Quaresima e tentazioni

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Matteo 4,1-11
Sermone del 9 marzo 2025

Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. E, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. E il tentatore, avvicinatosi, gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pani». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio”».

Allora il diavolo lo portò con sé nella città santa, lo pose sul pinnacolo del tempio, e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; poiché sta scritto: “Egli darà ordini ai suoi angeli a tuo riguardo, ed essi ti porteranno sulle loro mani, perché tu non urti con il piede contro una pietra”». Gesù gli rispose: «È altresì scritto: “Non tentare il Signore Dio tuo”».

Di nuovo il diavolo lo portò con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria, dicendogli: «Tutte queste cose ti darò, se tu ti prostri e mi adori». Allora Gesù gli disse: «Vattene, Satana, poiché sta scritto: “Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi il culto”».

Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli si avvicinarono a lui e lo servivano. (Matteo 4,1-11)

Oggi è la prima domenica di quello che si chiama “tempo di passione”, detto anche “quaresima”. La parola “quaresima” è la contrazione dell’aggettivo latino “quadragesimo” – cioè, quarantesimo [giorno] – e indica il quarantesimo giorno prima di Pasqua. Il “tempo di passione”, o appunto “quaresima”, è un periodo di preparazione in vista della Pasqua. Nella tradizione della chiesa questo era un periodo di pentimento e di digiuno.

Perché quaranta giorni? Per ricordare i quaranta giorni di digiuno e preghiera trascorsi da Gesù nel deserto nel corso dei quali fu tentato dal diavolo. Ecco, quindi, perché il racconto delle tentazioni di Gesù era letto e commentato proprio in questo periodo, che ricordava a sua volta i quarant’anni trascorsi da Israele nel deserto. Nel corso di quel lungo viaggio, il popolo di Dio cedette ripetutamente alle tentazioni: basti pensare all’episodio del vitello d’oro.

Già nella chiesa antica il racconto delle tentazioni di Gesù veniva letto e commentato nel “tempo di passione”, o “quaresima”.

È il racconto di un episodio che avviene in un momento strategico della missione di Gesù, proprio all’inizio, subito dopo il battesimo nel quale una voce dal cielo lo ha dichiarato figlio di Dio. Ora si tratta di vedere se effettivamente egli lo è oppure no.

Prima di esaminare da vicino le tre tentazioni, occorre sottolineare una cosa: quelle del diavolo sono ottime proposte, sensate, convincenti, seducenti. Il diavolo non è un mostro. Dimentichiamo le raffigurazioni che lo dipingono come un essere ripugnante, con la coda e gli zoccoli da caprone. Se il diavolo fosse un mostro, sarebbe facile riconoscerlo e starne alla larga. Ma il diavolo non è affatto mostruoso, al contrario è un personaggio presentabile, intelligente, in giacca e cravatta. Non per niente il grande romanziere russo Fedor Dostoevskij lo ha chiamato “lo spirito intelligente del deserto”.

Il diavolo che incontriamo nel nostro testo non consiglia nulla di male, anzi, fa delle proposte ragionevoli, che ognuno di noi potrebbe fare.

Che cosa c’è di male a trasformare una pietra in pane per sfamare un affamato? Gesù non potrebbe fare nulla di meglio che trasformare le pietre in pane.

Che cosa c’è di male a buttarsi giù dal tempio e non farsi male? In altre parole, che male c’è a fare un miracolo? Gesù ne ha fatti tanti di miracoli. Perché non dovrebbe fare anche questo?

Che cosa c’è di male a prendere nelle proprie mani il governo del mondo? Non è forse per questo che Gesù è venuto su questa Terra? Non sarebbe proprio questa la cosa più bella che si possa immaginare?

Dobbiamo allora concludere che quelle che siamo abituati a chiamare tentazioni, in realtà sono grandi occasioni che il diavolo suggerisce a Gesù? Dovremmo forse intitolare quel racconto biblico non “le tentazioni di Gesù”, ma “le grandi occasioni di Gesù”?

No, quelle suggerito dal diavolo sembrano occasioni, ma sono tentazioni. Sembrano bene, ma sono male. Così sono in realtà quasi tutte le tentazioni: sono affascinanti, promettono il paradiso, appaiono come bene. Ma in realtà sono male travestito da bene.

Veniamo finalmente alle tentazioni descritte nel racconto di Matteo. Oggi riflettiamo brevemente sulla prima delle tre.

