Da parroco di Poschiavo a pastore  di Vicosoprano: preti convertiti alla Riforma nel “nostro”  Cinquecento

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“Il male viene dal nord”: Fulvio Tomizza, scrittore istriano nostro contemporaneo, parafrasando Geremia(1), attribuisce questa definizione ultimativa a Pietro Paolo Vergerio. Istriano anch’egli, quando ancora membro della Chiesa cattolica identificava “il male” con il vento della Riforma. E tuttavia Vergerio si lasciò poi avvolgere e coinvolgere da questo impetuoso soffio. E come tanti convertiti migrò, ironia della Storia, verso i settentrionali territori alpini dove la libertà religiosa era tutelata (in questo caso dalla Repubblica delle Tre Leghe). 

La lezione e l’azione pastorale dei rifugiati per fede, tutti provenienti da sud, finirono per coinvolgere un numero non trascurabile di valtellinesi (fino ad un 10%). E con loro alcuni sacerdoti cattolici locali che, con motivazione varie, aderirono alla Riforma, continuando  il proprio servizio pastorale nella nuova confessione. 

Di questo particolare segmento della comunità religiosa ha parlato Saveria Masa venerdì 24 febbraio nella sede del sondriese Centro evangelico di Cultura. Introdotta e presentata dal direttore Emanuele Campagna, Saveria Masa ha svolto il tema dato (“Da preti a pastori”) con competenza, passione e compassione. La conferenza è reperibile sia su Facebook che su Youtube.

Per capire com’era la situazione dal punto di vista religioso in Valle, persino molti decenni  dopo l’arrivo della Riforma e dei decreti controriformistici tridentini (applicati, come vedremo, tardi e con grande lentezza), ci affidiamo al vescovo Archinti.  

Nel 1615, dando relazione a Paolo V sulla visita pastorale appena compiuta, scriveva: «Nella professione esterna della fede cattolica c’è in loro una santa emulazione; la testimoniano con i beni, la difendono anche con la vita. Ma nelle cose necessarie alla salvezza dell’anima il vescovo notò una grandissima trascuratezza, specialmente negli uomini. Il numero di coloro che non si confessavano da dieci, quindici, venti e più anni non si può contare». E il clero cattolico complessivamente certo non brillava per dedizione alle anime e per «morigeratezza dei costumi».

Vediamo il caso di Sondrio. Bartholomäus von Salis (Soglio), durante i quarantasei anni di arcipretato (1520-66), aveva lasciato il suo gregge in uno stato di deplorevole abbandono. La predicazione era stata ridotta alla Quaresima, molte altre funzioni di culto erano cadute in disuso. L’arciprete, uomo d’arme, quasi mai residente, si era limitato a curare, o direttamente o per mezzo dei fratelli Dietegen e Friedrich, l’amministrazione economica e giuridica della pieve, ambendo piuttosto alla cattedra episcopale di Coira.

In generale due nodi finirono per sconvolgere la vita  di alcuni preti: crisi interiore, dottrinale, a  fronte del ritorno alle Scritture da parte dei riformati e poi la questione del celibato. Dunque crisi personale profonda «considerando anche gli scandali degli abusi sessuali, i problemi connessi all’alto tasso di solitudine e le difficoltà di molti a rispettare la castità» (questo inciso, valido già nel Cinquecento,  appartiene invece ad un’analisi sinodale della Chiesa cattolica tedesca del 2022!). 

Di tutto questo lo storico non può conoscere molto, come ha osservato la relatrice, perché i turbamenti dell’animo non compaiono di norma negli atti notarili.

Qualcosa però emerge. Nel 1582 Giovanni Domenico Robustelli, parroco di Grosotto, «per carnalità aveva deposto l’abito ed aveva preso moglie». All’assemblea comunale volle però dichiarare, con atto notarile, di essere sempre stato onesto e corretto nel suo ministero pastorale. Non mancò però di sottolineare anche «il peso e la gravezza» che la decisione presa comportava per lui.

Tra i pochi che abiurarono, per quello che sappiamo, è stato ricordato il caso di Martino Poncherio, parroco di Poschiavo, che nel 1589 lasciò la tonaca per andare a «predicare ereticamente» (parole del vescovo Ninguarda) in Val Bregaglia a Vicosoprano. Interessante notare che Poncherio era stato istruito e formato nel Collegio Elvetico voluto dal cardinale Borromeo per preparare adeguatamente i preti alla cura delle anime, ma anche per opporsi dialetticamente ai riformati.  

Da ultimo Saveria Masa ha citato il caso di Domenico De Giob, parroco di Castione. Con l’appoggio di due giurisperiti riformati aveva chiesto ufficialmente licenza di sposarsi al governatore grigione di Valle. 

Può apparire questa iniziativa come ingenua e velleitaria in un periodo di grande confusione e incertezza, ma anche potrebbe essere letta come solitaria e dignitosa rivolta, prima interiore e poi pubblica, di persona sensibile che non voleva più accettare di vivere in uno stato di forte ambiguità morale e religiosa: queste le considerazioni finali di Saveria Masa, molto applaudita dai presenti.

Nota (1) “Da settentrione una calamità e una grande rovina”, così più o meno suona l’ammonimento divino (Geremia1.14) nella Riveduta di Giovanni Luzzi.