ATE: una finestra per gli anziani

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Lasciarsi cullare dai ricordi

L’ora del notiziario è l’ora in cui mi siedo comodamente quieta e rilassata sulla mia poltrona a lavorare a maglia. Godo quei piccoli piaceri che lo sferruzzare può dare. Accendo il televisore quasi per abitudine, seguo più o meno distrattamente le vicende annunciate. Solo di quando in quando dò una sbirciatina allo schermo, continuando a sferruzzare. Le notizie sono più o meno quelle che ho già appreso dal notiziario che la radio mette in onda la mattina quando si accende la radio-sveglia. In questi mesi si susseguono le informazioni sul Covid19; ascolto con più attenzione i dettagli ufficiali con un misto di gratitudine per chi s’impegna in prima linea in questa situazione surreale per poter avanzare e trovare delle soluzioni. Ma ogni tanto ecco la notizia bomba ed allora i ferri rimangono a mezz’aria, un attimo dopo depongo il lavoro a maglia in grembo e non mi perdo neanche una parola.

Una sera alla fine delle informazioni e raccomandazioni sulla situazione del Covid19 vien fatta la domanda a alcuni giovani: – Come vivete, come interpretate questo periodo con tutte le limitazioni che emana il governo… che dite? – “Sì, effettivamente anche noi giovani dobbiamo rinunciare a tante abitudini; la nostra libertà di scelta è ridotta al minimo. Ci preoccupa il futuro nel campo lavorativo, siamo un po’ confusi. Anche noi dobbiamo reinventarci e cercare di sostenere chi cerca di aiutarci. Comunque, grazie alla tecnologia possiamo rimanere vicini alla famiglia. La persona che mi manca più di tutti è la mia nonna; mi mancano i suoi pranzi deliziosi, le sue carezze, i suoi sguardi pieni di comprensione… il suo tempo.”
È strano come affiorano i ricordi, quando, anche solo per un attimo senti parlare di persone che per te erano molto importanti. Basta lasciare uno spiraglio aperto e loro escono liberi portando con sé ognuno la propria sfumatura di colore. La mia nonna gestiva con la sorella minore di mia mamma una panetteria, la ex panetteria Dorizzi. Quanti ricordi… Vedo il libretto nero pieno di preghiere, scritte da lei con la sua bella calligrafia rotonda; pregava a voce alta per insegnare a me e alle mie sorelle l’importanza del raccoglimento. Il suo sorriso era dolce, mi dava tanta gioia e coraggio anche nei momenti un po’ tristi. Sapeva raccontare tante fiabe; era buffa quando faceva i versi degli animali o cercava di imitare qualche personaggio. Il gioco a carte, prima “scarbunin” poi “scala quaranta” era la sua passione. A me non piaceva molto, ma partecipavo perché non volevo deluderla! (L’avrà capito? Ora che sono nonna anch’io, penso proprio di sì!) In “stüin” ho vissuto i miei pomeriggi più belli; si trovava sopra il forno della panetteria era sempre ben temperato e le merende domenicali variavano secondo le stagioni. Una domenica d’inverno con le mie sorelle e i ragazzi, i vicini di casa, avevo vinto la gara: la mia montagnetta di gusci di noci, nocciole e spagnolette, le pelli di mandarini e arance era la più grande! Il giorno dopo ero a letto con una bella indigestione. Niente scuola, ma un grande mal di pancia e la testa che… girava! In cucina… quante buone pietanze, era una cuoca perfetta. Sento ancora il profumo della minestra di orzo, dell’arrosto di manzo cucinato nel forno della panetteria, dei pizzoccheri, dei tortellini con la marmellata o la frutta sciroppata e mi torna l’acquolina in bocca. I nomi dei fiori e delle erbette li conosceva tutti. Appena possibile ce li mostrava e ci spiegava tutte le loro virtù. Davanti al negozio c’era una panchina. Le serate d’estate mi sembravano lunghe mentre ascoltavo i suoi racconti. Con lei osservavo il volo delle rondini attorno al campanile della collegiata di S. Vittore e aveva sempre qualche aneddoto da raccontare. Alle volte si intratteneva in negozio con una o l’altra cliente; ero esclusa dai loro discorsi; questo però è stato il miglior modo per stuzzicare la mia curiosità.

Ero sempre attenta a captare una parola, a cogliere uno sguardo, a scoprire il significato di un sottinteso; ma lei pronta mi spediva in magazzino a riordinare. Il profumo del pane fresco era costante; “michin, michi, biscutin, ghipfeli, pan da segal e… panin e morakof”. Li trovavo spesso freschi anche a cena. A lei non piacevano i soprannomi. Nei primi anni di scuola mi chiamavano Puci. Derivava dal primo teatrino, Cappuccetto Rosso, che con Suor Afra a “scölina” avevamo presentato a genitori, parenti e amici. Non era d’accordo e basta, e la sua faccia si oscurava ogni volta che lo sentiva. Spesso ripeteva che voleva insegnarci “al viva dal mond”! Ci sarà riuscita?
Grazie ava Emilia, quanto amore, disponibilità, generosità, comprensione e quanta pazienza hai avuto con le tue nipotine, eri veramente speciale.
Lentamente riprendo il lavoro a maglia ed esco dal mio vecchio libro dei ricordi. Buona giornata.


Roberta Zanolari

1 COMMENTO

  1. Grazie Roberta per questo bel ricordo di tua nonna , l’indimenticabile “zia Emilia”!
    Era zia di mia mamma, anche noi la chiamavamo così. La vedo ancora, già avanti con gli anni, con passo insicuro, sempre vestita di scuro ed un fare pacato, ma sopratutto con quegl’occhi ingigantiti da occhiali a fondo di bottiglia, che svelavano un’insolita mitezza e bontà d’animo. Questo ricordo, oltre alla sua delicata cucina; infatti frequentemente a mezzogiorno mangiavamo da lei, io aiutavo quella “piccola peste” di una Puci, a sinistra sulla foto, nella consegna del pane a domicilio..
    Emanuele Bontognali