Prima di entrare nel negozio di Wanda Niederer, quello che mi colpisce è il fluire impetuoso del Poschiavino in un periodo di piogge intense. Varcando la porta mi rendo conto di quanto si veda vicino, dalla finestra che ho di fronte. Ma è un secondo, perché nonostante il mio raffreddore vengo immediatamente travolto da un’ondata di profumi di saponi di tutti i tipi. E dentro Wanda, sorridente. Sono venuto a intervistarla perché, a fine anno, terminerà l’attività della Saponeria per… godersi un po’ di meritato riposo in pensione, o semplicemente per fare altro. Ma la sua storia e quella di questo piccolo negozio, un po’ misterioso per i poschiavini, merita di essere conosciuta.

Buongiorno Wanda, da quando esiste la Saponeria?
La Saponeria esiste dal 2016, anzi precisamente dal 13 marzo. Se dovessi fare un bilancio, da questo punto di vista, ti devo dire che all’inizio è stato abbastanza difficile, perché ancora non conoscevo i ritmi anche dei turisti… Ma in tre anni c’è stato un grande intensificarsi dell’attività e poi c’è stato il Covid.
Un problema?
No, al contrario! Mi ha portato un sacco di gente. C’erano persone che partivano da Basilea, altre ancora che della Svizzera francese e del Ticino sono arrivate a Poschiavo. C’era grandissima attenzione al lavarsi le mani e un negozio di saponi finisce facilmente in questi casi al centro dell’attenzione.
Ma che cosa c’è prima della saponeria, prima che Wanda Niederer arrivi a Poschiavo addirittura?
Tutt’altro (Wanda qui scoppia a ridere). Vent’anni fa ancora abitavo nel Cantone di Zurigo, a Grüningen dove avevo un atelier di tessitura, poi ho visto un annuncio sul giornale dei tessitori: a Poschiavo la tessitura cerca una direttrice e allora… Sono arrivata a Poschiavo nel 2004 e sono andata avanti per otto anni. Poi nel 2012, lasciata la tessitura, sono andata a lavorare con i disabili del Movimento, che era a sua volta un altro mio vecchio mestiere.
E i saponi?
Ho iniziato nel 2011/12. Ero in Sicilia per la raccolta delle olive. E proprio allora ho conosciuto un contadino, Filippo, che aveva una settantina d’anni: mi ha regalato sei saponette del suo olio d’oliva, ovviamente “il migliore del mondo” e quando sono arrivata a casa lo ho provato. Lo ho usato per lavare le mani, fare la doccia e mi sono detta: “Ma questo ti lascia una pellicola leggera sulla pelle fantastica”. Se lo poteva fare lui, ho pensato, lo potrò fare anche io. E così ho trovato libri, ricette, video e ho iniziato da due o tre saponette. Si inizia così ma poi ti piace e continui a provare nuove ricette e così a un certo punto mi sono trovata con una montagna di saponette che da sola non avrei mai usato. Ho cominciato allora ad andare al mercatino al mercoledì.
E come vendevi i saponi al mercato?
In realtà è stato molto bello e anche divertente. Io avevo il mio banchetto davanti alla chiesa cattolica e facevo anche un po’ di animazione. Nel frattempo, infatti, avevo inventato il sapone per i capelli alla birra e allora fermavo dei signori e dicevo loro: “Scusi, posso provare a lavarle i capelli?”. Alcuni si fermavano, io con la sedia di plastica e le brocche d’acqua portate dal Centrale (e gli asciugamani tessuti a mano) e facevo loro lo shampoo. Naturalmente, subito avevo qualcuno intorno perché la scena era curiosa. E così ho fatto conoscere quel sapone alla birra che vendo molto bene (ne ho sempre anche troppo poco).
[Sento, nel frattempo un profumo intenso nell’aria che scambio per eucalipto, ma in realtà è arancia. Un consiglio: non andate mai a visitare una saponeria quando siete raffreddati].
E come è fatto questo prodotto?
Con la birra Pacific, ecco perché il sapone si chiama così. E poi anche Valposchiavo turismo ha iniziato a fare un po’ di pubblicità di questa saponetta alla birra poschiavina per lavare i capelli e ho avuto un grande successo con il passaparola.
E il negozio?
Nel 2015, era il mese di novembre, stavo facendo una passeggiata da queste parti e ho visto che questo locale era vuoto. Prima qui c’era il fruttivendolo Paganini, poi però ha cambiato il locale anche perché aveva il magazzino da un’altra parte. Ho visto le vetrine vuote, il fiume dietro e ho come sentito un’energia di fare qualcosa di nuovo. Prima ho chiesto a Paganini se sapeva se entrasse qualcuno e poi mi ha indirizzata alla proprietaria a Tirano. Tra parentesi, lui mi ha lasciato bilancia e lavandino!
Ci sono andata con tre delle mie saponette. “Io non voglio che qui si apra un ufficio!”, mi aveva detto. Ma le ho fatto immediatamente capire, con ciò che avevo portato con me, che la mia intenzione era un’altra: aprire una saponeria!
Poi ho contattato un’artista che dipingeva in piazza e mi sono fatta decorare il negozio con i fiori. Quando entri sono i primi tre secondi che ti colpiscono… Oppure no!?
Vorrei un negozio diverso dagli altri.
Come fai a trovare nuovi aromi?
