Io non mi chiamo Miriam – Majgull Axelsson

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Ho finito questo libro pochi giorni fa, non ero certa di volerne, o saperne, parlare. Ma eccomi a dire qualcosa…
La frase che dà il titolo al libro la troviamo nelle prime pagine. È una donna di 85 anni a pronunciarla, una donna fintasi qualcuno per garantirsi dapprima la sopravvivenza e in seguito una vita più sicura.
Il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno Miriam parlerà finalmente della vera sé, ripercorrerà gli anni dell’infanzia e della prima gioventù all’interno dei campi di concentramento.
Un punto di vista diverso su quegli anni, quello che ci dona la Axelsson, che si cala con grande maestria in una realtà che per decenni è stato tabù portare in narrativa, se non di testimonianza. Un libro ricco di sfumature che racconta l’animo umano quando l’umanità tradisce. Non dico altro… leggetelo!

«Io non mi chiamo Miriam», dice la protagonista il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno quando il figlio le regala un bracciale d’argento di un artigiano zingaro con inciso il suo nome. Quella che le sfugge è una verità tenuta nascosta per settant’anni, da quando la ragazzina rom di nome Malika salì su un convoglio in partenza da Auschwitz per Ravensbrück: un pezzo di pane che aveva in tasca scatenò una rissa dopo la quale, per non farsi fucilare, infilò i vestiti di una coetanea ebrea morta durante il viaggio. Così Malika indossò la stella di David, diventò Miriam, sopravvisse ai lager, si ritrovò in Svezia degli anni Cinquanta (una società incapace di comprendere veramente le atrocità subite nei campi di concentramento e in generale la guerra in tutto il suo orrore) e poi ospite di una signora bene della Croce Rossa… Il costante timore di essere scoperta e il dramma di una vita trascorsa a mentire, negando i ricordi e gli affetti del passato per paura di ritrovarsi sola, il problema dell’identità – etnica, nazionale, culturale, ma prima di tutto personale – nelle sue molteplici sfumature: raccontando un volto meno conosciuto dell’Olocausto, Io non mi chiamo Miriam parla a questi tempi segnati dal sospetto verso l’«altro», e forse anche da una confusa incertezza su chi siamo e dove andiamo.


di Begoña / pagina fb