Calo demografico anche a Brusio: “La soluzione? Vedere opportunità negli ostacoli”

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Difficile proporre una strategia importante e risolutiva, ma le risposte ci sono: bisogna impegnarsi a cercarle e non limitarsi mai ad azioni estemporanee; serve guardare avanti con lungimiranza e sforzarsi di trovare nelle difficoltà del nostro tempo le opportunità migliori per gli anni a venire”.

Se trovare soluzioni immediate é impossibile, il Presidente del Consiglio Comunale di Brusio, Arturo Plozza, non rinuncia comunque a proseguire nel solco delle riflessioni maturate nel tempo, per tentare di arginare uno dei problemi principali del paese e dell’intera vallata.

Il progressivo spopolamento minaccia infatti la sopravvivenza stessa del territorio e delle sue componenti, in un processo ineluttabile che accomuna questo angolo delle alpi ad altri distretti simili.

“Non per niente il nostro Comune ha posto la questione fra sue priorità assolute – ricorda Plozza – avviando tutto le possibili azioni utili alla mitigazione del fenomeno, grazie anche alla collaborazione di gruppi spontanei molto attivi su vari fronti della

comunità, primo fra tutti quello dei servizi alle famiglie e all’infanzia”.

Il risultato è l’innegabile miglioramento della qualità della vita e di tutti gli indicatori di benessere, ma ciò non basta certamente per arrivare ad una inversione di tendenza.

I bambini e i ragazzi, così come i genitori, godono certamente di mille opportunità, ma non si è ancora trovato un modo per invogliare le nuove famiglie a mettere radici qui: i giovani nati in quest’area, come noto, emigrano per motivi di studio e raramente tornano, mentre chi arriva per lavoro preferisce la vita del frontaliere a quella, più dispendiosa, del residente.

“I frontalieri che accogliamo ogni giorno nel nostro paese provengono per lo più dalla vicinissima Valtellina – riprende il Presidente Plozza – e difficilmente vengono a vivere a Brusio dove si guadagna sicuramente di più ma si spende anche di più; oltretutto abbiamo anche un buon numero di case sfitte da tempo o vecchie e per un giovane é difficile vederle come un’opportunità appetibile. Eppure, se trovassimo il modo di cambiare questo trend, potremmo fissare obiettivi ambiziosi e delineare nuove visioni a lungo termine: basti pensare che se la metà dei mille frontalieri attualmente occupati in valle decidesse di stabilirsi qui, noi risolveremmo gran parte dei nostri problemi”.

Uno scenario incoraggiante che oggi, però, suona come un’utopia.

I giovani valposchiavini se ne vanno in Engadina, a Coira, a Zurigo e in altri centri meno periferici dove trovano maggiori possibilità di una carriera soddisfacente; torneranno, come accade ormai da decenni, solo raggiunta l’età della pensione, quando gli impegni sono conciliabili con l’amore per le proprie radici.

“I posti di lavoro ci sarebbero anche Brusio – rimarca Plozza – ma non possiamo negare che sono meno attrattivi e quindi i nostri ragazzi non rispondono agli appelli; le stesse ditte ci riportano quotidianamente un quadro in cui le offerte di lavoro arrivano, ma senza che i giovani indigeni le colgano e quando le valutano quasi mai le accettano”.

“È vero che siamo sempre stati emigranti – riprende Arturo Plozza – ma siamo anche caparbi e profondamente legati alle nostre origini, motivo per il quale, anche se non esistono soluzioni immediate, noi non abbiamo mai rinunciato a cercarle e non abbiamo mai smesso di investire in molte direzioni; benchè la popolazione sia diminuita, nel frattempo sono infatti aumentati proprio i posti di lavoro”.

Un altro esempio incoraggiante viene dalle aziende agricole: alla contrazione dei numeri assoluti, corrisponde un deciso innalzamento del livello qualitativo con realtà altamente innovative.

Piccoli passi avanti, apparentemente insufficienti, eppure preziosi per chi si occupa di strategia.

“Non dimentichiamoci che il tema è all’attenzione della Regione, che sta lavorando ad un piano strategico di sviluppo per i prossimi anni – conclude Plozza – e che il Cantone si è impegnato ad esaminare ed elaborare quanto riceve dal territorio per pensare a soluzioni di prospettiva. Il tutto in un contesto di svolte epocali, a cominciare dalle emergenze sanitarie che hanno fortemente condizionato l’ultimo triennio. Fenomeni globali che vanno cavalcati e non subiti – questo l’invito finale – primi fra tutti proprio gli ambiti professionale o dei servizi, per i quali è iniziata l’era del lavoro smart, con l’adozione di nuove modalità da remoto e una forte riduzione delle attività in presenza: questo potrebbe essere molto interessante per noi – osserva Plozza – perché, come abbiamo sostenuto tante volte in passato, non tutto va fatto per forza da Coira. Oggi anche alcune mansioni o incarichi importanti possono essere gestiti da ogni luogo. Servono progetti mirati e tempi giusti di maturazione, così come non potremo sicuramente lasciare il lavoro tradizionale, ma essendo propositivi e lungimiranti si possono cavalcare questi cambiamenti facendone delle opportunità orientate ai nostri obiettivi.”

Sull’argomento – ed in particolare sui possibili progetti utili – ci farebbe piacere avere anche il parere di altre figure esperte ed autorevoli, come Pietro Della Cà che in questa occasione non è stato possibile rintracciare telefonicamente…il dibattito è aperto!

3 COMMENTI

    • NOTA DI REDAZIONE – La redazione de “Il Bernina” precisa di aver contattato il signor Pietro Della Cà a più riprese, anche in altre occasioni. Purtroppo ci è risultato difficile, per motivi a noi non imputabili, aprire un dialogo con l’interessato.