Senza Chiesa? Senza Dio? Don’t worry keep calm

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C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce”.

Dotto, pacioso e bon vivant: questa la definizione tradizionale dell’ uomo emiliano. Di Carpi (Modena) è infatti originario Brunetto Salvarani, ospite venerdì 9 febbraio dei Riformati della Valposchiavo per una serata dedicata ad un tema prettamente contemporaneo: “SENZA CHIESA E SENZA DIO. Sulla crisi delle chiese cristiane”. Dotto e pacioso è sembrato a tutti i presenti, crediamo; bon vivant è un sospetto amichevole di chi scrive.

Pubblico numeroso (e partecipe con diverse domande) che ha ben espresso il proprio consenso con un caldo e particolarmente prolungato applauso: no, niente standing ovation, dopotutto siamo in Valposchiavo! Applausi di ringraziamento dunque al relatore ma anche al moderatore, il pastore Paolo Tognina, che si è espresso in vari registri: dal commosso all’ironico e ovviamente anche al dotto.

Brunetto Salvarani (per dirla molto in breve) è un teologo cattolico, docente presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna di Bologna e presso gli Istituti di Scienze Religiose di Bologna, Modena e Rimini. Ed è persino giornalista!

Nella sua riflessione abbiamo colto l’altissimo, con i continui riferimenti alla Bibbia, e l’alto. Per “alto” intendiamo i riferimenti a Nietzsche (“Gott ist tot”, 1882) e a Francesco Guccini, suo traduttore /traditore pop (“Dio è morto!”, 1965). E ancora Giorgio Gaber, Edoardo Bennato e così via cantando.

Ma vediamo alcuni capisaldi della relazione.

Certamente ci sono le “crepe”, cominciando da quelle personali:«Oggi è possibile senza problema alcuno scegliere di essere atei o agnostici, seguire unortodossia religiosa, cambiare confessione, ritagliarsi un proprio specifico percorso allinterno delle religioni». E il numero dei fedeli delle chiese cristiane è sempre più ristretto.

C’è poi una crepa culturale relativamente nuova che sociologi francesi hanno espresso con un concetto che in italiano suona così (ma che non è presente in nessun dizionario): “esculturazione”. Ovverosia il processo di espulsione, nel nostro caso del Cristianesimo, dalla Cultura comune di diverse nazioni europea: la Francia, l’Italia e la Svizzera in primis.

E qui entra in gioco la riflessione sul futuro delle Chiese: «Due le narrazioni: una, minoritaria, ottimista, e unaltra, largamente prevalente, pessimista. Secondo la prima, le Chiese sarebbero destinate a emergere trionfanti dallattuale palude: contro ogni probabilità, esse proseguiranno ad adempiere il loro mandato divino di evangelizzare i loro contemporanei; la seconda prevede un declino inevitabile, a gioco medio-lungo, e il Cristianesimo come ogni altra religione, si presume – è destinato a perdere influenza».

E a parere del relatore, serve «rimboccarsi le maniche», ma «serve ancor più il pensiero, perché da troppo tempo, come Chiese, abbiamo smesso di pensare. Questo cambiamento depoca non solo non dovrebbe mettere paura, ma se affrontato con il piglio giusto potrà fare del bene al Vangelo, alle Chiese e alla loro credibilità (ma anche ai cosiddetti non credenti, e alla società tutta)».

E qui il relatore ha voluto giocare con il pubblico (così come fa con i propri studenti). Questa la prima domanda: «Quali erano i paesi con la maggior presenza di Cattolici attorno alla metà del secolo scorso?».

Germania, Francia e Italia la risposta. E infatti il Concilio Vaticano II è stato fortemente influenzato da studiosi e teologi di queste tre nazioni.

Ed oggi invece troviamo ai primi posti Messico, Brasile e Filippine, sempre per i Cattolici. Per i Protestanti gli Stati Uniti conservano il primato, al secondo posto c’è la Nigeria, più o meno alla pari con la Germania e l’Inghilterra.

Dunque Gesù non è più sostanzialmente europeo (e non lo era alla nascita, in verità).

E questa constatazione di tipo religioso pone il problema del cosiddetto Terzo Mondo, che è vicino a noi , anzi che è fra noi e con noi, se pensiamo alle comunità europee di fedeli mussulmani, buddhisti, hindu, sikh e così via. «Oggi, la multireligiosità è un dato di fatto, con cui pure fatichiamo a fare i conti per un necessario dialogo interreligioso».

Tornando ai Cristiani, in ambito culturale e religioso, «a nulla valgono i rimpianti amari del bel tempo che fu, quando i fedeli delle città europee si ingegnavano con ogni mezzo a coinvolgere architetti, artisti e maestranze varie per costruire chiese ed edicole, santuari, conventi e monasteri che segnassero il territorio. Stiamo assistendo alla scomparsa del cosiddetto praticante: una figura che sottintendeva unassociazione incrollabile fra credenza e appartenenza. La figura che parrebbe adattarsi meglio alla mobilità tipica della post-modernità religiosa è invece quella del nomade, o del pellegrino. Mentre la figura del praticante era necessariamente collegata con una pratica rituale fissa e obbligatoria, ben regolata dallistituzione, comunitaria e territorializzata, stabile nonché ordinariamente ripetuta, quella del nomade dello spirito e del pellegrino si segnala per una pratica individuale e volontaria, autonoma, modulabile e mobile».

E poi siamo in tempi perigliosi. Ci siamo risvegliati dal sogno utopico, palesatosi alla fine del secolo scorso, della fine dei conflitti. Pensiamo invece, vicinissimi a noi, i conflitti nell’Esteuropeo e in Medioriente.

Salvarani, avviandosi a concludere, ha voluto ancorare il presente e il futuro dei Cristiani (ma non solo loro) in alcuni capisaldi.

«Intanto non si potrà e non si dovrà fare a meno della Bibbia, un libro con il quale siamo chiamati a confrontarci, credenti o non credenti, laici o religiosi che siamo». Questo in generale e senza dimenticare la plurisecolare avversione del Cattolicesimo ad una libera e diffusa lettura del “Libro”, in sostanziale e capitale differenza da quanto è avvenuto da Lutero in avanti nell’ambito del Protestantesimo.

Ci sono poi un secondo e terzo passo:

«Credo sia decisivo, pensando al futuro delle Chiese, soffermarsi in particolare sulle due svolte novecentesche nellinterpretazione della figura di Gesù: la sua realtà ebraica e la sua dimensione umana. Nella convinzione che Gesù rimane il nervo scoperto delle Chiese cristiane, attorno al quale occorrerà lavorare sempre di più in funzione di un reale e aperto dialogo ecumenico».

Figlio di Dio, ma anche uomo ebreo. Come si è subito negata e dimenticata l’ebraicità di Gesù e quanti terribili guasti e indicibili dolori questo ha provocato!

Per i Cristiani la sfida consiste nel seguire il Cristo nella sua umanità reale – l’umanità di uomo che ha conosciuto come tutti dubbi, angosce e tentazioni.

Con moderato ottimismo Brunetto Salvarani ha voluto chiudere il proprio intervento affidandosi ai versi definitivi del cantante canadese Leonard Cohen: “C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce”.