I cinquant’anni del nuovo monastero (terza parte)

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Sono ricorsi cinquant’anni da quando le suore agostiniane lasciarono il vecchio monastero per trasferirsi nel nuovo e moderno edificio a Santa Maria. Per celebrare la ricorrenza e l’anniversario dei cinquant’anni trascorsi dalla dedicazione della cappella, sabato 10 settembre, alle ore 10.00, nella cappella del nuovo monastero sarà celebrata una S. Messa cui tutti sono invitati a partecipare.
Don Battista Rinaldi, con una narrazione che in questi giorni pubblichiamo in tre momenti, ricorda quanto accadde cinquant’anni fa e come si giunse a quello storico passaggio.


Nel nuovo monastero c’è anche una grande sala per riunioni con accesso indipendente. Questo fatto indica che essa è a disposizione di tutti, indipendentemente da impegni diretti all’interno. Qui si possono tenere conferenze, dibattiti, riunioni con gruppi di studio o di lavoro. È un altro dei servizi che gradualmente l’istituzione ha scoperto a favore della gente del borgo.
La chiesa del monastero ha anche la sua nota armoniosa: le campane. Sono collocate in una cella sopra l’ingresso del monastero, che tuttavia non assume le sembianze di una torre, come di solito.  Una voce che scalda il cuore di tutti. Essa è discreta eppure toccante, fievole eppure forte, non dice nulla eppure ridesta molti sentimenti per quel suo scendere inatteso e inarrestabile dall’alto.
Le campane del monastero sono tre, opera della fonderia Eschmann di Rickenbach, presso Wil. Giunte a Poschiavo in giorno di giovedì, furono trasportate nel monastero il sabato seguente. Furono inghirlandate come regine, e mentre venivano trasportate sul luogo per essere issate, tutte le loro altre sorelle, le campane del Borgo e dei paesi vicini, suonavano a distesa, insieme anche a quelle della chiesa dei riformati, in un unico inno di gioia e di festa. La domenica seguente, 20 giugno 1971, furono “battezzate” come si usa dire, e ricevettero il nome: fede, speranza, carità. Ogni campana reca in altorilievo una scritta latina che spiega meglio il suo nome.
La campana Fede si richiama alla domanda fatta dagli Apostoli a Gesù: «Accresci la nostra fede». (Lc 17, 5). E Gesù in risposta disse che sarebbe sufficiente una fede piccola come un granello di senapa per trasportare un gelso dalla montagna al mare. La campana Speranza riproduce il v. 7 del Salmo 31: «Ho riposto nel Signore ogni mia fiducia».
La campana Carità si rifà alle parole della prima lettera di Giovanni (4, 16): «Chi dimora nell’amore dimora in Dio», perché Dio è amore: sono le parole forse più forti di tutto il Nuovo Testamento.
Ben visibile nell’angolo esterno della chiesa del nuovo monastero è una pietra di serizzo con la scritta »Questa sarà casa di Dio» (Gen 28, 22). È il ricordo della prima pietra, ma soprattutto l’evocazione del racconto biblico dove Giacobbe sogna una scala che mette in comunicazione direttamente con il cielo e il giorno dopo riferendosi alla pietra che gli era servita da guanciale durante il sogno pronunciò queste parole. Parole che ben si addicono per indicare il senso dell’intera costruzione.

