Il Palazzo de Bassus-Mengotti ospita per il secondo anno consecutivo la mostra temporanea “Acqua – Vita e lavoro”, che da giugno fino a ottobre è arricchita con un’integrazione relativa alla tematica delle “alluvioni” in Valposchiavo. Una tematica sviluppata con informazioni, oggetti, documenti e contributi multimediali, quest’ultimi visibili su un dispositivo digitale.
Capo dello Stato maggiore di crisi nel periodo dell’alluvione era il luogotenente Guido Lardi, che abbiamo intervistato per comprendere le dinamiche di sgombero e ricostruzione del Borgo e gli aiuti arrivati per questi interventi.
Un’alluvione è sicuramente un avvenimento imprevisto e devastante. Come ci si è organizzati nei primi momenti per tentare di salvare le persone e di salvare il salvabile?
L’alluvione si è presentata senza preavviso in dimensioni impreviste e imprevedibili: ca. 200’000 m3 di materiale alluvionale in movimento dalla Val Varuna sono finiti in poche ore nel fondovalle di Poschiavo. Si è dovuto reagire con i mezzi disponibili al momento, facendo capo a una struttura organizzativa ad hoc, in gran parte costituita da mezzi improvvisati dettati dal buon senso e dalle necessità più urgenti. Evidentemente in primo piano si è fatto ricorso al personale disponibile nell’organico comunale, segnatamente all’Ufficio stradale e forestale e alle risorse personali del reparto amministrativo. Poi si è dovuto provvedere immediatamente a creare una nuova struttura temporanea per gli interventi mirati, costituita dallo Stato maggiore di crisi (Stato maggiore di condotta) sul modello proposto dal Cantone per i casi d’emergenza; in questo organo erano rappresentati non solo il Comune (Amministrazione comunale, Ufficio stradale e forestale, Corpo dei pomieri, Polizia comunale, Protezione civile), ma anche i diversi enti coinvolti dall’evento, come – fra altri – la Polizia cantonale, l’Ufficio forestale di circondario, l’Ufficio tecnico cantonale, la Direzione dei telefoni e il Comando della brigata di frontiera. In questo frangente, in qualità di luogotenente del podestà, mi venne assegnato, per così dire sul campo, il ruolo di coordinatore responsabile dello Stato maggiore di crisi.
Di cosa si è occupato inizialmente lo Stato Maggiore di crisi?
Nella prima fase è stato necessario provvedere alla messa in sicurezza dei fabbricati pericolanti, nonché delle persone e della loro sistemazione temporanea per quelle costrette ad abbandonare per ragioni d’emergenza e di sicurezza il proprio domicilio. Senza entrare nei dettagli di questa complessa operazione, va detto che la popolazione ha reagito senza troppe lagnanze, collaborando con gli addetti ai lavori e permettendo in tal modo l’esito positivo degli svariati interventi. Contemporaneamente ha avuto inizio con un grande impiego di mezzi reperibili sul posto la fase di sgombero delle masse enormi di materiali e di detriti dalle vie e dalle piazze del Borgo e delle contrade colpite dall’alluvione. Dopo pochissimi giorni dall’evento è stata la volta dell’intervento assolutamente tempestivo del primo scaglione militare messoci provvidenzialmente a disposizione con grande impiego di mezzi dal Comando militare di brigata.
Chi vi ha dato un aiuto?
Provvidenziale per lo Stato maggiore di crisi fu in modo particolare l’intervento di un gruppo di specialisti messo a disposizione fin dai primi giorni da Motor Columbus, un’impresa del settore idroelettrico con addentellati anche nella valle di Poschiavo. Questo nucleo di specialisti dei vari settori svolse un ruolo assolutamente importante dal punto di vista amministrativo e organizzativo, mettendo a disposizione anche le attrezzature allora d’avanguardia nel settore informatico. Con il loro aiuto fu possibile, fra altre importanti mansioni tecniche, affrontare le urgenze per il rilievo dei danni subiti dai privati cittadini e per il risarcimento degli stessi mediante gli aiuti finanziari di prima urgenza.
Non solo il Comune e gli organi già menzionati sono stati colpiti dall’alluvione; ricordo in particolare la Ferrovia Retica, le Forze motrici Brusio (ora Repower) e il Consorzio di bonifica fondiaria per quanto riguardava i danni ingenti alle colture: questi enti hanno provveduto autonomamente con mezzi propri allo sgombero delle macerie e alla riparazione dei danni subiti e non hanno quindi pesato ulteriormente sul lavoro dello Stato maggiore di crisi.
Quanto è durato il lavoro di sgombero e quanti militari vi hanno partecipato?
