Il crollo del Ponte Morandi a Genova mi ha riportato ad una lezione di fisica di quasi 40 anni fa. Per spiegare cosa fosse il fenomeno di risonanza, il professore ci mostrò un video che catturò tutta la nostra attenzione. Credo che ancora oggi l’unico concetto di fisica che mi sia rimasto chiaro è quello della risonanza. Imparato per sempre.
Guardatevi ora il video in questione, poi, se ne avrete voglia, vi invito a leggere il seguito di questo scritto.
Il 7 novembre 1940 il Ponte di Tacoma nello stato di Washington aveva solo 129 giorni, e venne giù oscillando al ritmo di un valzer lento, come fosse di gomma. Colpa della risonanza.
La risonanza è un fenomeno fisico che si presenta quando un sistema oscillante (nel nostro caso il ponte) viene sottoposto ad una sollecitazione costante (per es. il vento) della stessa frequenza di quella del sistema. A questo punto le due oscillazioni, incontrandosi, si amplificano accumulando tantissima energia all’interno del sistema.
A Tacoma fu il vento dunque la variabile non sufficientemente prevista dall’ingegnere. Un vento poi neanche tanto forte quel giorno, 60 nodi orari quando normalmente raggiungeva i 120!
Il fatto è che quel vento costante e insistente sollecitò il ponte con un’oscillazione uguale a quella intrinseca della struttura, e fu fatale: si svilupparono forze torsionali tali da sollevare il ponte come un lenzuolo e farlo poi crollare.
Ora, al di là dell’eccezionalità e della spettacolarità dell’evento, c’è sempre qualcosa che accomuna tutti i ponti crollati, sia che lo siano per un bombardamento, per un terremoto, per un difetto strutturale o per incuria: parlo di quell’immagine angosciante dei due monconi rimasti lì, inermi come due vedette fantasma.
Forse è il significato stesso della parola ponte – collegamento tra due rive opposte, avvicinamento, legame e incontro – a rafforzare quest’impressione. Così quando un ponte crolla, pare che crollino anche tutti questi significati, lasciando gli osservatori annichiliti e sperduti.
Il 14 agosto scorso, intanto che tutti stavamo per metterci a tavola, è crollato il Ponte Morandi a Genova. Una costruzione tanto imponente da risultare arrogante, così incurante delle case e i quartieri che scavalcava.
La polemica ora è aperta. Ma per chi rimane a guardare resta l’immagine struggente di due monconi ormai vuoti di significato.
Così ho pensato ai lavori di manutenzione avvenuti in questi ultimi anni sulla nostra strada, parzialmente sospesa sul lago. Magari, durante il cantiere, abbiamo anche reclamato per le attese al semaforo, per le code nei momenti di punta, ma in verità era anche un piacere vedere la professionalità di quella gente al lavoro. L’impressione era davvero quella di assistere ad un lavoro ben fatto.
E oggi, alla luce di quanto appena accaduto a Genova, mi vien da ringraziare per quel lavoro lungo e difficile, ripromettendomi di avere molta più pazienza quando mi troverò in coda al prossimo cantiere.
Serena Bonetti
E’ proprio vero Serena, un ponte crollato racconta di due monconi che da soli non hanno più ragione di esistere. Si resta basiti e spaventati. Il disastro di Genova, con la tragedia delle tante famiglie distrutte, ha scatenato nel mondo intero riflessioni profonde su affidabilità e tempestività di intervento.
Ciò che emergerà dalle indagini scientifiche diventerà patrimonio del mondo intero. come accadde nel secolo scorso per il ponte di Tacoma (nulla a che vedere con la struttura di Genova, però) e come accade ogni volta che disastri di qualunque genere colpiscono Paesi nel mondo.
Forse proprio questo sapere condiviso renderà quei due monconi meno spettrali e allevierà un poco (solo un poco) il dolore composto ma profondo di questi giorni.