Sabato sera primo giugno, prima serata quasi estiva, primo concerto della stagione in Casa Console.
Il terzo piano sotto il tetto è illuminato dal grande lampadario, sfavillante nel gioco di luci dei suoi cristalli. Il piano a coda nero attende il pianista, il pubblico anche.
Eccolo, passo deciso, peruviano, gli occhi due fessure sorridenti. Si siede e suona.
Nessun spartito, nessuna esitazione, di colpo ti trascina dentro la sua musica.
Sua per come l’ha interpretata: Mozart, Schubert, Chopin, List… due secoli e un oceano atlantico dividono questo pianista dai compositori che ha messo in campo, eppure li ha fatti suoi per ridarli a chi c’era in un gesto di mani. E che gesto!
Il valore aggiunto dei concerti in Casa Console è che il pianista lo hai proprio lì vicino. Vedi le sue mani muoversi, vedi il respiro che sabato sera pareva un respiro dell’anima, vedi l’energia del corpo.
Suonava ad occhi chiusi Vladimir Valdivia, io mi chiedevo cosa mai vedesse. Così ho immaginato non spartiti, ma fiumi in piena, laghi tranquilli, campi di girasole, bimbi da addormentare, mani da accarezzare, tuoni nella notte, spaventi e consolazioni.
Quando la musica rallentava, lui sorrideva e quel sorriso inondava un po’ anche il pubblico. Già, mi son chiesta, ma a cosa penseranno tutte queste persone sedute ad ascoltare? E dove gli arriverà quella musica così limpida, precisa, e modulata? Di sicuro in un posto dove abitano i sogni.
Era bello sentire le ultime note rimanere sospese nell’aria fino a morire; solo allora il pianista toglieva le mani dalla tastiera, come a dire: ho provato a tenerti, ma hai vinto tu!
Un’ora di suoni liberati, trattenuti, accarezzati e regalati con grande virtuosismo. Un concerto davvero notevole in una sera generosa di quasi estate. Grazie.
Serena Bonetti