Quali sono gli obiettivi del “nuovo” Consiglio per la pianificazione?

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La pianificazione è un tema poco amato dai politici, perciò non è una casualità che alle domande poste durante gli ultimi dibattiti elettorali, siano seguite delle risposte vaghe o persino insignificanti. Molto è cambiato dall’ultima revisione comunale del 2003 e regionale del 1999, eppure, non si direbbe che nell’ambito della pianificazione il comune si trovi confrontato con delle problematiche preoccupanti e cruciali. Tantomeno che siano utili nuove strategie per contenere la crescente disfunzione territoriale e trovare delle soluzioni alle esigenze sempre più complesse della società e dell’economia.

Ma un intervento pianificatorio ponderato non è attuabile se la politica si limita a considerare gli interessi specifici o a rilevare le urgenze che si sono accumulate nel corso degli anni. La condotta perseverata dal Consiglio negli ultimi otto anni, chiudendosi in una torre d’avorio, non ha generato grandi risultati. Le problematiche restano irrisolte e non sono poche. Ciononostante, se vogliamo predisporre lo sviluppo delle risorse territoriali alle sfide future, stavolta sarà forse l’ultima occasione per ottimizzare il tessuto degli insediamenti e l’utilizzo delle superfici rimanenti.

In questo senso, diversamente dall’ultimo tentativo sospeso nel gennaio del 2017, si rivela indispensabile valutare rigorosamente i prossimi passi a livello comunale (e anche a livello regionale… ) al fine di evitare uno sperpero di tempo, di energie e di denaro. Le basi legali federali, che dal 2014 registrano un notevole irrigidimento del contesto paesaggistico e agricolo, non faciliteranno l’individuazione di aree per le attività artigianali e industriali. Oltretutto, emerge un’ulteriore difficoltà generata dal nuovo piano direttore cantonale, che si prefigge d’aumentare la superficie edificabile nei centri selezionati. Ovviamente, togliendola ai comuni cui non accredita una possibilità di crescita.

Nell’ottica urbanistica l’obiettivo cantonale è plausibile, ma rivela anche una svolta decisiva della politica territoriale. Infatti, oltre scardinare l’autonomia comunale, introduce una classificazione degli interessi e delle potenzialità di sviluppo che inevitabilmente nuocerà i comuni periferici. L’imposizione cantonale d’espropriare 5’000 mq (una superficie equivalente a 6-7 particelle) è un primo passo che potrebbe ripetersi anche in futuro. La centralizzazione è un processo tangibile che cambierà la modalità territoriale del nostro cantone e, presto o tardi, annullerà l’autonomia delle zone periferiche. Pertanto, non possiamo ignorare l’inarrestabile espansione dei centri urbani, siccome è direttamente connessa allo spopolamento delle regioni periferiche.

Se nei prossimi decenni la popolazione diminuirà, questo porterà di riflesso a una riduzione delle superfici edificabili. Tutto ciò si ripercuoterà sull’economia locale e sugli investimenti edilizi privati, semmai non fosse possibile intensificare la ristrutturazione degli edifici esistenti, oppure orientarsi sul recupero di superfici edificabili all’interno degli insediamenti. Ma anche quest’ultima opzione non è semplice da attuare in mancanza di basi legali collaudate. Eppoi, va anche considerato il rischio di deteriorare il paesaggio e i requisiti urbanistico-architettonici degli insediamenti storici. Un aspetto tutt’altro che marginale, se consideriamo l’esigenza di provvedere un’ottimale qualità di vita ai residenti e di non compromettere l’affluenza dei turisti. Dunque, saranno necessari degli interventi mirati per contenere i danni e mantenere le prerogative di un comune attraente.

Le problematiche non mancano e il tempo stringe. Troveremo una risposta ai conflitti del traffico? Vogliamo rivalutare il progetto di rivitalizzazione che anni fa ci è stato presentato come una colonna vertebrale che avrebbe “riqualificato” tutto il fondovalle? I vantaggi della rinaturalizzazione dei corsi d’acqua per gli ecosistemi e la biodiversità sono innegabili, tuttavia, dei dubbi sull’idoneità di contenimento alluvionale restano. La formazione di meandri fluviali e di golene dovrebbe contenere le distruzioni alluvionali, consentendo l’esondazione sulle aree designate. Eppure, prima delle arginature (eseguite dopo il 1834) il territorio, allora molto meno edificato di oggi, è stato colpito da ben otto alluvioni tra il 1566 e il 1834. Mentre le esondazioni rilevate tra il 1839 e il 1868 non hanno raggiunto le proporzioni precedenti. Questi fatti dovrebbero far riflettere sull’opportunità d’esaminare altre varianti, poiché il progetto di rivitalizzazione non ha approfondito i problemi connessi alla conformazione topografica di diverse zone d’intervento e ancor meno i costi risultanti.

L’elaborazione di un concetto di sviluppo territoriale interdisciplinare potrebbe contribuire a valutare i problemi cui siamo esposti, a considerare l’ottimizzazione delle esigenze e delineare delle soluzioni realizzabili. Purtroppo, l’adozione di questo fondamentale strumento pianificatorio non ha trovato finora un gran sostegno da parte dell’esecutivo comunale. Troppi concetti da valutare? Troppe persone con cui confrontarsi? Forse il “nuovo” Consiglio…


Mario A. Tempini