Scegliere

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Matteo 8,34-35
Sermone del 13 marzo 2022

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Chiamata a sé la folla con i suoi discepoli, Gesù disse loro: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua.  Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del vangelo, la salverà” (Marco 8,34-35).

Queste parole di Gesù sono facili da capire, ma difficili da accettare. Sono parole dure, che sembrano respingere chi le ascolta. Probabilmente lo sono sempre state, ma lo sono in modo particolare in questo nostro tempo in cui siamo convinti che la felicità derivi dal possedere e che sia la quantità di esperienze accumulate a rendere l’uomo veramente uomo.

Gesù presenta invece la sua proposta come un cammino inverso, contrario, un rinunciare: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.

La rinuncia di cui parla Gesù si può esprimere con tre verbi: scegliere, abbandonare, sacrificare. Oggi riflettiamo sul primo di questi: scegliere.

La fede, o come dice il racconto dell’evangelista Marco, l’andare dietro a Gesù, il diventare discepoli e discepole di Gesù, è sempre una scelta.

Scegliere vuol dire avere davanti a sé due o più possibilità, due o più strade, soluzioni, ipotesi, e prenderne una abbandonando le altre. Volgersi verso una e girare le spalle alle altre.

Chi nella vita, e anche nella vita della fede, non è capace di scegliere e non fa delle scelte, non va avanti, non cresce, non diventa adulto, rimane bambino.

Ora si potrebbe dire che i bambini sanno scegliere – ed effettivamente è ciò che spesso si sente dire – vogliono scegliere, hanno sempre la mano protesa per prendere. Certo, è così, ma quella non è scelta, è semplicemente l’istinto che dice: “Tutto quello che vedo è mio e me lo prendo”. E quando i bambini scelgono è sempre per accaparrarsi ciò che sembra migliore, più interessante, più conveniente.

Ma questo non è saper scegliere. Saper scegliere significa saper distinguere quello che è bene, che è opportuno e giusto fare. Scegliere è frutto di intelligenza, di maturità, di consapevolezza. La fede è anche questo: è questa maturità e consapevolezza, la capacità di scegliere, di orientarsi nelle decisioni.

Scegliere significa prendere e lasciare. La scelta della fede significa prendere Gesù e lasciare ciò che non è Gesù. Nella fede non si può mettere tutto insieme e Gesù in più, fare un mucchio di tutto quello che si ha, si vuole, si cerca, si spera, si trova e in cima metterci la croce, come fanno gli alpinisti che mettono il loro nome sulle montagne e, per fare i cristiani, piantano una croce.

No, sulla montagna dei tuoi sogni e dei tuoi ideali, delle illusioni e delle evasioni, dei piaceri e degli interessi, delle sensazioni e delle esperienze, del potere e delle ideologie, non si può mettere nessuna croce. Gesù, il suo evangelo, non si assomma al resto, non è la ciliegina sulla torta. Gesù sta per conto suo.

Perché la fede, una vera fede, matura, responsabile, adulta, e perciò nonconformista, indipendente, è oggi così rara e così difficile da trovare?

Perché è diffusa la pratica del non scegliere, del non voler scegliere, mai, per paura di perdere qualcosa, di dover rinunciare a qualcosa. Siamo angosciati all’idea di non avere abbastanza tempo per sperimentare ogni cosa, abbastanza soldi per acquistare ogni cosa, abbastanza mani per impossessarci di ogni cosa, abbastanza sensi per percepire ogni cosa. Angosciati, anche se spesso non coscienti di esserlo, all’idea che potrebbe esserci qualcosa che non ho avuto.

Forse, in definitiva, siamo spaventati dalla consapevolezza che se smettessimo di affannarci in questa corsa, potrebbe non rimanerci nelle mani altro che il vuoto.

Se si crede che la felicità derivi dalla quantità di beni e di benessere che uno possiede, dalla massa delle cose viste, sentite, godute, assaggiate, sperimentate, è inevitabile pensare che la fede sia un procedimento analogo, che l’essere discepoli e discepole di Gesù o, più semplicemente, che la religione di Gesù, sia una delle tante esperienze che si aggiungono alla vita, una in più del resto.

Gli apostoli non la pensano così, anzi, affermano proprio il contrario: credere significa scegliere. O lui o te stesso, o il suo criterio o i tuoi. Per questo la fede è faccenda da adulti e non da bambini – e ci sono adulti che sono come bambini, e bambini che sono già adulti.

Sia che tu cambi la tua vita all’improvviso, sia che tu la maturi lentamente: sempre si richiede la maturità di adulti, uomini e donne, che si incamminano lungo una strada di crescita umana, seguendo le orme di Gesù.

Pastore Paolo Tognina