Santo Cielo. Solo chi tace sa dissentire

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“I chiacchieroni non sanno ascoltare nessuno perché parlano sempre. E l’incapacità di tacere comporta come primo male il non saper ascoltare”. Lo ha detto lo scrittore greco Plutarco, vissuto duemila anni fa. Parole pronunciate in un’epoca lontana, ma che potrebbero essere un giudizio pronunciato sui nostri giorni, immersi in una marea di parole, messaggi e informazione che rischia di travolgerci e sommergerci.

L’era del rumore
Viviamo in un ambiente dominato dalla televisione e dalla radio sempre accese, da commenti insulsi, da una politica sempre più sguaiata e sbraitata, dal cellulare perennemente connesso per captare il flusso dei messaggi, delle mail, da una quantità di informazioni che ci raggiunge in qualsiasi luogo, dalla piovra di Twitter, Facebook e TikTok. È un flusso che allaga il cervello, che stanca e soffoca lo spirito. Non a caso da più parti si invoca il ritorno al silenzio, al chiacchierare di meno, all’ascolto.

Tacere e acconsentire
Ma basta il silenzio, da solo, a cambiare le cose, a inaugurare un nuovo modo di essere? Basta chiudere il rubinetto dell’informazione a getto continuo? Il silenzio spesso è passività, assenza, lontananza. Chi si ritira nel silenzio, come pure chi esclude il rumore di sottofondo che accompagna la nostra quotidianità, non accetta forse semplicemente di chinare la testa? Non assume forse l’atteggiamento di chi si arrende e si adegua? Le parole vuote a cui siamo abituati, pronunciate da vari pulpiti, non attendono infatti risposta, ma vogliono da parte nostra un “silenzio-assenso”: non il silenzio di chi ascolta, riflette e valuta, ma il silenzio di chi sta zitto e obbedisce.

Abbiamo paura del silenzio
Il vuoto, luogo del “silenzio-ascolto”, bisogna pure ammetterlo, non è di moda. Spesso ne abbiamo paura. Molti lo evitano, lo riempiono di suoni, di musica, di rumori, di distrazioni. Riempiendo gli spazi vuoti, impediamo quel “silenzio-ascolto” che ci permetterebbe di pensare e giudicare: quindi di agire, reagire, resistere, costruire. Così la voce gridata dal leader di turno, dall’influencer, dal pubblicitario, dal televisore, dal pulpito, dalla tribuna diviene onnipotente: non ammette replica, né contraddizione, né contestazione di una verità che non vuole lasciare spazio alla differenza, alla scelta, all’eresia.

Quello che il silenzio non è
Per troppo tempo il silenzio è stato considerato una caratteristica dei deboli: sta in silenzio il figlio nei confronti del padre, la donna nei confronti dell’uomo, lo schiavo del padrone, l’operaio dell’imprenditore, il cittadino del politico al quale ha dato il voto in cambio di favori e promesse. È stato così e purtroppo a volte è ancora così.

E ci sono i silenzi pesanti e oscuri di chi non vuole parlarci, ma pure cova cupi pensieri; il silenzio carico di veleni della censura; il silenzio generato dalla mancanza di fiducia, che rende difficile o addirittura impossibile la comunicazione; i silenzi frutto dell’ostilità e i silenzi amari e disperati della solitudine e della noia.

Il silenzio fatto di ascolto
Ma c’è anche un silenzio che dischiude spazi di vita: il silenzio che esprime il rispetto per la parola dell’altro; il silenzio di chi tace piuttosto che parlare a vanvera – è il silenzio di chi da retta a Qoelet, straordinario pensatore biblico che con acutezza insuperata ha sentenziato: “C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”; c’è il silenzio di chi è stanco delle parole urlate, volgari, stupide, arroganti, della pubblicità, dei grandi e piccoli leaders e opinionisti. E c’è il silenzio dell’amicizia e dell’amore: il silenzio condiviso, che dice una presenza. Il silenzio pieno, che va oltre il linguaggio, che è meraviglia, contemplazione, raccoglimento. Un silenzio che porta pace. E, nel profondo di ciascuno, il silenzio interiore: premessa all’ascolto e all’incontro, con gli altri, e forse con il divino. Senza le pause di quel silenzio tutto si appiattisce e muore. Solo da quel silenzio, virtù di chi non ha paura di guardarsi dentro, nasce vita nuova.