Dove va la montagna della Valposchiavo? O per meglio dire dell’intera area alpina? Come è possibile conciliare la specificità di un paesaggio, la sua quiete e la sua natura con l’economia turistica?
Facciamo un passo indietro. L’estate scorsa, ad esempio, la vicenda di un pagaiatore di SUP (Stand Up Paddle, una sorta di tavola sulla quale si pagaia in piedi) nel Lago Saoseo e la relativa indignazione di un escursionista hanno suscitato un’enorme quantità di polemiche.
Mentre per qualcuno il silenzio della montagna è sacro, per altri la fruizione della stessa ne include implicitamente un minimo di attività umana.
Cominciamo a sgombrare il campo dai due estremi: quelli che vorrebbero la natura come un luogo intoccabile e quelli che la interpretano come un parco giochi: in entrambi i casi si tratta di posizioni irrealistiche. Nel primo perché le Alpi (e la Valposchiavo non fa eccezione) sono soggette all’attività umana da millenni e vi si svolgono molte attività anche economiche diverse dal turismo come l’agricoltura e l’allevamento.
Quanto alla seconda, il “parco giochi” finirebbe per scontentare tutti, perché oltre al danno ambientale, le varie attività si ostacolerebbero e non potrebbero convivere: credo che non sia immaginabile una montagna piena di motoslitte e motocicli ed elicotteri che portano i turisti in ogni dove che convivano con i camminatori.
È dunque chiaro che dobbiamo collocarci in un punto, per così dire “di mezzo”. Ma questa posizione, che pure appartiene alla tradizione svizzera, risulta essere spesso la più difficile da determinare: fino a che punto l’attività umana e turistica va consentita?
Se consentiamo alle biciclette, uno strumento ecologico e silenzioso, il transito sui sentieri, sarà inevitabile incontrarle nei tratti promiscui, perché non sempre è possibile disegnare percorsi diversi per pedoni e ciclisti. Se non lo facciamo, tuttavia, perdiamo la possibilità di avere l’importante contributo offerto dal cicloturismo alla Valposchiavo.
Le regole, poche e chiare, già esistono e devono fissare ciò che visibilmente è oggettivamente problematico per il rispetto reciproco e per quello della natura, ma non si può regolamentare tutto: ridicolo pensare a una disciplina che autorizzi se nuotare (e come) e se usare un SUP in un laghetto.
Una riflessione viene però spontanee anche sulla proprietà della montagna, che è “di tutti” e quindi, al contempo, non appartiene a nessuno. Nessuno, quindi, ha più diritto di camminare su un sentiero: che si sia nati in Svizzera o in Croazia o in Italia, che si sia di Poschiavo, di Tirano o di Catania, che si abbia o meno pagato una notte in albergo, tutti possono ugualmente fruire del ristoro, dei bei paesaggi e dell’aria pura. Gratuitamente. E non possono scegliere chi lo fa accanto a loro, così come non abbiamo il diritto di scegliere chi frequenta con noi una spiaggia o la piazza di una grande città.
Credo che la soluzione sia quella, semplice e quasi banale, del buon senso. Partire dal presupposto che non siamo soli, quindi da un lato dobbiamo cercare sempre di far sì che la nostra presenza non sia ingombrante per gli altri, dall’altro accettare che vi sono altri accanto a noi, con differenti desideri, abitudini e modi di vivere la montagna.
Magari potremmo continuare a insegnare che la Valposchiavo non finisce al Lago Saoseo e in Val di Campo (come da anni cerca di fare Valposchiavo Turismo) e promuovere la scoperta anche di altri angoli discosti.
Se mai chi la montagna la vive da sempre può insegnare agli altri l’accoglienza, l’amicizia, il rispetto e quel senso di comunità che spesso si prova condividendo… Una tavoletta di cioccolato con uno sconosciuto su una cima. Dall’alto possono venire solo regole, ma la buona convivenza arriva sempre dal basso.