Sabato scorso sul palco delle vecchie scuole di Li Geri a Campocologno è andato in scena l’esito del laboratorio teatrale per adulti della Pgi con Parole, un’esplorazione teatrale profonda del potere intrinseco della parola, da cui emerge un dialogo attorno al significato e all’effetto delle parole in una società moderna, sempre più veloce e distratta come la nostra.
Il laboratorio teatrale della Pgi, oltre ad essere un incontro artistico tra la Valposchiavo e la Valtellina, rappresenta ormai da anni anche un prezioso arricchimento della cultura teatrale locale. Ciò anche grazie alla guida artistica di Gigliola Amonini che dal 2008 coinvolge e accompagna attori svizzeri e italiani attraverso sperimentazioni teatrali che puntualmente, ogni anno, riuniscono un folto pubblico.
La nuova produzione del laboratorio teatrale non si riduce però solo ad uno spettacolo, ma diventa un viaggio che esamina il potere e il significato delle parole, strumenti tanto semplici quanto potenti che possono costruire ponti come abbattere muri. Parole diventa così una riflessione su come il linguaggio modella la nostra identità e la nostra società, rendendo gli spettatori partecipanti attivi di un’opera in cui gli attori hanno indagato la capacità delle parole di influenzare pensieri, emozioni e azioni attraverso monologhi intensi e dialoghi taglienti.
Di particolare rilievo s’è dimostrata la tematica del rapporto tra donna e parola, in cui è stato affrontato in particolare il monopolio maschile della parola – e qui già si nota l’impronta di Gigliola Amonini, impegnata nel trattare tematiche importanti e mai scontate, come già due anni fa, dove con il laboratorio Pgi portò in scena Donne, dedicato al ricordo e alla celebrazione del coraggio e del talento di figure femminili. Troppo spesso si parte dalla concezione preconcetta che siano gli uomini a detenere le risposte circa la complessità del mondo. Basti porgere l’occhio ad alcune forme di governo ancora attuali, in cui vale l’idea che «dare potere alle donne è una problematica». Ma non bisogna guardare tanto in là, a sistemi politici lontani da noi, per osservare che effettivamente «la parola è potere», e quindi l’uso di essa possa diventare un metodo di controllo, di radicamento d’idee, fino a costituire una vera e propria arma. È sufficiente guardare nella nostra quotidianità, in cui uomo di strada e donna di strada assumono connotazioni differenti – l’uno un individuo vissuto, virile, dal fascino rozzo, l’altra una semplice prostituta – oppure, anche se magari con toni scherzosi (che, difensivamente, velano però uno sfondo sessista), si guarda alla donna come una creatura che «la piàsa, la tàsa, e la staga sempre in casa».
Basta considerare frasi “innocenti” come questa per dedurre che saper impiegare le parole efficacemente, non solo adattandole ad un proverbio maschilista, ma anche piegandole al proprio volere e alle proprie idee (o idealismi), può diventare un mezzo malevole, di distruzione, anziché di creazione. Infatti, sottolinea lo spettacolo, la democrazia – intesa come il potere delle persone – muore dove muoiono le parole, ovvero: laddove le parole vengono a mancare, si attivano dinamiche di violenza, fino al punto estremo in cui una frase può dare la vita o impartire la morte.
Dal palcoscenico emerge anche il fatto per cui essere in grado di descrivere e rappresentare il mondo che ci circonda con le parole giuste significa non essere capaci di descrivere la realtà, e pertanto di plasmarla con l’idea del bene. E se non si posseggono i mezzi adeguati a descrivere ciò che ci circonda, o se ci si abbandona ad un uso distratto e inconsapevole della parola, come spesso vien fatto nei media moderni, la via verso la crescita viene sbarrata, lasciando spazio alla barbarie, alla violenza, alle armi. E così il nostro dono più grande, la capacità che ci distingue dagli altri animali, risulta inutilmente sprecato.
Parole fa quello che la buona arte tende sempre a fare, ossia, non si limita ad offrire allo spettatore piacere e gratificazione, ma lo interpella, mettendolo sotto una lente. In questo modo un’opera supera il semplice fine estetico dell’arte per toccare una dimensione più profonda, stimolando il pensiero critico, tematizzando e invigorendo una discussione attorno all’opera ed alle sue tematiche, invitando il pubblico a esplorare temi complessi o ambiguità morali. Ecco, uscendo dalla sala, dopo un lungo e meritato applauso per ottime prestazioni e il grande impegno degli attori, della regista e della produzione, ci si è sentiti in questa maniera, dopo aver assistito a Parole.