Manca pochissimo alla prima di Fenice. Poschiavo e Il Bernina ha visitato il Punto Rosso, dove fervono gli ultimi preparativi. L’atmosfera generale è quella di un laborioso entusiasmo. Il gruppo è affiatato e sorridente e dopo pochi minuti arriva Oliver Kühn, il regista. Intervistandolo ho capito perché vale la pena andare a vedere Fenice. Poschiavo
Siamo alla fine della preparazione, ma all’inizio di un’avventura?
Dell’avventura? Sì, certo, ma anche e soprattutto di un buon lavoro. È come aver fatto una bella torta: la pasta è fatta, la crema è fatta e ora possiamo mangiare anche le ciliegie. E forse sono mature, forse sono passe, ma finalmente siamo alle ciliegie.
Quanto tempo è durata la preparazione?
Ci sto lavorando da due anni.
Un evento teatrale, più che uno spettacolo
Sì, è un evento esclusivo. Ed è per la Valposchiavo: a Zurigo non funziona, a Basilea non funziona, forse chissà per i Pus’ciavin in bulgia. E per noi è molto interessante rendersi conto che c’è una generazione che non sa più nulla dell’alluvione: sa qualcosa dai ricordi dei genitori ma pensa che non riguardi i giovani.
Alcune persone pensano che non ci sia più bisogno di ricordare l’alluvione… Invece secondo me abbiamo trovato la soluzione. Non facciamo un lavoro storico: prendiamo l’alluvione come un esempio della situazione attuale politica, economica, culturale.
Una fase di crisi?
Sì, diciamo che tutti pensano “è tutto grave, non sappiamo come gestire la situazione”. E invece dobbiamo imparare che nella crisi c’è sempre la possibilità di creare qualcosa di nuovo. Noi vogliamo sempre conservare, invece… Prendiamo Poschiavo, vedendo le foto prima e dopo l’alluvione: certo prima c’erano alcuni dettagli più belli ma in generale l’alluvione è stato un momento per trasformare la valle, farla cambiare. L’alluvione è stata una catastrofe, ma poi è nato un paese nuovo. Non è grave aver ricevuto dei fondi, è giusto che Poschiavo sia stata aiutata a rinascere. A volte le cose buone nascono dalle tragedie. Facciamo un altro esempio: la Prima guerra mondiale è stata una catastrofe, ma la chirurgia ha imparato a realizzare e usare le protesi per gli arti.
Fenice è un titolo ottimista, giusto?
Sì certo, anche lo spettacolo alla fine della prima parte è molto triste, ma la seconda parte è un vero fuoco d’artificio.
È la quarta volta che vieni a Poschiavo per un lavoro: cosa è cambiato rispetto alle altre volte?
La crisi portata dal Coronavirus ha lasciato problemi. Non sono per esempio riuscito a trovare persone che facessero parte dello spettacolo, anche se abbiamo avuto la collaborazione dei cori. Il mio sogno sarebbe quello di fare un grande spettacolo, partecipato da tutti, sulla Piazza, e sarebbe molto importante anche per la popolazione locale. Soprattutto dopo la pandemia, questo senso di appartenenza alla comunità è fondamentale
Sono qui per la quarta volta perché Poschiavo mi piace, credo che le persone abbiano intuito molte cose, anche con 100% Valposchiavo. Ora abbiamo attori dal Ticino, dalla Svizzera interna, dall’Italia ma avere qualcuno del posto, magari in un grande spettacolo per tutti, sarebbe davvero un grande obiettivo.
Oggi c’è la prova generale, alla quale verranno anche i cori?
Sì, esatto, verranno anche il Coro Misto poschiavino e il coro Doppia V, perché li vogliamo ringraziare per il lavoro che hanno fatto per lo spettacolo.
Fenice avrà dodici date ma per quante persone?
Si tratta di 80 posti a serata. L’esperienza ci dice che funziona: certo, ci sono anche delle persone che ci seguono anche dalla Svizzera interna sino a qui ma, ovviamente, il successo dipende soprattutto dagli abitanti della Valposchiavo: lo spettacolo è per loro.
Da quanto siete qui?
Dal primo giugno, sono sei settimane, ma abbiamo fatto alcune prove prima a Zurigo.
Ho visto uno spazio scenico molto lungo, che occupa il lato lungo della sala, come mai?
Ci sono cinque palcoscenici, ogni storia ha il suo: la gente a destra ne vede un altro rispetto a quella a sinistra, al centro c’è il “negozio di Margherita Bondolfi” il cui personaggio è anche narratore. Quando ho visto il Punto Rosso ho capito che i punto difficile da gestire erano l’acustica (e a questo abbiamo rimediato con molte prove ed esercizi) e la presenza dei pilastri, che abbiamo poi gestito avanzando lo spazio scenico.
Perché un valposchiavino dovrebbe venire a vedere lo spettacolo?
Io ho visto 20 anni fa la prima volta Poschiavo, e quando ho letto la storia della valle e ne ho compreso la posizione geografica le ho trovate molto interessante. È una Svizzera nella Svizzera. Per i poschiavini potrebbe essere importante per non perdere la storia, sapere che questo luogo è un esempio di rinascita. Un microcosmo in cui si vedono i meccanismi del mondo. Ce lo chiediamo anche nello spettacolo: la Valposchiavo del 1987, non è un po’ il mondo di oggi? I valposchiavini hanno fatto un buon lavoro dopo l’alluvione, sono un po’ più forti
Hai trovato una buona collaborazione?
Sì, certo, da parte di tanti privati, gente che ha visto il valore di questo lavoro. Poi anche gli albergatori, anche perché qualcuno arriva da loro anche grazie a questo spettacolo e infine Valposchiavo Turismo.
Mi piacerebbe che insieme a 100% Valposchiavo arrivasse 100% cultura Valposchiavo. La globalizzazione è in crisi e lo sono anche le mete esotiche. Restano le destinazioni che avrebbero la possibilità di mostrare la propria cultura, le proprie storie, la propria autenticità. E questa valle e i suoi abitanti sono ricchissimi di storie, di cui vanno giustamente orgogliosi e sarebbe bellissimo le presentassero agli altri.
Dall’intervista, ma anche dalla gestualità e dai suoi occhi mentre ne parlava, ho capito che l’amore di Oliver Kühn per la Valposchiavo è reale e autentico. Spero davvero che molti abitanti della Valposchiavo possano andare a vedere Fenice. Poschiavo.
… spero anch’io che molti Valposchiavini vadano a vedere questo spettacolo! Bellissimo.