sfumature contrapposte di rosso e bianco e nero, in un piacevole gioco di colori  che evocano l’intensità, la totalità e la tenerezza dell’amore di Dio, soprattutto come si è manifestato nel dono della vita del Figlio, evocato dalle numerose spine che sembrano trasparire vagamente nel disegno. La stessa sensazione calda e avvolgente continua anche nelle strette vetrate che partono dall’alto e si concludono a livello del coro con dei quadretti in cui i numeri romani in bianco, collocati a due a due su uno sfondo rosso intenso, segnano le stazioni della Via della Croce.
La mensa eucaristica – l’altare è di una mole imponente che ricorda la stabilità delle cose divine – è posta di fronte alla mensa della Parola di Dio, il leggio (per la verità un po’esile rispetto all’altra mensa del pane “dato” e del sangue “versato”): le due mense si richiamano e in qualche modo si completano, così come vuole il documento sulla Sacra Liturgia del Concilio Ecumenico Vaticano II, promulgato da poco, quando fu edificato e inaugurato il monastero.
L’idea religiosa che guida il disegno architettonico della cappella è quella di una corrente di amore e di grazia che dal tabernacolo e dalla mensa dell’altare, attraversa sul pavimento l’intero spazio della chiesa, come per investire chiunque vi si raccolga in preghiera, e continua nei corridoi del convento al là delle pareti che delimitano la chiesa stessa. La Presenza di Dio non può essere contenuta in un luogo soltanto, in uno spazio sacro, essa continua, si incarna e si manifesta anche nei luoghi della vita quotidiana, specie quando sono animati dalla fraternità e dalla comunione. Tutto, allora, diventa spazio sacro.
Il tabernacolo è realizzato in bronzo, sempre dall’artista Somaini. Risponde alla medesima idea, per cui sulla porta è realizzata come una grande ferita da cui prende inizio quell’effluvio di grazia che poi prosegue e ‘irrora’ tutto l’edificio. Questa pioggia di doni della grazia divina diventa fiume a partire dall’Altare, luogo della celebrazione eternamente nuova dell’Eucaristia. Il disegno è stato realizzato mediante un mosaico di marmo bianco, grigio e nero che, partendo dalla mensa dell’altare, scende lungo il lato rivolto verso il popolo in preghiera e corre lungo l’aula della chiesa, sempre più intensificandosi e allargandosi, fino a trasfigurarsi simbolicamente in una raggiera: appunto l’irraggiamento della grazia a partire dall’ Eucaristia.
La realizzazione di questo pensiero è geniale. Chiunque creda nella grazia dell’Eucaristia, come le suore che vedono in essa il fulcro della loro vita comunitaria e la sorgente della grazia che dona pace e salvezza al mondo intero (così la loro Regola, art. 81), comprende quanto possa stimolare sentimenti autenticamente cristiani, un ambiente così ricco di suggestioni.

