Longevità e invecchiamento: gli scenari futuri, le scelte dell’oggi

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Ancora una quindicina d’anni e ci troveremo in tanti, tantissimi a superare la soglia fisica e psicologica dei 65 anni, quel numero “magico” che nel continente europeo significa pensione imminente; un traguardo più o meno agognato che, comunque lo si viva, ha impatti profondi sulla comunità di appartenenza.

Se diamo uno sguardo alle statistiche demografiche della Confederazione, osserviamo che a oggi la fascia più numerosa nel Paese è proprio quella tra 45 e 54 anni, oltre un milione e trecentomila persone, la generazione più consistente ancora al lavoro. La piramide demografica ci restituisce un andamento che è comune a tutto il continente; costruita indicando sull’asse orizzontale la frequenza e sull’asse verticale le classi di età, nasce dall’accostamento dei due istogrammi rispettivamente della popolazione maschile e femminile. Solo a metà del Novecento, questa rappresentazione era una piramide (definita “abete”): alla base i giovanissimi e al vertice, pochi “grandi vecchi”. Oggi assomiglia più a due tronchi di piramide sovrapposti (si definisce “urna”): esile base di giovani, imponente fascia centrale e una più contenuta base superiore di over 65.

L’Ufficio federale di Statistica ha messo a disposizione sul proprio sito (www.bfs.admin.ch) un documento stimolante “Scenari per la Svizzera” che delinea diversi scenari demografici fino al 2045, illuminante quanto determinante per orientare molte delle scelte amministrative che ogni giorno vengono fatte. Parlare di demografia, infatti, significa parlare di futuro; nulla è di più complicato da cambiare nel breve periodo delle tendenze demografiche, da cui peraltro dipende il futuro di ogni comunità.

Se ai saldi demografici associamo poi la longevità, in termini di aspettativa di vita, ne emerge un quadro ancor più articolato; le proiezioni indicano nel 2017 una speranza di vita per gli uomini sessantacinquenni di 19,7 anni e per le donne di 22,5 anni. Si spiega anche così quella “pancia” sempre più pronunciata dell’”urna” demografica, che interroga le comunità sulle scelte da varare. La proiezione delle quote dei centenari, per esempio, applicata alla generazione del 1967, è pari al 4 e all’11% (rispettivamente uomini e donne), ma per i nati nel 2017 potrebbe raggiungere il 15 e il 26%, pur con tutta la cautela necessaria quando si parla di proiezioni applicate a un lasso di tempo così lontano. Sono le cosiddette politiche di Invecchiamento attivo di cui la Svizzera è protagonista da molti anni, declinate in ambito cantonale. Nei Grigioni un quinto della popolazione ha meno di 19 anni; il 62% è compreso tra i 20 e i 64 anni e circa il 20% supera i fatidici 65, una distribuzione che riflette quella dell’intera Svizzera e, stando ai dati Eurostat 2017, anche quella dell’attuale Unione Europea (19 per cento).

Dal 2012 i Paesi europei con Svizzera, Norvegia, Usa e Canada dispongono dell’Indice di Invecchiamento Attivo (L’Active Ageing Index AAI, costruito misurando le prestazioni in quattro specifici ambiti: occupazione, partecipazione sociale, vita autonoma sana e sicura, capacità e contesto stimolante per l’invecchiamento attivo). L’indice permette di raccogliere ed elaborare una banca dati di buone pratiche. Ai vertici di questa classifica ci sono Svezia (prima), Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia, Regno Unito e Irlanda; la Svizzera ha il medesimo AAI della Svezia. Gli stessi Paesi, con qualche variazione di posizione, si ritrovano nella Top Ten dei Paesi più Felici, secondo l’Indice di Felicità (Whr 2019), una correlazione che potrebbe essere il frutto degli sforzi profusi nel miglioramento di vita attiva, sociale e in buona salute. Insomma, i dati ci restituiscono una visione ben più rosea di altre zone europee, pur evidenziando ampie aree ancora da sviluppare. Siamo solo agli albori di una fase inedita, in cui imparare a capire e valorizzare vecchiaia e longevità; una fase in cui, come ci ha ricordato Serena Bonetti nel suo pezzo di qualche settimana fa, educare ed educarci alla fragilità. C’è bisogno di ricostruire uno spazio interiore per pensare al nostro invecchiamento, alla naturalità della morte; la longevità, anche quando serena e in salute, ci spinge a riscrivere abitudini, stili e scelte di vita.


Chiara Maria Battistoni