Silvia Montemurro dedica un racconto alla torre Belvedere di Maloja e al visionario conte De Rennesse.
Come una vacanza rilassante può trasformarsi in un viaggio nel tempo, dove risuonano le note di Arturo Toscanini e il conte De Renesse torna a farsi sentire…
Sara soffriva di una grave forma di insonnia.
Quando le dissero di prendersi una vacanza dal suo stressante lavoro da reporter, la sua prima reazione fu pensare a quanti servizi fotografici si sarebbe persa, nel frattempo. Ma accettò.
-Dove dovrei andare?- chiese al suo medico.
Quello alzò un sopracciglio e rispose: -Ma signora. Io le ho consigliato un po‘ di svago, di relax e di Xanax. Per il resto, faccia pure lei. Si affidi a un’agenzia viaggi.-
Così, sconsolata, a quarantacinque anni, Sara si ritrovò per la prima volta in un’agenzia viaggi. Era molto a disagio: solitamente, i suoi viaggi erano per lavoro. La vera vacanza, erano quei pochi momenti che si concedeva a casa, sdraiata sul divano, insieme al suo gatto.
Ascoltò con disinteresse la petulante ragazza dell’agenzia, che le offriva una rilassante vacanza sulle spiagge di un’isola Greca o un entusiasmante viaggio in India, meditazione con campane tibetane incluse. Infine, Sara sbuffò.
-Senta- le disse – lasci stare. E‘ evidente che non mi va di andare da nessuna parte e stando qui le sto solo facendo perdere tempo.
Fu allora che dalla scrivania della ragazza cadde un volantino. Maloja Palace. Un hotel immerso tra le montagne innevate.
-Perché non mi ha proposto una cosa del genere?- sbottò, stupita.
-Non pensavo le interessasse la montagna-
-Non mi è mai interessata granché- ammise Sara – ma questa neve… E questa torre? Che cos’è questa torre?
La ragazza alzò le spalle. Non sapeva neppure cosa ci facesse lì, quel volantino.
-Andrò qui. Ho deciso- disse Sara. E non volle più sentire ragioni.
La sera successiva, Sara rientrò all’Hotel dopo una passeggiata sul lago ghiacciato di St. Moritz. Era tutto molto rilassante, tutto molto suggestivo. Ma le mancava qualcosa. Si stese sul letto dai morbidi cuscini e ripensò a quella torre. Chi l’aveva costruita? E perché?
Il suo spirito giornalistico non la smetteva di curiosare. Aveva provato a chiedere e le avevano raccontato una storia talmente assurda, che neppure lei, così fantasiosa, aveva voluto crederci.
Provò a chiudere gli occhi. Forse si sarebbe addormentata anche senza sonnifero, quella notte. Invece no. L’Hotel, che sembrava così silenzioso, pareva essersi risvegliato tutto di un botto. Dalla hall proveniva una musica d’orchestra, mentre risate acute di donne riecheggiavano su per le scale ed entravano dritte in camera sua, passando attraverso la pesante porta della sua stanza.
-Una vacanza rilassante-, mormorò Sara e decise di alzarsi dal letto.
Uscì in vestaglia, per andare a parlare con il direttore dell’Hotel. Quel clima di festa, dopo la mezzanotte, non le era tollerabile. Voleva andarsene subito. Sulle scale incontrò due uomini, vestiti in giacca e cravatta, che la guardarono come se fosse appena uscita dal manicomio.
Non avete mai visto nessuno in vestaglia?, pensò Sara, sempre più scocciata.
Quando arrivò nel salone principale, non poté credere ai suoi occhi. Era stato completamente allagato e in mezzo due signori russi, eleganti e ubriachi fradici, cantavano O sole mio, a bordo di una gondola.
-Cosa diavolo sta succedendo?- si chiese Sara.
Poi si accorse che una donna, in disparte, la stava osservando. Fumava e aveva uno sguardo acceso. Non era una bellezza classica, ma con quei capelli scompigliati e gli occhi da gatta, risultava ancora più affascinante. Sara avrebbe pagato oro per scattarle una foto.
-Mi chiamo Sarah- le disse, con voce melliflua – Sarah Bernhardt. E credo che questa festa sia incantevole. Non dovrebbe rimanere lì, in vestaglia, a osservare con gli occhi sbarrati. Venga. Le offro da bere-
Sara, che non fece in tempo a presentarsi, seguì la sua forma sinuosa fino al bancone.
