Due intriganti incontri al Centro Evangelico di Cultura di Sondrio
“Due sopravvissuti di Auschwitz, discutono tra di loro e scherzano sulla loro vita da deportati. Dio passa vicino e dice loro: “Come osate ridere di Auschwitz?” E uno dei sopravvissuti dice a Dio: “Tu non puoi capire. Tu non c’eri”.
Questa storiella ebraica, raccontata dalla rabbina Delphine Horvilleur, viene buona per introdurre il tema dell’incontro al Centro Evangelico di Cultura di Sondrio del 13 novembre. Il dibattito, moderato da Emanuele Campagna, ha visto l’intervento iniziale di Ilenya Goss, pastora valdese, seguito da quello di Matteo Bergamaschi, filosofo, autore di libri e docente.
Lo stesso Dio che interviene nella storia per salvare il popolo ebraico dalla schiavitù d’Egitto, perché ha permesso lo scandalo della sofferenza degli innocenti “passati per il camino” ad Auschwitz?
Bergamaschi ha preso le mosse da due testi di pensatori ebrei del Novecento: “Difficile libertà” di Emanuel Lévinas, “Il concetto di Dio dopo Auschwitz” di Hans Jonas.
Per brevità limitiamoci a Jonas, sintetizzando molto.
Il suo ragionamento parte dalle sofferenze di Giobbe e dai suoi perché urlati a Dio, per arrivare ad una risposta sostanzialmente opposta a quanto si desume proprio nel libro di Giobbe. Sostiene Jonas: In “Giobbe” la risposta “si richiama alla pienezza di potenza del Dio creatore, la mia si richiama alla sua rinuncia alla potenza. E nonostante ciò — per quanto la cosa possa risultare strana — l’una e l’altra intendono lodare e glorificare Dio: la rinuncia avvenne infatti acciocché noi potessimo essere. Anche questa, almeno così a me pare, è una risposta a Giobbe: il fatto che in lui Dio stesso soffre”.
Concentriamoci sulla rinuncia di Dio alla potenza. Ma come ci arriva Jonas? Un passo indietro: “Tre gli attributi tradizionali di Dio: bontà assoluta, potenza assoluta e comprensibilità” di quanto rivelato a Israele nella Torah. Nella pienezza dei tre attributi nulla può spiegare la Shoah. Se si toglie bontà o comprensibilità si confligge rovinosamente con il messaggio biblico. Non resta che definire meglio l’onnipotenza. E qui Jonas ricorre ad un concetto presente nella Qaballah ovvero alla dottrina dello Tzimtzúm, che “significa contrazione, ripiegamento, autolimitazione. Per fare spazio al mondo lo En-Sof originario, l’infinito, dovette contrarsi in sé stesso e in questo modo lasciar sorgere al di fuori di sé il vuoto, il Nulla, nel quale e dal quale gli fu possibile creare il mondo.
Senza questo ritrarsi in sé stesso, nessuna realtà diversa sarebbe stata possibile al di fuori di Dio e solo un’ulteriore
contrazione consente alle cose finite di restare in sé stesse, di non perdere nuovamente l’essere che è loro proprio nel divino tutto in tutto.
Rinunciando alla sua inviolabilità il fondamento eterno consentì al mondo di essere. Ogni creatura è debitrice dell’esistenza a questo atto di autonegazione e ha ricevuto con essa tutto ciò che può ricevere dall’aldilà. Dopo essersi affidato totalmente al divenire del mondo, Dio non ha più nulla da dare: ora tocca all’uomo dare. E l’uomo può dare, se nei sentieri della sua vita si cura che non accada o non accada troppo sovente, e non per colpa sua, che Dio abbia a pentirsi di aver concesso il divenire del mondo (…) Grazie alla superiorità del bene sul male in cui noi confidiamo in virtù della logica non causale che governa le cose di questo mondo, la loro nascosta santità può controbilanciare una colpa incalcolabile, saldare il conto di una generazione e salvare la pace del regno invisibile.”.
Insomma, Dio contraendosi e ritirando la sua onnipotenza, finisce per lasciare uno spazio per altri, in questo caso l’uomo, facendogli assumere un reale protagonismo nell’agire storico, perfino organizzando la Shoah.

Secondo appuntamento al C.E.C. il 27 novembre con “Marlianici, Chiesa e Moroni: tre eminenti famiglie riformate di Sondrio, Valmalenco e Castione”. Presenti Tiziana Marino, direttrice dell’Archivio di Stato e Marcella Fratta, assessora alla Cultura di Sondrio, che per C.E.C. ha pronunciato parole di stima e di apprezzamento per la sua ardua opra.
Prima relatrice la ben nota studiosa Saveria Masa. Prima di lei è intervenuto il pastore valposchiavino Paolo Tognina, che ha citato quanti hanno dato voce, corpo e anima alle comunità riformate purtroppo sterminate nel Seicento. Pur apprezzando molto le analisi storiche di ampio respiro, Tognina si è dichiarato entusiasta del lavoro certosino dei ricercatori che disegnano da tempo tratti biografici di grande interesse, citando la relatrice Masa e lo storico tellino Gian Luigi Garbellini.
