La Confisca Reta colpì duro una quindicina di famiglie valposchiavine

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Il 15 novembre del 1838, la Gazzetta piemontese (giornale ufficiale del Regno di Sardegna) riporta una notizia proveniente da Vienna e riguardante i Grigioni e in particolare alcune famiglie valposchiane: “La vertenza da lungo tempo pendente fra i Grigioni e l’Austria per la cosi detta Confisca Retica, seguita a danno di quel cantone l’anno 1797 nella Valtellina è ora pienamente liquidata, aggiustata e terminata. Il governo austriaco cede, rilascia e restituisce fin d’ora al governo del cantone Grigione… ”. Così, nelle intenzioni, si chiude un annoso contenzioso. Ho scritto nelle intenzioni, perché in realtà ci saranno strascichi fino al 1862 con il Regno d’Italia, subentrato all’Impero asburgico. Della Confisca reta (o retica) ha parlato a Sondrio lo storico valchiavennasco Guglielmo Scaramellini il 12 aprile scorso.

Vediamo più compiutamente come Silvio Margadant (Sergio Mantovani il traduttore) spiega la stessa Confisca nel Dizionario storico della Svizzera: “Termine utilizzato nei Grigioni per designare la confisca di tutti i beni appartenuti a Grigionesi nella Valtellina, a Bormio e a Chiavenna, proclamata dal comitato rivoluzionario (Comitato provvisorio di vigilanza e corrispondenza) il 28.10.1797 dopo che Napoleone Bonaparte aveva deciso, il 20 dello stesso mese, di incorporare i Paesi soggetti alle Tre Leghe nella Repubblica Cisalpina. La misura colpì membri di più di 100 fam. e nove enti (…) L’ammontare delle perdite venne stimato a ca. 3,6 milioni di fiorini del Reno. I primi tentativi per ottenere la revoca della confisca, contraria al diritto delle genti, o almeno l’indennizzo degli interessati, risalgono già al 1797, ma l’Austria, successore legale della Repubblica Cisalpina, riconobbe in via di principio il diritto al risarcimento dei Grigionesi solo nel 1815 al congresso di Vienna. Il Confiscacomité, costituito nel 1816 (…) ottenne nel 1834 (meglio dire il 1838, n.d.r.), dopo lunghi e complessi negoziati con la diplomazia austriaca, la restituzione di 1’642’372 fiorini. La distribuzione di questa somma fra le vittime del 1797 si concluse solo nel 1862. Sebbene dopo 65 anni ca. il 45% delle perdite totali fosse stato restituito, la confisca aveva indebolito la base economica di numerose famiglie, che in parte non si ripresero più”.

D’Albertini, Bandolfi, Bontognali, de Gervasio, Dorizzi, Fancone, Lardi, Menghini, Mengotti, de Misani, Olgiati, Paganino, Pozzi, Samadeno, Zanetti: queste le famiglie valposchiavine danneggiate, così come riportate in un elenco fornito dai Grigioni nel 1814 e ritenuto però non molto preciso dallo storico Mario Pessina (Archivio storico lombardo, 1984).
Alle famiglie vanno aggiunti “la chiesa riformata di Brusio, la prepositura di Poschiavo, il Monastero delle Monache a Poschiavo”.

A questo punto è necessaria aggiungere una postilla dell’epoca, citata da Scaramellini: “Il Comitato (rivoluzionario,n.d.r.) interpretando la generosità, e riconoscenza Nazionale crede poter assicurare li Individui Grigioni che si sono adoperati per promovere la Libertà ed Indipendenza delle Provincie di tutti li riguardi compatibili colle circostanze”. Segue un breve elenco di “proprietari naturalizzati o esentati per meriti verso la popolazione locale: conte Rodolfo Salis, Tirano; famiglia Salis-Tagstein, Tagstein-Chiavenna; Benedetto Marchioli, Morbegno; Guberto Salis, Teglio; Gaudenz Planta, Samedan; Giovanni Simeone Parravicini, Teglio”.

Resta da aggiungere che la Confisca fu presentata dal Comitato così: “Che se non si può per intero ripagare le sofferte ingiustizie e spogli, almeno si assicuri alla Nazione tutto quello che nel suo Territorio posseggono li odiati tiranni Grigioni”. Insomma un risarcimento verso tutta la popolazione valtellinese. In realtà chi si appropriò a prezzi scontatissimi delle proprietà confiscate furono i nobili e i grandi borghesi, già ricchi di loro.

Un secondo argomento della relazione del prof Scaramellini era “Rivoluzione politica e strutture economiche: sistema agrario e scambi commerciali in Valtellina nel passaggio dal dominio grigione al governo napoleonico”.

I dati forniti sulle produzioni e sulle esportazioni sono stati diversi, ma in fondo lacunosi. Per esempio gli strumenti analitici a disposizione del professor Scaramellini non sono sufficienti per dare un quadro completo della produzione di vino (quella più economicamente rilevante). Manca infatti una attendibile quantificazione dell’auto consumo, certamente rilevante, che sposterebbe di molto i quantitativi prodotti. Modelli matematici sono stati già sperimentati in altre situazioni, ma questi, lo ha ammesso onestamente Scaramellini, non sono nelle sue disponibilità. E dunque? E dunque come suggeriva il giurista e storico Enrico Besta: “Meglio ignorare che inventare”.