L’interno del vecchio monastero

Le suore di Poschiavo manifestano in questa nuova realtà una delle caratteristiche della loro tradizione spirituale. Infatti, la Congregazione delle suore Agostiniane di Poschiavo ha avuto inizio nel tempo in cui la valle poschiavina era dilaniata da controversie tra cattolici e protestanti. Nel 1629 alcune giovani umili donne del popolo pensano di unirsi insieme per vivere in conformità al Vangelo e dedicarsi al servizio del popolo. Il gruppo iniziale è di 16 componenti e di 24 nel 1646. Ma quello che qui interessa rilevare non è tanto il crescere del numero di queste donne religiose quanto il maturare della loro vocazione. Le nuove suore venivano dal popolo, continuavano a vestire come il popolo (le distingueva soltanto il velo in testa e il cingolo ai fianchi), non avevano né voti monastici né clausura, e dedicavano il loro lavoro alla gente del Borgo. Questa vocazione è rimasta anche nelle nuove Regole del monastero che dicono: Noi siamo «una comunità di sorelle le quali, nella costante tensione verso Dio, vivono per il popolo e con il popolo» (art. 11). Ci sono in queste parole i due elementi fondamentali della vocazione delle suore Agostiniane. La loro vita è protesa verso il Signore che vogliono sempre meglio conoscere per sempre più pienamente amare. Dice la loro Regola (art. 20): «Dio è degno di infinita ricerca perché è degno di infinito amore». Questo amore si manifesta in molte forme: dalla preghiera al silenzio, dalla castità consacrata a Dio fino all’amore del prossimo. Ma questo amore per il prossimo diventa la maniera concreta e visibile con cui si manifesta il loro amore per il Signore. Le suore vanno dunque verso il prossimo non guidate da intenzioni umanitarie o di beneficienza, ma illuminate da una fede che fa loro scoprire e servire il Signore in ogni persona che incontrano sul loro cammino: il bambino nella scuola, la giovane che lavora o impara a lavorare, il malato dell’ospedale, l’anziano del ricovero, la famiglia che visitano. Nella loro vocazione, la fede guida il loro amore; il loro servizio fraterno rende manifesta la loro fede.
Come spesso avviene nella storia, succede che taluni periodi richiedano che un elemento costitutivo della propria vocazione emerga più di un altro. Così avvenne che la comunità religiosa diventasse, nel 1684, il monastero di Poschiavo, sotto il titolo della beatissima Vergine Maria Presentata al tempio ponendosi sotto la Regola di Sant’Agostino, e che le monache si legassero con la legge della stretta clausura. Questa innovazione significava che le suore volevano dedicarsi più abbondantemente alla contemplazione delle cose divine, cioè alla preghiera, al silenzio, alla meditazione della Parola di Dio, alla vita ascetica.
Senza dubbio, questo è un tornante significativo nella storia delle suore di Poschiavo, ed è un segno positivo della maturazione della loro vocazione religiosa, perché indica che nessun lavoro di donazione al prossimo può reggersi se non è sostenuto da un intenso rapporto spirituale con Dio. E tuttavia la parola clausura indica, nella spiritualità della Congregazione agostiniana, il richiamo alla contemplazione delle cose di Dio che porta non al disimpegno, bensì ad un impegno anche maggiore di amore fraterno. Dice la loro Regola: «Nessuno deve essere tanto contemplativo da dimenticare, nella sua contemplazione, l’utilità del prossimo, e nessuno deve essere tanto attivo da dimenticare la contemplazione di Dio». È vero che, a partire da quel tempo, le strutture del monastero vengono ritoccate: la muraglia che recingeva il convento viene potenziata per garantire la separazione monastica, e con le suore si può parlare ormai soltanto attraverso la grata. Nel documento di ratifica di questa innovazione c’è un inciso che ha l’aria di nulla e che, invece, è molto importante, addirittura determinante per il futuro della vita delle suore. Dice dunque tale documento (latino nel 1684, italiano nel 1689) che le suore di Poschiavo decidevano di vivere secondo la Regola di Sant’Agostino volendo «approssimarsi» sempre di più alla vita religiosa e vivere «con li comuni voti» (di povertà, castità e obbedienza) e «nella clausura» in quanto potessero. Mentre, dunque, sono totali la loro ricerca della vita religiosa e la loro accettazione dei voti, la clausura fu limitata a quanto è compatibile con il loro lavoro apostolico, e – dice ancora il medesimo documento – «secondo le proprie Costituzioni», cioè secondo le decisioni che il monastero, di comune accordo, credeva opportuno di prendere per restare fedele alla sua vocazione originaria.
Il seguito della storia dell’Istituzione dimostra che il monastero è vissuto nella ricerca di essere sempre più interamente dedito alle opere di amore del prossimo. Mentre da una parte la vita del monastero si va facendo sempre più completa ed autonoma sia dal punto di vista spirituale che da quello economico ed amministrativo, dall’altra le suore permangono nel loro ministero: continuano ad insegnare ai giovani e a curare i malati, anche nelle case private; nel 1849 costituiscono una scuola gratuita e senza limitazioni di confessione religiosa per le ragazze di Poschiavo, e l’insegnamento è aggiornato secondo le esigenze dei tempi; nel 1927 costruiscono esse stesse un edificio scolastico; nel 1929 realizzano l’ospedale di San Sisto, ulteriormente ampliato e ammodernato nel 1962 e lo pongono a servizio di tutti i malati della valle di  Poschiavo; nel 1949 danno inizio alla colonia alpina di Buril, in Val di Campo, capace di ospitare una cinquantina di bambini; anche l’ospitalità – antica tradizione monastica –  rientra tra le attività delle suore: in antico essa si esauriva nel colloquio delle monache in parlatorio (spesso diviso dalla grata) con quanti cercavano una parola di fede e di pace: nella costruzione del nuovo monastero si è tenuto conto anche della possibilità che l’ospite potesse condividere maggiormente la vita delle suore, soffermandosi anche per un certo tempo e partecipando alla loro preghiera e anche alla mensa.

Il vescovo di Coira Johannes Vonderach benedice la posa della prima pietra

Come ogni altro istituto religioso, le suore Agostiniane di Poschiavo, vivono dunque nell’amore di Dio e nell’amore del prossimo, servendo il Signore nella fede, nella preghiera e nella dedizione alle sue cose, e facendosi sorelle di tutti.
Sono queste le due dimensioni essenziali e complementari dell’amore cristiano. Questi due volti d’un unico amore costituiscono il primo articolo della Regola di Sant’Agostino, ma prima ancora che da essa, questo amore era stato insegnato da Gesù nel Vangelo, e accomuna le suore anche a coloro che, pur non essendo cattolici, sono cristiani, cioè credenti in Cristo e nell’unico Padre celeste.
Chi vuol comprendere la vita di un convento e l’ideale che sostiene chi lo abita, deve partire da questa fede: tutto è fatto a partire dall’amore, tutto mira a rendere possibile un più grande amore. La cappella e il refettorio, la cella e il parlatorio, la sala capitolare e la foresteria, il chiostro e il giardino sono luoghi destinati a vivere l’amore di Dio e a manifestare l’amore per il prossimo. L’amore, infatti, è la colonna portante di ogni costruzione di pietra, la quale è soltanto un mezzo per rendere più facile la costruzione del Regno di Dio nello Spirito.

Don Battista Rinaldi
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