Particolare della cappella del nuovo monastero

Uscendo dalla chiesa per la porta verso la clausura ci si trova in un corridoio, sempre guidati dai raggi che escono dalla cappella, che offre subito, sulla destra, la porta della sala capitolare del monastero. Per comprendere il significato e l’importanza dell’aula capitolare il lettore deve fare mente locale circa lo scopo principale di un monastero. Coloro che lo abitano costituiscono una comunità di fede, cioè di persone che cercano Dio, il quale è sempre oltre ogni nostra scoperta e conquista. Ma costituiscono anche una comunità di «Sorelle radicate e unite nella carità di Cristo, che si servono scambievolmente, perfezionano con la grazia di Dio i valori della personalità umana e lavorano con tutte le forze per la comunità» (Costituzioni suore Agostiniane, art. 9). Poiché il Signore ha detto nel Vangelo che dove due o tre sono uniti nel suo nome egli è in mezzo a loro (Mt 18, 20), l’aula capitolare è una concretizzazione di questo mandato, una sorta di realizzazione nel nome dell’amore fraterno.
Per il raggiungimento della non facile mèta del vivere fraternamente insieme sono utili i regolari incontri di tutti i componenti della comunità, in tempi e luoghi che variano nelle diverse tipologie di costituzioni monastiche, ma che hanno sempre lo scopo di far crescere la fraternità. L’aula capitolare è destinata a queste riunioni. Perciò in essa vi è soltanto una lunga serie di scanni disposti lungo le pareti, quasi a indicare l’uguaglianza dei diritti e dei doveri, l’assunzione delle medesime responsabilità, la partecipazione alle conquiste e alle sconfitte di tutti.
Durante il capitolo, ordinario o straordinario, infatti, la comunità si esamina per stabilire in quale misura sia autentica la testimonianza di vita cristiana che essa deve rendere, per la sua stessa vocazione, davanti agli occhi di tutti. Deve altresì esaminarsi per conoscere il modo con il quale risponde alle esigenze della chiesa e del popolo in mezzo al quale vive, dandosi correzione di rotta, qualora essa sia necessaria, o comunque sostenendosi con la parola dell’ammonimento e dell’edificazione scambievole.
Nell’aula capitolare le suore prendono comunitariamente anche le decisioni che coinvolgono l’intera loro famiglia o la loro missione. Per esempio, decidono se accogliere o rimandare nuovi membri, se assumere o rifiutare vecchie e nuove proposte di lavoro, si distribuiscono gli incarichi e i lavori, programmano la loro vita sia sul ritmo della giornata sia per l’arco d’un intero anno, affrontano questioni pratiche, che comprendono anche quelle economiche. La storia di questo piccolo gruppo di donne che in Valle si è distinto per una vita tutta al servizio di Dio e dei fratelli, è stata programmata sovente dentro quest’aula e confermata in chiesa nella preghiera comune.
Come in ogni altra famiglia, così ogni singolo componente di una comunità religiosa ritrova il proprio legame profondo nella partecipazione alle gioie, ai dolori, al lavoro, alle preoccupazioni di tutti. Riscopre così gli ideali e i fini del vivere insieme, i vincoli dell’amore fraterno che creano nel monastero il calore della famiglia.
Proseguendo lungo il corridoio, non rettilineo, ma ondulato come le valli montane, quasi al termine, una porta sulla sinistra introduce nel refettorio. Due sono gli scopi ai quali risponde l’ambiente ove si trova la mensa delle suore: dare modo di una refezione sobria e sana, e – sempre secondo le Costituzioni – «occasione propizia per esprimere un sincero senso di fraternità» (Art. 101).
Ovviamente, il primo scopo per cui ci si mette a mensa è quello di cibarsi, ma è interessante notare che anche questo atto diventa un’occasione comunitaria per accrescere il senso della fraternità.
Le suore conservano l’uso monastico – sorto nei conventi già nel secolo IV – della lettura durante il pasto. Un apposito piccolo ambone (bigoncia) è il luogo dove viene letto il brano di un testo sacro, delle Costituzioni o di un libro spirituale. In alcuni giorni e tempi dell’anno liturgico questo avviene durante tutto il tempo dei pasti. Altre volte, normalmente, dopo una lettura iniziale si dà spazio alla conversazione. Così l’unica grande mensa e l’ambone sono i due elementi caratteristici del refettorio monastico, affinché non avvenga – ammonisce Sant’Agostino – che «mentre nutrite il corpo lasciate nella fame il vostro spirito».
Al piano superiore le celle delle monache. Ogni cella è un luogo molto caratteristico. Il monastero prevede lo svolgersi della vita in comune, la cella rappresenta il momento della solitudine e della individualità. Essa serve per il riposo, e perciò vi si trovano il letto, l’armadio a muro e l’occorrente per la vita personale. Ma la cella serve anche per lo studio: ecco allora un piccolo tavolo; serve anche per la preghiera segreta del cuore: ecco allora un inginocchiatoio. Un antico adagio monastico dice: cella, coelum, cioè cella come Cielo.
Chi ha fatto l’esperienza – e sono in parecchi, oggi – di ritirarsi nella quiete d’un monastero e di stare silenzioso in una sua cella, sa quali effusioni di spirito essa rende possibili. In un mondo in cui non c’è più spazio di silenzio, non c’è più modo di dedicarsi a noi stessi, la cella monastica costituisce il luogo che rende ancora possibile l’incontro di noi con noi stessi e dunque – secondo il pensiero agostiniano – con Dio che è dentro di noi.
La cella è il luogo ove la suora ha modo di stare con sé stessa, d’incontrare il Padre che vede anche nel segreto (Mt 6,6); è lo spazio – piccolo ma importante – dove essa può dedicarsi al suo Sposo. È «la camera segreta dell’amore».
Un altro luogo caratteristico d’un monastero è il chiostro, costruzione tipica a tutti nota. Nei tempi antichi, quando i monaci non uscivano mai, il chiostro serviva come passeggio interno e anche come luogo di conversazione o di preghiera. In esso si snodava la piccola processione dei monaci salmodianti, oppure i singoli vi andavano per una preghiera silenziosa e meditativa. Il pozzo che spesso si trovava nel cortile interno del chiostro non era soltanto un elemento ornamentale o utile per accedere alla cisterna dell’acqua, ma anche un fatto simbolico: ricordava che la preghiera e il silenzio sono le sorgenti che alimentano la vita dello spirito.

Nel nuovo monastero il chiostro non è stato realizzato secondo il disegno tradizionale: un quadrato di portici ornato di colonne e capitelli. E tuttavia l’architetto ne ha conservato il significato essenziale e ne ha mantenuto il valore ideale: tutto il corpo del monastero si sviluppa su tre lati; un corridoio quasi a semicerchio interno con ampie finestre, interrotto solo dal vano della sala capitolare, e qualche tratto di porticato esterno, si volgono a sud e danno l’idea d’un abbraccio al silenzio e a un panorama incantevole. Al centro di questo ‘abbraccio’ un verde prato ben tenuto, con fiori e una fontanella dall’ acqua zampillante. Le suore ritrovano così nel loro chiostro i significati di sempre: il silenzio, il contatto con la natura, la pace; tutto quanto è fondamentale per le ascensioni dello spirito.
I monasteri sono sempre più preoccupati di non apparire come dei circoli chiusi, ove alcuni si ritirano dimenticando la presenza degli altri, dando l’impressione di un egoistico ripiegamento su sé stessi. Questa sensibilità viene espressa non soltanto dai nuovi modi di presenza e di lavoro che si vengono escogitando, ma anche dalle stesse costruzioni. Nel nuovo monastero sono state abolite le ruote e le grate del parlatorio – rimane una ruota dal valore simbolico che serve da cassetta della posta nella porta di ingresso – ma i parlatori – i luoghi dove tutti possono incontrarsi con le suore – sono diventati più numerosi e spaziosi, e favoriscono la relazione e l’incontro. Come nei grandi monasteri si è pensato di costruire un piccolo reparto, chiamato “foresteria”, attrezzato di tutto quanto occorre perché l’ospite possa trovarsi a suo agio e anche trattenersi per alcuni giorni. In questo tempo, l’ospite ha modo di godere di quanto il monastero può offrire: il silenzio, la preghiera, l’amicizia. Un contatto che perde ogni superficialità prodotta dalla fretta e offre la possibilità d’una conoscenza più approfondita della vita del monastero.

Don Battista Rinaldi
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