Il libro di Loreta Godenzi, Eppure le margherite sono uguali, è uscito a fine novembre per i tipi della Tipografia Menghini in una elegante veste grafica curata da P. Belcao e da G. Di Silvestre. L’autrice ha presentato le sue pagine nella vecchia scuola di Campocologno davanti ad attento e numeroso pubblico. Ce n’era motivo, perché il racconto ambientato a Campocologno, oltre a coinvolgere la gente del posto nel ruolo di informatori o di personaggi, offre una panoramica del villaggio intorno agli anni Sessanta nel momento più prospero, quando il vivace abitato, abbagliato dal miraggio del benessere, sembrava diventare un paradiso.
Gli anni dell’infanzia trascorsi a Campocologno lasciano nella mente di Loreta segni profondi, che in seguito riaffiorano proiettando vive immagini. Sono questi ricordi giovanili, per tanti ormai inafferrabili e distanti, a bussare insistenti alla sua mente tanto che dieci lustri più tardi, grazie all’otium, decide di tradurli in scrittura.
Il titolo del libro, Eppure le margherite sono uguali, ricalca le parole esclamate dalla narratrice bambina, e più tardi dall’autrice, ai margini di un prato di margherite. Il lettore sorpreso e incuriosito da tale affermazione – forse anche perché l’associa ad altri aforismi ben più noti – trova una spiegazione esaustiva a p. 25 del libro. La certezza dichiarata nel titolo costituisce infatti il perno del racconto da cui a raggiera si dirama al resto delle pagine che, organizzate in otto capitoli di diversa lunghezza, seguono un ordine tematico che va da Campocologno a Tirano, da un personaggio all’altro. In rilievo non sono messi i maggiorenti, ma soprattutto figure umili, uomini e donne ai margini (mamme, mogli, serve) che con la loro silenziosa dedizione hanno arricchito la comunità. Tra queste manifestazioni di vita al di qua e al di là del confine, tanto vicine quanto diverse, la narratrice cerca nella sua esperienza un posto in cui riconoscersi e identificarsi.

Autenticità e schiettezza sono gli ingredienti delle sue righe che libere da enfasi, rancori o artifici letterari contraddistinguono la scrittura. Le pagine risultano tanto autentiche che richiamano le radici della terra, in cui è facile percepire sapori e umori del luogo. Loreta, appassionata lettrice di libri quanto della natura, ha preferito dar ascolto a quest’ultima per essere più vera, per poter dire: «ERA COSÌ», come così è il paese: «Lo spazio offerto ai miei occhi si limitava difatti a una stretta striscia di territorio su cui sorge il paese incastonato alla bell’e meglio tra i due versanti che paralleli scendono da nord. Non ci volle molto per capire i punti cardinali. E che dire di quello straccetto di cielo che sembra frapporsi imbarazzato tra i due fianchi?».
Campocologno e la sua gente vengono ripresi da angolature diverse, in bianco e nero, in un linguaggio essenziale, non privo di umore e affetto, ma mai nostalgico e ridondante come spesso si riscontra in questo genere di narrativa. Il paese di quasi 300 abitanti – definito da alcuni un non luogo –, viveva gli anni migliori, tanto che l’emigrato non poteva che augurarsi di tornare al suo Cunculugn.
Loreta con questa testimonianza rende omaggio a Campocologno dando voce a chi non ne aveva, un nome alle cose taciute, luce ai posti reconditi rimasti a lungo nel buio e che ora la lettura può illuminare.
Nando Iseppi
Consiglio vivamente anch’io questa lettura. Il libro, scritto con uno stile semplice ma avvincente, cattura l’essenza autentica della vita quotidiana. Le pagine sono animate di racconti genuini, le cui descrizioni vivide e le emozioni sincere ti fanno sentire parte del racconto, coinvolgendoti in un universo di sentimenti e riflessioni.
Loreta, con la sua prosa soave e diretta, riesce a rendere ogni capitolo un’istantanea di realtà. Non perdete l’occasione di immergevi in questo racconto autentico. La lettura non è solo un passatempo, ma anche un viaggio che arricchisce l’anima.