-Io veramente sono qui per rilassarmi- cercò di protestare. Ma poi mandò giù tutto d’un fiato la vodka e si ritrovò circondata da principi russi, a bere e parlare di niente, dato che la lingua era diversa.
-Non capisco- chiese a Sarah – se tu sei l’attrice che credo, in che diavolo di epoca sono finita?-
Sarah fece uno strano sorriso e abbandonò la testa all’indietro.
-Vuoi sapere della torre. Sei qui per questo. Vero?-
Come l’aveva indovinato?
Sara pensò di aver bevuto troppo.
Ma l’attrice la prese per mano e la condusse nell’enorme terrazzo dell’albergo. Strano, Sara era in vestaglia eppure non aveva freddo.
-Guarda – disse – guarda bene. Quella torre è la dimora del conte de Renesse. L’uomo che ha voluto tutto questo. L’uomo che del Maloja ha fatto lo splendore che vedi oggi-
-Lui vive lì?- Gli occhi di Sarah si incupirono e lei fece una smorfia.
-Lui non ci vivrà mai-, rispose – perché tutto sta per finire-
-E chi è il direttore d’orchestra che dirige con quel piglio, là fuori?-
-Ma come- ribatté Sarah – non l’hai riconosciuto? E‘ Arturo Toscanini-
Sara pensò di essere impazzita. Indietreggiò di qualche passo, mentre la mano dell’attrice tentava di avvilupparla a sé.
-Non andartene- la pregò –scattami una foto. Scattami una foto-
In quel momento, Sara sentì un urlo. Lo udirono anche tutti gli invitati al ricevimento. Un uomo si era lanciato dalla cima della torre.
-Succede ogni volta- le spiegò Sarah – non ti devi preoccupare-.
-Chi si è lanciato?-
-Il conte. Il conte che ha fallito. Tutto era perfetto. I sogni, la visione. Devi essere un visionario, per realizzare qualcosa di grande, come ha fatto lui. Ma più ti spingi in alto, più forte sarà lo schianto della caduta-
-Ma come è possibile? Quanto tempo è passato su questa terrazza?-
-Una manciata di anni. Tu credi che il tempo passi più in fretta, qui. Ma sei davvero sicura che non valga lo stesso per la tua vita?-
Sara la guardò, come illuminata.
-Ti prego- disse .aspettami qui. Questo è un pezzo giornalistico che farà svoltare la mia carriera. Non te ne andare. Rimani appoggiata lì, come sei. Vado a prendere la mia macchina fotografica e torno-
L’attrice annuì.
Sara fece le scale di corsa, tornò in camera sua e trovò la macchina fotografica sulla scrivania. Uno strano silenzio, adesso, regnava, là fuori.
Riaprì la porta, colta da uno strano, straziante presentimento. Le scale erano appena illuminate da una fioca luce e tutto era immobile. Il salone della hall giaceva nella penombra.
-Non è possibile- mormorò Sara – non è possibile-
Spalancò la porta che dava sul terrazzo e una corrente di aria gelida le aprì la vestaglia. Qualcuno rise, o forse era solo il vento. Sara sospirò.
-Se sogni in grande, la caduta sarà ancora più dolorosa-, disse qualcun altro alle sue spalle. Era la voce del conte de Renesse, lei lo sapeva. Ma non ebbe il coraggio di girarsi.
-Erano tutti qui, davanti a me- mormorò.
-Si sente bene, signorina?- le chiese il custode, che si precipitò a chiudere la porta.
– Non proprio- ammise lei – mi era sembrato di vedere… O forse ho sognato…-
Lui sorrise.
-Prima volta in questo hotel? Qui la gente viene per sognare. Per incantarsi. E qualche volta, il conte de Renesse sceglie qualcuno perché si ricordi che tutto questo è stato progettato da lui-
-Ma quella donna… Sarah… l’attrice…-
Il custode finse di non capire, poi a bassa voce, così bassa che Sara forse interpretò male le sue parole, disse: – C’era anche lei? Allora ha proprio visto tutti…-
Sara sapeva che la notte dell’incanto era finita. Ma qualcosa dello spirito del conte le rimase attaccato per sempre. Devi essere un visionario, per realizzare qualcosa di grande.
Silvia Montemurro