Va detto che ai lavori di sgombero non hanno partecipato solo le unità militari, ma anche fin dalla prima ora le imprese locali disponibili per tale genere di lavoro. Evidentemente i militari sono stati essenziali e determinanti in questa fase, perché in grado di impiegare efficacemente un considerevole numero di persone e di mezzi scaglionati nelle diverse fasi d’intervento. Nel giro di quasi quattro mesi hanno operato a Poschiavo (ed anche a Brusio colpito a sua volta dall’alluvione) suddivisi in dodici unità militari poco meno di 3000 membri dell’esercito svizzero. I lavori grossolani di sgombero e di messa in sicurezza degli stabili colpiti dall’alluvione si sono conclusi alla fine d’ottobre del 1987. Ma naturalmente solo a questo punto ci si poté fare un quadro dell’imponente opera di ricostruzione e di ripristino che doveva ancora essere affrontata.
Seconda Alluvione in agosto: si dovette temere nuovamente il peggio? Si ricorda le decisioni prese in quei frangenti?
La seconda ondata alluvionale (ca. 60’000 m3 di materiale) rappresentò una nuova sfida inaspettata, che avrebbe potuto nuovamente compromettere i lavori di sgombero già eseguito e in parte ancora in corso. Durante la notte il livello del Poschiavino raggiunse il livello di guardia e si dovette temere il peggio. Per fortuna l’acqua poté essere contenuta in gran parte nell’alveo del fiume appena ripulito, ma altre grandi quantità di materiali ingombranti dovettero esser risistemati nei depositi decentralizzati ancora provvisori. La buona sorte ci favorì, perché sul posto operava un intero battaglione del genio militare forte di 400 militi e di decine di mezzi di sgombero, che furono in grado di evitare un nuovo disastro. Ricordo il nuovo sgomento temporaneo, che però si risolse grazie alla presenza delle truppe; le decisioni preziose prese dai responsabili militari in collaborazione con lo Stato maggiore di crisi si rivelarono vincenti ed efficaci grazie pure alle esperienze raccolte un mese prima.
Al giorno d’oggi sorprende il fatto che allora le persone, malgrado l’emergenza, non si potevano parlare al telefono per verificare la rispettiva situazione. Che mezzi utilizzavano i soccorritori per poter comunicare fra di loro? Quanto era efficiente il tutto visto con gli occhi di oggi?
L’era dei cellulari non era ancora scoccata e le persone potevano collegarsi all’esterno degli edifici solo con rudimentali strumenti di comunicazione. Lo Stato maggiore di crisi disponeva solo di antiquati apparecchi – i famigerati Fox – prestati dall’esercito. In un primo intervento d’emergenza lo Stato maggiore di crisi dovette dotarsi entro poco tempo di nuove attrezzature efficienti per comunicare con i collaboratori e gli operatori attivi sul campo. Dopo le prime difficoltà, le nuove stazioni ricetrasmittenti acquistate d’urgenza permisero di risolvere in modo adeguato anche il problema fondamentale delle comunicazioni in tempo reale fra lo Stato maggiore e le unità d’intervento operanti nelle varie zone.
Dobbiamo pensare che la Valposchiavo era tagliata fuori dagli scambi commerciali e i negozi erano pieni di fango. Come si riforniva di viveri la popolazione? Quanto è durato questo periodo di crisi e d’assistenza alla popolazione?
Il rifornimento di viveri di prima necessità fu difficoltoso in modo particolare con determinate regioni isolate, per esempio Cavaglia ed alcuni maggesi temporaneamente isolati, considerato che la ferrovia non poté essere in esercizio per alcuni giorni e la viabilità non poté essere immediatamente ripristinata. In tali casi si dovette far capo agli elicotteri messi a disposizione dall’esercito, intervenuti tempestivamente anche per i rifornimenti ordinari dei negozi locali. Anche in questo frangente l’emergenza fu superata entro pochi giorni grazie alla creatività degli esercenti e dei rispettivi fornitori, ma anche mediante dei provvedimenti opportuni adottati da parte dello Stato maggiore di crisi e delle autorità locali e cantonali.
Chi ha aiutato nella ricostruzione? Chi ha contribuito finanziariamente e chi ha aiutato sul campo?