Mah, io cambio sempre. Delle ricette si trovano e poi, una volta che capisci come funziona, puoi farne anche di tue. Devi essere preciso perché si deve misurare ed essere rigorosi.
Come si può essere sicuri che un’attività come questa funzioni all’inizio?
Devi crederci! E poi a me piace anche parlare con le persone. E poi si costruiscono anche delle storie. [Nel dire questo, ridendo, mi presenta il sapone “Barba di Vito”].
E hai anche clienti di Poschiavo?
Pochi, per non dire pochissimi perché il paese è piccolo. Arrivano però gli uomini, perché ho fatto loro conoscere il sapone per fare la barba. Si fa la schiuma con il pennello e poi la barba come un tempo. Va benissimo per le pelli sensibili!
E perché decidere di smettere ora? Mi sembri entusiasta di questo lavoro!
Ma io sono entusiasta… Però ora ho cambiato casa, vivo ai Palazzi e ho un bellissimo giardino pieno di fiori che non ho assolutamente tempo di curare. Vorrei anche lavorare nell’orto e non ho tempo.
Ma non finisce tutto qui, vero?
No, perché c’è una ragazza che si interessa e vende le sue saponette al mercatino, vediamo se andrà tutto in porto. Sono anni che fa saponi e vorrebbe avere un negozio e sarebbe bello passare tutto a lei.
Anche i saponi?
No quelli no, perché lei farà i suoi. È come un cuoco nel ristorante, ognuno ha le sue ricette, il suo stile, la sua visione e i suoi piccoli segreti.
E Wanda un po’ di sapone a casa continuerà a farlo?
Eh no, neanche a casa. Quando dico basta è basta. Ma il 25 novembre farò una vendita speciale e venderò tutti i saponi che mi restano a metà prezzo, anche per i poschiavini che non li hanno provati prima.
E questo grande armadio aperto?
Sono tutti i saponi che stanno seccando. Come vedi ci sono anche tutti i nomi dei clienti che me li hanno ordinati; quando vedi “ris” significa che me lo hanno riservato. Le richieste sono le più varie: per esempio un cliente mi ha chiesto di inserire una corda nel sapone per appenderle, un altro vuole solo saponi con i microrganismi e così via.
Qual è il sapone che hai venduto di più e quello invece più particolare che tu abbia mai fatto?
Allora, il più venduto è stato senza dubbio quello alla birra e il più strano [ci pensa un po’ su come se la concorrenza fosse agguerrita] credo che sia questo alla banana. La contiene ma non sa di banana. I semi neri fanno capire che c’è. E così tutti arrivano ad annusarlo pensando di sentire un profumo che non si sente. Anche se la banana viene schiacciata all’interno.
Ma, a proposito, come si fa il sapone?
Ecco, dovrei dirti di venire venerdì alle 17 che faccio sempre un dimostrazione gratis, fino a fine ottobre. Comunque ci vogliono tre elementi: oli e grassi, liquido (di solito acqua ma per esempio ne ho fatto uno al caffè, che neutralizza tutti gli odori sulla pelle o alla birra come prima, oppure succo di cetriolo per dire) e soda caustica. La soda caustica fa una reazione chimica di 24 ore ed è quello che produce il sapone.
A proposito di grassi, si usa sempre e solo l’olio?
No, in base alle richieste io lo ho fatto anche con lo strutto di manzo, olio di cocco, olio di colza e olio di ricino, che fa una bella schiuma. Se sbagli una quantità di ingrediente, però, non viene come volevi. È come cucinare, se sai cucinare sai fare anche il sapone. Per esempio: non puoi dire faccio un sapone con quasi solo olio di ricino perché fa una bella schiuma… Particolarità e proporzioni di ogni olio vanno rispettate.
Ma ti aveva mai incuriosito questo mondo prima della Sicilia?
Io sono curiosa, mi piace sapere, mi piace imparare!
Sai che tornando alla tua vecchia professione di tessitrice mi viene in mente una cosa: alla fine sembra tutto diverso, ma la creatività resta, no?
È vero, tu devi avere il desiderio di creare, a me piace perché ho tanta fantasia: anzi, direi che mi piace trasformare! [Chissà che non vedremo anche qualche trasformazione anche nel giardino di Wanda!]
E al di là dei lavori, come ti sei trovata qui di persona?
Il posto è particolare: io parlavo già l’italiano ma poi ho imparato anche il pus’ciavín che mi piaceva molto e mi sono integrata molto bene. Poschiavo per me è perfetta: non ho la macchina e nemmeno la voglio e qui arrivi ovunque in cinque minuti a piedi. La gente ha ancora dei valori, come la famiglia, la gentilezza, la correttezza, il salutare gli altri. Quando io vado a Zurigo dopo due giorni sento l’esigenza di tornare perché c’è troppo stress, la gente investe troppo tempo per andare da una parte all’altra. Poi qui arrivano sempre più artisti e musicisti… C’è una bella offerta culturale e questo aiuta anche l’apertura mentale. Secondo me, anche grazie alla cultura si può aprire un po’ uno sguardo sul mondo.
Ma se dovessi dare un consiglio a chi ha un sogno di cambiare vita e attività, come hai fatto tu, che diresti?
Ascolta il tuo cuore, fai quello che ti piacerebbe fare. Prova, lanciati e credici fino in fondo .