8 marzo per te, Mileva

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Per anni un poster col viso di Albert Einstein ci ha guardato da una parete del nostro studio. Ancora oggi quel viso dallo sguardo furbo e trasgressivo mi osserva dal muro di cucina; a piè d’immagine una frase celebre dello scienziato: l’immaginazione val più della conoscenza. Più di una volta mi sono chiesta come fosse stata la moglie di quest’uomo, che vita avesse fatto al fianco di un simile genio. Così sono andata a cercare, ed ecco la sorpresa.

Mileva Maric´ – un nome che ricorda il moto ondoso del mare- è partita da lontano, davvero come un’onda, per andare a spiaggiarsi su Albert Einstein.
Nata in Serbia nel 1875, cresce, bellissima ma zoppa per una malformazione congenita dell’anca, in Croatia. Intelligente, con una vera passione per la musica ed i numeri, a scuola era sempre la migliore della classe. A Zagabria in quei tempi c’era però una grande discriminazione nei confronti delle donne. Suo padre, sensibile ai talenti della figlia, riuscì a farla ammettere in un ginnasio esclusivamente maschile, ma poi Mileva decise di continuare gli studi in Svizzera, nazione che ammetteva le donne nelle sue università.

Nel 1886 venne ammessa al politecnico di Zurigo, unica donna in un corso in cui era iscritto anche Albert Einstein.
I due si incontrano e si parlano, soprattutto di fisica. Einstein, a differenza del mondo scientifico di quei tempi, non guardava certo al sesso di chi parlava di fisica. Nel 1900, Mileva, se pur sempre stata brillante negli studi, venne bocciata agli esami finali, Albert invece si diplomò. Li ritentò l’anno successivo, ma vi arrivò incinta col pancione e venne bocciata un’altra volta. Il figlio, anzi la figlia che portava in grembo, era di Einstein. Purtroppo morì ancora neonata, di scarlattina.
Poi i due nel 1903 si sposarono. Mileva, schiva e modesta, deve aver pensato di poter così continuare le sue ricerche scientifiche al fianco del marito, anche senza il riconoscimento di un diploma. In quel matrimonio deve aver visto l’unione perfetta di due menti scientifiche. Le piaceva ricordare il significato di Einstein, e cioè “una pietra”, una sola, e così amava definire la loro coppia. Probabilmente “una sola pietra” lo furono per un certo tempo, sicuramente negli anni in cui Albert Einstein trovò lavoro presso l’Ufficio brevetti a Berna.
Nel 1905, pur con un impiego a tempo pieno, nel giro di sette mesi Albert pubblicò sei lavori fondamentali delle sue ricerche , tra cui la formula più famosa del mondo E=mc². Come non pensare che anche la moglie debba aver contribuito e lavorato a queste ricerche?
Purtroppo non ci sono prove, se non qualche testimonianza scritta di Einstein che definiva quegli studi come i “nostri” lavori di ricerca!

Intanto Mileva diede alla luce altri due figli, Hans nel 1904 e Eduard nel 1910. I riconoscimenti del marito portarono poi la famiglia a Praga, dove lui insegnerà all’università. Qui il legame di pietra inizia però a frantumarsi, la relazione di coppia si fa difficile. Per salvare le apparenze e mantenere il matrimonio, Albert le propone (o impone) un regime decisamente maschilista: come moglie non avrà nessun tipo di intimità con lui, ma dovrà garantirgli vestiti puliti, pranzi cucinati, pulizia della casa, e divieto assoluto di avvicinarsi alla sua scrivania.
Non poteva durare.
Quando Mileva scoprì la relazione di suo marito con Elsa Löwenthal (tra l’altro prima cugina di Albert e in seguito sua seconda moglie) chiese il divorzio.
A Mileva rimasero i figli (il più piccolo manifesterà poi una schizofrenia) e alimenti pagati non sempre regolarmente. Nei documenti del divorzio ottenne però da Albert l’impegno a devolverle la cifra di un eventuale premio Nobel. E quando Einstein nel 1921 vinse davvero il Nobel, mantenne quella promessa e devolse l’intera somma a Mileva (sapeva in qualche modo di doverglielo?).
Poi la guerra li divise ulteriormente: ebreo, Albert si rifugiò in America dove lo raggiunse il figlio Hans. Mileva rimase in Svizzera con Eduard, sempre più malato finché, dopo diversi ricoveri, finì per essere affidato ad un tutore.

Mileva Maric´morì, colpita da un ictus, il 4 agosto 1948, a 73 anni.
Quanto davvero fece per contribuire al Nobel del marito, quanto davvero fu complice nelle sue ricerche, non ci è dato sapere, purtroppo non esistono prove. Rimangono le parole di Einstein in una delle sue frasi più celebri – il segreto della creatività è saper nascondere le proprie fonti– a lasciarci il dubbio che, forse, questa donna scienziata senza diploma sia stata l’anima creativa di quell’unica sola pietra.

Oggi, 8 marzo, come un’onda che giunge finalmente a riva, il tuo nome Mileva deposita la tua storia su questa pagina bianca.


Serena Bonetti

3 COMMENTI

  1. Ho sempre pensato che accanto ad un grande uomo c’è stata ima gramde donna.
    Anche il genio Albert Einstein non era uno stinco di santo, ma un essere umano
    come tutti noi, con pregi e difetti. Grazie a Mileva forse è diventato il migliore.

    Carpe diem Nando

  2. Un magnifico elzeviro per la giornata della donna. Scrittura di ottimo livello letterario, ma facilmente comprensibile. Un mistero della storia della scienza : i biografi di Einstein ancora litigano sull`importanza dell`indubbio contributo di Mileva Marić alle più importanti scoperte del genio della fisica.
    I contributi di Serena Bonetti non solo ci danno nuove informazioni, ma ci fanno sempre anche riflettere. Complimenti!
    gianfra