Dopo quaranta giorni di digiuno nel deserto Gesù “ebbe fame”. Noi non sappiamo più che cosa significa avere veramente fame, perché la nostra è fame saziata. Ma sappiamo che per ottenere del pane le persone veramente affamate sono disposte a tutto. Quella del pane è un’esigenza primaria, assoluta: puoi fare a meno di tutto, anche della libertà, anche dell’amore, ma non del pane. Perciò quando il diavolo tenta Gesù puntando sulla sua fame, sa quello che fa: per fame uno è disposto a fare qualunque cosa.

Detto questo, ciò che il diavolo suggerisce a Gesù non è nulla di illecito: che cosa c’è di più ovvio che procurarsi del pane perché si ha fame?

“Se sei il figlio di Dio dì a questa pietra che diventi pane”. Eppure, questa proposta, che sembra ragionevole, e cristiana, è diabolica.

Perché lo è? Perché è una tentazione e non un’occasione? In che cosa consiste la tentazione? Le tentazioni qui sono due, una dentro l’altra.

La prima, è questa: il diavolo suggerisce a Gesù di procurarsi lui il pane necessario a sfamarsi. È come se gli dicesse: “Non chiedere a Dio il tuo pane, Dio ha altro a cui pensare. Procurartelo tu, dato che puoi farlo. Prendi in mano la tua vita, chiedi a te stesso il pane quotidiano”.

In un certo senso, il diavolo suggerisce a Gesù di modificare il Padre Nostro: non più “dacci il nostro pane quotidiano”, ma dire a Dio: “Per il nostro pane quotidiano ci pensiamo noi, non hai bisogno di pensarci tu, ce lo diamo da noi, non hai bisogno di darcelo tu”.

Questa è la prima tentazione: dubitare che Dio si occupi del nostro pane, considerarci autosufficienti, non riconoscere più in Dio colui il quale ci dona tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere.

Dentro questa tentazione – separare Dio dal nostro pane quotidiano, quindi ad esempio non ringraziarlo più prima dei pasti, né per nessun altro dono che egli ci fa – ce n’è una seconda, che è questa: il diavolo invita Gesù a utilizzare i suoi poteri per saziare la sua fame. Gesù si trova in una situazione di pericolo, rischia di morire di fame. Il diavolo, fingendo di volerlo aiutare, lo invita a fare qualcosa per sé, solo per sé.

Gesù però è, dall’inizio alla fine della sua missione, l’uomo per gli altri. Mai nei Vangeli si dice che Gesù abbia fatto qualcosa per sé: egli ha fatto tutto per gli altri e solo per gli altri.

A questo punto qualcuno potrebbe dire: “Ecco, Gesù non si occupa della sua fame, ma solo di questioni spirituali”. Non è vero. Gesù non si occupa della sua fame – perché non pensa solo a sé stesso -, e si occuperà invece della fame della folla che lo aveva seguito per ascoltarlo. Ma neppure allora trasformerà le pietre in pane: prenderà i cinque pani e i due pesci dei discepoli e li moltiplicherà, cioè li condividerà.

Con quel gesto, Gesù vuole farci capire che, quando si condivide il pane, quando prevale la solidarietà, il pane si moltiplica e può sfamare tutta la folla. Gesù non è venuto a trasformare pietre in pani, bensì a trasformare cuori di pietra in cuori intelligenti e solidali, pronti a introdurre strategie capaci di superare il problema della fame.

Resta da commentare la parola con la quale Gesù affronta e vince questa prima tentazione: “Non di pane soltanto vivrà l’uomo”.

Con questa frase ha voluto dire, come nel Sermone sul Monte, che la vita è più del nutrimento e il corpo è più del vestito.

Il pane è indispensabile per vivere – senza pane non c’è vita -, ma la vita è più del pane. E che cosa c’è in questo “più”? C’è il senso della vita, perché una vita senza senso non è vita; c’è l’amore, senza il quale la vita è un deserto; c’è la fede, senza la quale la vita è un enigma; c’è la speranza, senza la quale la vita è paralizzata; c’è la poesia, l’arte, la musica, la scienza, la filosofia, lo sport; c’è il lavoro che riempie il tempo e procura soddisfazione; ci sono le relazioni che sono la trama della vita; c’è la conoscenza, la ricerca, anche la ricerca di Dio.

Dicendo che l’uomo non vive di solo pane – cioè, di soli beni materiali – Gesù ci invita a dare alla nostra vita la pienezza di significati per la quale Dio l’ha creata e ce l’ha data. Non accontentiamoci quindi di una vita povera di significati.

Pastore Paolo Tognina