Cominciamo da Garbellini: “Il 27 settembre 1575 si celebrano a Zuoz le nozze di Carlo Besta, figlio del nobile Azzo Il, noto propugnatore tenace della fede cattolica. Carlo, giovane bello, gentil Signore, da ben, ricco et potente – declama in poesia l’amico Pietro di Bergamo – impalma Anna giovane bella più ch’el Sole… dell’importante famiglia Travers. È un matrimonio d’amore o unicamente d’interesse? Forse l’uno e l’altro insieme, certamente in grado – si crede — di rinsaldare le relazioni con i Grigioni e con i protestanti. Per la camera nuziale nel suo palazzo, il giovane Besta commissiona al pittore, per compiacere la sposa, scene unicamente ispirate ai primi undici capitoli della Genesi. Con atto cortese, ordina anche di non rappresentare in sembianze umane la figura dell’Eterno Padre per rispetto della sensibilità protestante della consorte. Anna, convinta praticante della Chiesa riformata, è figlia del potente Johann Travers, notaio di Zuoz, che nel biennio 1577-1578 sarà governatore della Valtellina. Lo sposo ben presto viene accusato di aver costretto la moglie ad assistere alla messa. Carlo lo ammette sinceramente nella lettera del 27 settembre 1576 affermando di averlo chiesto qualche volta solo come atto d’amore verso di lui. Nella lettera, indirizzata a Johann de Salis, cugino di Anna e commissario a Chiavenna, egli ribadisce di concedere alla consorte piena libertà di partecipare al culto evangelico e di assumere il sacramento del corpo di Cristo secondo i riti e le istituzioni della religione riformata evangelica”.
Sappiamo che Azzo morì nel 1587 a soli 35 anni. Purtroppo, sappiamo anche che due figli di Azzo e di Anna furono tra i più feroci persecutori dei riformati durante il sacro macello.
Non sappiamo infine, se la loro madre, Anna Travers, fosse ancora in vita nel 1620. Speriamo di no, ritenendo che sarebbe stato per lei devastante l’operato dei figli.
Veniamo infine al racconto di Saverio Masa.
“La guida della parrocchia di Sondrio che, a quel tempo, oltre al borgo abbracciava le comunità della Val Malenco e di Castione Andevenno, era stata affidata per quasi mezzo secolo (1520-1566) all’arciprete Bartolomeo de Salis. Personaggio tra i più sconcertanti del mondo ecclesiastico locale, il Salis riassumeva in sé tutte le piaghe più evidenti della Chiesa di quel tempo. La situazione di grave abbandono spirituale aveva letteralmente spalancato le porte alla Riforma. Sempre più forti si facevano infatti le istanze di rinnovamento religioso in favore di una spiritualità che prendesse le distanze da questa Chiesa sempre più corrotta e lontana dalle esigenze dei fedeli.
Sondrio, insieme a Chiavenna e Tirano, era divenuta una delle mete privilegiate dai riformati italiani, detti esuli religionis causa. Sede del governatore di valle e capoluogo periferico del governo grigione, il borgo rappresentava un importante crocevia di transito e di congiunzione tra la Repubblica di Venezia, da sempre più tollerante in materia religiosa, e le regioni a nord dello spartiacque retico ormai guadagnate alla Riforma.
Decisivo era stato in quegli anni l’arrivo di Pier Paolo Vergerio, ex vescovo istriano, già predicatore riformato in Bregaglia. Divenuto nel 1552 ministro della comunità riformata di Mossini, quasi tutta la popolazione locale si era convertita alla Riforma, unico caso in tutto il territorio della Valtellina e della Valchiavenna.
I Chiesa.
Fautori della Riforma in Val Malenco, due di loro meritano una particolare menzione: l’ex sacerdote Bartolomeo Chiesa poi divenuto primo pastore riformato della valle e il figlio Giovanni che aveva studiato teologia ad Heidelberg ed era succeduto al padre nella guida della comunità riformata. Forti dei loro incarichi istituzionali, i Chiesa avevano instaurato significative relazioni economiche e sociali con le vallate retiche confinanti, attraverso la commistione di rapporti anche di natura parentale con la compagine riformata bregagliotta ed engadinese.
Da ricordare a questo proposito anche Tommaso, fratello di Bartolomeo, notaio, giurisperito, console di giustizia del Terziere di Mezzo, sposato a Maria Ruinelli, riformata bregagliotta.
Se a Mossini l’adesione alla confessione riformata ebbe un’impronta più popolare, a Sondrio la diffusione della fede riformata andava acquisendo un carattere spiccatamente elitario. E infatti ecco gli elementi che legano le tre famiglie in questione: attività notarili e professioni giuridiche; vasti patrimoni finanziari grazie a rendite fondiarie, attività commerciali, prestito di denaro; incarichi pubblici.
I Marlianici. Notai lariani trasferitisi a Sondrio, costruirono nel tempo un patrimonio importante. Furono zelanti fautori della Riforma. Ricordiamo tra di loro Bartolomeo, ministro a Sondrio, e Camilla, sposa del pastore lucchese Scipione Calandrino.
La famiglia estendeva i propri interessi nel vicino comune di Castione. A proposito di Castione Aloisio Marlianici fu curato cattolico del paese: teologo erudito, non sappiamo se avesse simpatie per la Riforma, ma sappiamo anche che ebbe un figlio teologo erudito un figlio, Tommaso
Il curato successore di Aloisio nel 1558 si rivolse al capitano di Valle chiedendo licenza per contrarre matrimonio. Da notare che si fa assistere dai riformati Tommaso Chiesa e da Bernardo Moroni, notaio.
Ed ecco la terza famiglia, i Moroni appunto.
Unica famiglia ad aderire alla Riforma a Castione. Filippo aderì presto alla Riforma. Cercò di legittimare una comunità a Castione, ma senza successo, proprio per l’irrilevanza dei numeri degli adepti.
Riuscì a diventare cancelliere di Valtellina, affiancando il capitano di Valle. Subì anche una grave aggressione.
I giovani Chiesa e Moroni crebbero assieme condividendo amicizie, formazione religiosa e culturale presso le Università di Ginevra, Basilea e Zurigo.
Tutti loro furono vittime del “sacro macello”