Per rispondere a queste tre domande sarebbe necessario molto spazio. Sommariamente occorre ricordare che gli aiuti devoluti alle autorità locali provenivano da svariate parti, fra cui bisogna elencare in primo luogo le istituzioni caritative della Svizzera, come la Caritas e il Fondo d’assistenza delle Chiese evangeliche riformate. In questo ambito va ricordato anche il Fondo di solidarietà poschiavina, che su base privata si adoperò con successo nel lavoro di ricerca di risorse finanziarie. Ma gli aiuti più consistenti nella fase di ricostruzione furono forniti dal Cantone e dalla Confederazione sotto forma di sussidi straordinari. Una bella fetta di aiuti giunse direttamente al Comune da parte di numerosissimi cittadini svizzeri, che risposero molto generosamente agli appelli di solidarietà delle istituzioni di cui si è detto e alle iniziative promozionali della Catena svizzera della solidarietà. Commoventi furono inoltre molte persone di tutte le età, che si presentarono spontaneamente allo Stato maggiore per consegnare personalmente le proprie donazioni.
Quale metodo è stato adottato per risarcire i danni ai privati?
I cosiddetti danni di natura causati dall’evento agli edifici e alla proprietà fondiaria sono stati risarciti in via di massima dall’Assicurazione dei fabbricati (obbligatoria a livello cantonale). La maggior parte delle famiglie e delle persone singole era in possesso di una o più assicurazioni private, che hanno provveduto con sollecitudine al risarcimento dei danni. Per i danni non assicurabili lo Stato maggiore di crisi si è occupato del rilevamento mediante un modulo apposito; dopo la verifica della plausibilità delle richieste è stato possibile effettuare entro poco tempo il risarcimento grazie a un fondo speciale messo a disposizione dalle istituzioni caritatevoli e dei fondi speciali di cui si è detto in precedenza.
Come si è agito su suolo pubblico per la ricostruzione?
I danni subiti in seguito all’alluvione non poterono naturalmente essere ripristinati entro breve tempo; essi dovettero essere affrontati secondo uno scadenzario determinato dall’urgenza, rispettivamente dall’entità degli stessi. Il coordinamento degli interventi necessari, ma soprattutto la ricerca dei mezzi finanziari a carico del Comune, furono operati dallo Stato maggiore di crisi in stretta collaborazione con gli organi amministrativi comunali e cantonali.
Nell’intento di poter ripartire equamente i lavori e di tenere in debita considerazione il potenziale dell’economia locale, fu necessaria anche una programmazione giudiziosa, che tenesse conto delle risorse di manodopera delle singole imprese dei vari settori. La fase di ricostruzione e di ripristino integrale delle infrastrutture danneggiate – che comportarono un investimento complessivo di circa 107 milioni di franchi – è durata fino alla fine del 1991, fatta eccezione della realizzazione del vallo superiore di ritenzione della Val Varuna, che richiese separatamente altri tre anni di lavoro. Pochi anni in verità, se si considerano l’intera mole di lavoro realizzato e le numerose difficoltà di ordine tecnico e geologico che si dovettero superare.
L’intento primario delle autorità e dei responsabili della ricostruzione è stato quello di garantire in futuro la sicurezza della popolazione e del territorio minacciati dall’instabilità geologica della Val Varuna, che nel 1987, come anche in occasioni precedenti, fu all’origine dell’intero disastro. In questo preciso ambito vanno ricordati i provvedimenti di varia natura adottati dopo l’alluvione lungo l’intero perimetro della valle, consistenti nella realizzazione di briglie di stabilizzazione dell’alveo del torrente, di interventi per la stabilizzazione dei versanti della montagna, nella ricostruzione della via d’accesso alla sponda sinistra della valle, ma soprattutto nella realizzazione di due bacini di ritenzione di impressionanti dimensioni nella parte superiore della Val Varuna. Queste opere di grande importanza e di notevole impatto finanziario, realizzate dall’Ufficio forestale di circondario in collaborazione con l’Ufficio forestale cantonale, ci permettono di affermare che eventi simili a quelli dl 1987 al momento dovrebbero essere scongiurati.
Ne avrebbe di cose da raccontare, signor Lardi. Le chiedo però un’ultima considerazione.
Ma nei confronti della natura occorrerà sempre dimostrare cura e rispetto. La storia ci insegna che la negligenza e l’incuria umana nei confronti dell’ambiente e dei suoi valori prima o poi saranno sempre chiamate a pagare il dovuto tributo. È questo un monito che, anche alle nostre latitudini, dovrebbe allinearsi alle preoccupazioni generali riguardanti l’evoluzione negativa delle condizioni climatiche in atto a livello globale.
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Venite a visitare la mostra “Acqua – Vita, lavoro e… alluvioni” e scoprire di più sugli utilizzi dell’acqua in Valposchiavo e le alluvioni che hanno devastato la valle a sud del Bernina.
La mostra è aperta dal 9 giugno al 22 ottobre, ogni martedì, mercoledì, venerdì e domenica, dalle ore 14.00 alle ore 17.30.
A cura di Giovanni Ruatti