Quando la sofferenza è palpabile, quando l’emozione è così intensa da chiuderti la gola e impedirti di parlare, quando negli occhi di tutti la paura è un’ombra presto sostituita dalla determinazione vorresti solo tacere, perché capisci che ogni parola è comunque inadeguata a descrivere ciò che stai vivendo. Per me questa opzione è preclusa: sono nel mezzo della storia contemporanea e lo sono nella veste impegnativa di “visitant internacional”, osservatore internazionale al referendum catalano del 1° ottobre, il referendum per l’indipendenza che Madrid non riconosce e che la gente di Catalunya invece ha chiesto e ottenuto con una legge della Generalitat.
Sono volata a Barcellona venerdì sera, in tempo per la riunione di sabato che ha accolto oltre un centinaio di osservatori da tutto il mondo; ho vissuto con i catalani l’attesa e con loro ho condiviso tutta la tensione ai seggi. A una settimana di distanza le immagini di violenza contro un popolo che chiedeva di votare hanno fatto, giustamente, il giro del mondo; l’Europa resta sostanzialmente sorda alle istanze di libertà di un popolo che ha lingua, cultura e identità per essere tale. Cinici e pavidi, convinti che le Costituzioni siano scolpite nella pietra, destinate a essere per sempre piuttosto che patrimonio in divenire delle generazioni, come accade invece nella Confederazione Elvetica, terra di libertà e di democrazia, i politici di mezzo mondo hanno girato la testa dall’altra parte, derubricando le vicende catalane come un fatto interno ai confini spagnoli. Solo oggi che la situazione si fa sempre più tesa e potenzialmente pericolosa, evocando spettri del secolo scorso, ci si rende conto che le vicende catalane sono le vicende dell’intera Europa.
Nel referendum catalano ci sono tanto le ragioni del “sì” che del “no”; unionisti e indipendentisti argomentano, discutono, propongono; il referendum è l’approdo maturo e libero di un popolo che sa scegliere democraticamente, partecipando. Eppure, lo abbiamo visto tutti, domenica scorsa la gente ha dovuto conquistarsi questa possibilità con coraggio e determinazione; ciò che dovrebbe essere un diritto acquisito di ogni comunità, chiamare la propria gente al voto per conoscerne la volontà, in Catalunya si è trasformato in una prova di coraggio che ha coinvolto intere generazioni. Le scuole sede di seggi sono rimaste aperte per l’intera notte per evitare che venissero sigillate; è stata una sfida costruita sull’intelligenza, sulla caparbietà, sull’audacia, una sfida che pur con più di ottocento feriti, i catalani hanno vinto.
Dignitat, dignità, votiamo per la nostra dignità; votiamo per avere il diritto di decidere: ho ancora nelle orecchie le voci di centinaia di persone che ho incontrato ai seggi, persone come tutti noi, che mi avvicinavano, osservavano il tesserino di riconoscimento, mi stringevano la mano felici di vedere che con loro c’erano anche stranieri, lì per osservare, osservare che tutto fosse regolare, che loro potessero esprimersi. Qualcuno ci ha chiamato gli “angeli dei seggi”: è troppo, ma è probabile che la nostra presenza abbia permesso a molti cittadini di votare in un clima più tranquillo. Quanti occhi lucidi ho incrociato domenica scorsa, quante lacrime ho visto scorrere sulle gote accaldate da ore di attesa, quanta tensione ho letto nei loro sguardi e quanta emozione ho percepito osservando in silenzio quelle processioni infinite di cittadini in coda dalle 5 di mattina in attesa di un voto; ho visto abbracciare le urne elettorali, ho visto anziani in sedia a rotelle accompagnati dai figli e ho visto anziani infermi che di fronte all’urna hanno voluto alzarsi, sorretti dai volontari; ho visto intere famiglie con i propri bambini, in coda paziente sotto una pioggia battente che ha flagellato Barcellona fin verso le dieci. Ho visto, ho ascoltato, ho respirato la loro tensione e la loro forza, la soddisfazione e la determinazione con cui, man mano che il tempo scorreva, raggiungevano i seggi; li ho osservati applaudire tutti coloro che uscivano dai seggi dopo aver votato, con entusiasmo, sollievo e gioia.
Comunque la si pensi, domenica scorsa i catalani hanno dimostrato al mondo intero di essere un popolo di pace; hanno dato prova di essere determinati, audaci, organizzati; hanno regalato al mondo intero la profondità di un sogno che diventa realtà. Non so dire cosa accadrà ora; so solo, e ne sono certa, che la vecchia Europa dallo scorso 1° ottobre non sarà mai più la stessa, comunque finisca la crisi catalana. I catalani, con la loro perseveranza, hanno ridato agli europei un sogno, quello dell’autodeterminazione, il diritto naturale che precede ogni Costituzione e che permette alle comunità di riunirsi, riconoscersi e organizzarsi. Loro ci credono, si sono battuti e si batteranno per la dignità di essere popolo.
Chiara M. Battistoni