Il biologico non è per tutti

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In misura sempre maggiore, le persone si stanno rendendo conto dell’importanza dei metodi biologici adottati in agricoltura e in allevamento. La Valposchiavo, in questo senso, è un esempio virtuoso, seguito e invidiato da molte regioni. In pochi, però, considerano che questa pratica, con una popolazione mondiale in continua crescita, non sarà praticabile ovunque: la resa per ettaro, infatti, è in genere ben più bassa (tra il 20% e il 45% in meno) rispetto ai metodi convenzionali.

Il rapporto delle Nazioni Unite “The World Population Prospects”, pubblicato nel 2019, stima che la popolazione mondiale, nel 2050, raggiungerà i 9,7 miliardi. Secondo gli indicatori presi in esame, inoltre, a fine secolo, sulla Terra vivranno 11 miliardi di persone. Un dato che preoccupa: se da una parte, infatti, sono in aumento le fasce più povere della popolazione, dall’altra è sempre più pressante lo sfruttamento delle superfici coltivabili e adatte per l’allevamento, fatto che si traduce, tra le altre cose, con una crescita continua dell’inquinamento.

L’inquinamento dell’aria e del cibo che mangiamo è determinata prevalentemente dagli scarichi industriali e urbani, dall’uso eccessivo o non ben controllato di fertilizzanti e pesticidi in agricoltura e infine dalla cattiva lavorazione degli alimenti, che induce ad eccedere con conservanti o additivi in genere. Anche per questi motivi, negli ultimi decenni, a seguito di un uso intensivo dei pesticidi, usati per incrementare la produzione e far fronte così ad un aumento della popolazione mondiale, è nata l’esigenza di consumare prodotti biologici.

Questa pratica, che sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, escludendo l’utilizzo di prodotti di sintesi e degli organismi geneticamente modificati, in Europa è stata regolamentata per la prima volta nel 1991. In Valposchiavo, l’attenzione verso un’agricoltura sostenibile si fa risalire al «Progetto Poschiavo»(1997-1998). Da lì a qualche anno, nel 2012, il progetto «100% (Bio) Valposchiavo» viene lanciato ufficialmente.

Come ormai tutti sanno si tratta di un piano d’azione di grande rilevanza economica e turistica, tanto che sta ispirando anche la vicina Valtellina attraverso la creazione di un apposito Distretto Biologico, promosso dal progetto Interreg Italia Svizzera “SINBIOVAL – Progetto per lo sviluppo sinergico dell’agricoltura biologica in Valtellina e Val Poschiavo” di cui la Comunità Montana Valtellina di Sondrio è capofila.

Seppure la bontà dei metodi biologici sia ampiamente riconosciuta, come detto in apertura, il loro utilizzo, allo stato attuale, non sarebbe adatto a soddisfare le richieste di una popolazione mondiale in continua crescita. Questo è stato confermato anche da uno studio pubblicato su “Nature Communications” condotto dall’agronomo Adrian Williams dell’Università di Reading (Regno Unito). Ipotizzando una completa conversione di agricoltura e allevamento in Inghilterra e Galles, le emissioni dirette di gas serra risulterebbero inferiori del 6% rispetto allo stato attuale (-20% per l’agricoltura e -4% per l’allevamento); mantenendo però inalterata la superficie attualmente destinata al settore, la produzione crollerebbe del 40%, rendendo necessaria l’importazione da altri Paesi. La totale conversione al biologico, secondo lo studio, si tradurrebbe, paradossalmente, in un aumento delle emissioni di gas serra.


Marco Travaglia

Marco Travaglia
Caporedattore e membro della Direzione

1 COMMENTO

  1. È vero, l’agricoltura biologica non è per tutti. La terrà però è una sola! È veramente più produttivo un terreno che rende tanto grazie ai fertilizzanti, ma che dopo alcuni anni di coltivazione intensiva è “bruciato” oppure uno che rende meno, ma rende a lungo negli anni e non ci avvelena?

    Personalmente m’impegno a consumare prevalentemente prodotti biologici stagionali e possibilmente locali. Certo, lo posso fare perché sono una persona privilegiata ma noto che ancora in tanti pensano di fare un affare a comprare un pollo di scarsa qualità a basso costo, quando con gli stessi soldi potrebbero comprare, rinunciando alla frequenza del pollo, un formaggio d’alpe o carne di manzo locale di altissima qualià. È anche una questione di istruzione, cultura, non solo di portafoglio: a fare una pasta per la pizza con farina biologica impiego 10 minuti, a comprarla già fatta e non biologica mi costa di più soldi e poco tempo in meno, per non parlare della qualità. Un’insalatona biologica preparata a casa e portata in ufficio mi costa anche circa tanto uguale ad un’insalata “pàsa” che potrei comprare alla stazione di Coira…Un osso buco alla milanese non sarà un filetto, ma a saperlo preparare esce uno spettacolo…

    È fondamentale che anche i paesi in via di sviluppo non perdano/non debbano sacrificare la loro agricoltura tradizionale e cultura del cibo.
    Trovo importante il lavoro dell’associazione Slow Food, che da anni s’impegna a sensibilizzare sulla cultura sostenibile del cibo.