“Dio il SIGNORE prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse” (Genesi 2,15). Questo passo biblico introduce la sintesi finale del documento sul lavoro approvato dal Sinodo valdese e metodista nell’agosto scorso, che così termina: “Se il Signore ha creato l’essere umano affinché questi si occupi della creazione, auspichiamo che il lavoro torni a essere luogo di espressione della vocazione, cura del mondo e di sé stessi, spazio di realizzazione e di servizio”.
E proprio di qui è partito il direttore del sondriese Centro Evangelico di Cultura nell’incontro dello scorso 7 settembre, presentando la conferenza dal titolo “Il lavoro a beneficio della comunità” e della persona (aggiungo io).
Emanuele Campagna ha presentato il primo ospite, Mauro Del Barba, morbegnese deputato al Parlamento italiano. Ospite, con un passato scoutistico e di amministratore locale, che è stato il promotore di una legge che ha introdotto dal 2016 la forma giuridica di Società Benefit (d’ora in poi SB).
“Benefit” è una parola inglese con diversi significati, per esempio abbinato al vocabolo, sempre inglese, “fringe”, vuol dire benefici accessori, quelli che per esempio un’azienda
offre ai propri stipendiati di alto livello (auto, casa…). No, non è questo il significato che qui ci interessa. Questa parola deriva dal latino “benefactum”, che si può tradurre con “bene fatto”. Insomma, indica la scelta etica di aziende, a scopo di lucro, che vogliono andare oltre l’obiettivo del profitto, e che vogliono massimizzare il loro impatto positivo verso gli individui, la società e l’ambiente.
Introdotta negli Stati Uniti questa definizione aziendale si è diffusa in Italia, come secondo paese, quindi in diversi stati sudamericani, in Francia e recentemente in Spagna. Iniziale attenzione si sta registrando anche in ambienti bernesi.
Le SB, sin dall’atto costitutivo, sono chiamate a esplicitare le finalità di beneficio comune che intendono perseguire. Ne consegue l’impegno alla trasparenza dell’operato, attraverso una relazione annuale concernente il perseguimento del beneficio comune, nonché la valutazione dell’impatto generato. La valutazione riguarda: il governo d’impresa, i lavoratori, le relazioni tra dipendenti e collaboratori in termini di retribuzioni, formazione e opportunità di crescita personale, qualità dell’ambiente di lavoro, comunicazione interna, flessibilità e sicurezza del lavoro. L’analisi investe anche altri portatori d’interesse: fornitori, comunità locale in cui opera, le azioni di volontariato, le donazioni, le attività culturali e sociali, e ogni azione di supporto allo sviluppo locale e della propria catena di fornitura e, infine, l’ambiente, per valutare gli impatti della società, con una prospettiva di ciclo di vita dei prodotti e dei servizi, in termini di utilizzo di risorse, energia, materie prime, processi produttivi, processi logistici e di distribuzione, uso e consumo e fine vita.
Questa la spiegazione dettagliata e partecipata è stata fornita tanto da Del Barba (che è anche presidente di AssoBenefit), che dal correlatore Francesco Mondora, interrogati dal moderatore Campagna e dai milanesi Federico Trombetta, avvocato (dalla sala), e Ferdinando Broggi (da remoto).

E questa la filosofia di Mondora, imprenditore valtellinese, titolare di un’azienda che idea e realizza programmi informatici: ”Ogni giorno ci è donato per comprendere qual è la nostra chiamata interiore: sono segnali, occasioni per capire sempre meglio noi stessi, nello splendore del vivere. Il lavoro ha un posto cruciale nella vita delle persone: se dunque costruiamo organizzazioni che includono la persona nella sua interezza, allora tutti possono veramente mettere a terra l’80% di quello che sono e non solo il 20% che è la parte funzionale che serve al lavoro. Lo spirito delle aziende odierne deve piuttosto essere ecologico, nel senso di un sistema di cui tutti facciamo parte e che mette al centro ognuno di noi. Se cominciamo a ragionare così allora il denaro diventa sì un bellissimo effetto collaterale, perché l’azienda produce qualcosa di più solido, di più grande, che è riconosciuto ed è il vero valore.”
L’azienda Mondora ha una struttura molto fluida. Il lavoro è svolto in gruppi, che ruotano costantemente, “per rispondere al meglio alle varie esigenze lavorative, i ruoli dei singoli possono quindi cambiare. Questo implica una grande responsabilità e maturità, come pure una profonda fiducia nei colleghi”.
Precisa ancora Mondora: “In questo momento siamo completamente decentralizzati, a causa del covid. Di fatto non abbiamo più una sede”.
Un ultimo aspetto considerevole di Mondora. Lui proviene da una famiglia contadina (e a basso reddito). Lui ha coltivato un forte rapporto diretto con il mondo agricolo e con i produttori locali: per quanti entrano in azienda viene acquistata una forma di Bitto Storico (quello che è arrivato nei giorni scorsi a 300 euro il chilo!).