PDC, “fatti alternativi” e pianificazione

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La politica ha un influsso considerevole sulla vita di una comunità, poiché gli obiettivi e le decisioni che risultano all’interno dei partiti o delle autorità, condizionano in modo determinante le attività istituzionali. E i motivi per i quali le parti politiche scelgono una direzione, rigettando le altre, non sono irrilevanti. Se i risultati saranno positivi o negativi, dipende dal modo in cui affrontano le questioni, dalla valutazione dei metodi e delle possibilità, dalla validità degli argomenti, dalla qualità del dibattimento. In ogni modo, le decisioni dei partiti e delle autorità generano delle conseguenze, prevedibili o meno, che possono favorire o compromettere il futuro della comunità. L’inevitabile soggettività rende il tutto ancora più complesso. Ma se i politici non si confrontano con la realtà dei fatti, se ai fatti oggettivi antepongono gli imponderati obiettivi politici, gli interessi particolari o persino il concetto dei “fatti alternativi”, applicando il “meglio del trumpismo”, l’essenziale dibattito non ha più motivo di esistere. E quando ci accorgeremo delle ripercussioni, sarà troppo tardi.

L’ultima presa di posizione del PDC lascia almeno sperare che la nomina della Commissione edilizia si possa concludere senza troppi intoppi. Il partito ribadisce la necessità di colmare il vuoto legislativo in cui ci troviamo al più presto. Ribadisce inoltre l’obbligo di doversi attenere alle regole. E questo permetterebbe finalmente di chiudere un capitolo istituzionale che dura ormai da troppo tempo. Ciononostante, le affermazioni del partito evidenziano ancora diverse incongruenze che dovrebbero essere dibattute. Pur di giustificare l’operato del precedente Consiglio comunale e i contenuti espressi nella sua prima presa di posizione il partito è irremovibile. In relazione alla legittimità di una nuova organizzazione edilizia, propone il “fatto alternativo” di aver formulato una forma applicabile, ossia quella nominata dall’Esecutivo, che di fatto, stando alla legislazione attuale, è l’unica che entra in considerazione per una soluzione transitoria.

Ma lo scopo delle leggi non è quello di legittimare le inadempienze politiche e amministrative. Infatti, il Consiglio non aveva e non ha tuttora la competenza di legiferare, semmai ha il compito di applicare correttamente le normative vigenti. Tantomeno gli compete d’inventare nuove organizzazioni edilizie che la relativa legge non prevede (come il “gruppo outsourcing” che nemmeno sottostava alle tariffe dell’Ordinanza comunale sugli onorari e le indennità). Pertanto, invece di arrogarsi competenze improprie, l’Esecutivo doveva prima di tutto interpellare la Giunta, rispettando l’art. 26c della Costituzione comunale, che attribuisce al Legislativo di decidere in merito a conflitti di competenza tra le autorità comunali. Eppoi, definire transitoria una “soluzione” che dura ormai da più di due anni, prevedibile oltre quattro anni fa, è equivalente al lancio di fumogeni. Se il Consiglio comunale intendeva operare in modo efficiente, doveva solo redigere il regolamento prescritto dalla legge edilizia già dal 2003, colmare le lacune giuridiche prodotte dalla revisione costituzionale e trasmetterlo alla Giunta. In questo modo, sarebbe stato possibile evitare sia l’assurdità della situazione transitoria sia l’urgenza di sostituire l’illecito “gruppo outsourcing”. Infatti, l’attuale procedura in seno alla Giunta dimostra che i presupposti di nomina della Commissione edilizia erano applicabili già nel 2014!

Intorno a 700’000 franchi spesi per la pianificazione, ora servono dei grossi cambiamenti

Ciononostante, sono di particolare interesse le argomentazioni che dovrebbero giustificare le dilazioni nell’ambito pianificatorio. Infatti, la revisione della pianificazione locale, iniziata nel 2011, è ferma a Coira dalla fine del 2014. Il PDC individua il motivo dei notevoli ritardi nella legge federale sulla pianificazione del territorio, approvata dal Popolo il 3 marzo 2013 e in vigore dal 1. maggio 2014. Il Parlamento federale aveva già votato i cambiamenti il 15 giugno 2012, tuttavia, a causa del referendum contro la modifica della legge è stata sottoposta al voto popolare. Va comunque evidenziato che inspiegabilmente è il PDC – un partito e non il Consiglio comunale – a informare la popolazione sulla comunicazione dell’amministrazione cantonale, pervenuta in Comune inizio gennaio 2017, nella quale sono delineati dei grossi cambiamenti al lavoro svolto sino alla fine del 2014. Le prospettate modifiche sono evidentemente connesse all’introduzione delle nuove direttive federali, relative alla procedura del piano direttore cantonale.

A questo punto, sarebbe stato utile che il PDC, giacché il Consiglio non ritiene doveroso esprimersi, avesse precisato la mole delle modifiche. Infatti, stiamo parlando di una revisione pianificatoria per la quale nei consultivi dal 2011 al 2014 è registrato un importo totale di 723’416 franchi! Consideriamo che questa somma includa altre uscite, probabilmente alcune decine di migliaia di franchi, resta comunque un importo notevole per un comune con un indebitamento crescente. In più dovremmo anche sommare i costi assunti dal comune per il piano direttore regionale, poiché anche quello dovrà subire una drastica reimpostazione. E ora, spiegate come mai questo sia possibile! La votazione in Parlamento federale del 2012, il referendum e la votazione popolare del 2013 hanno avuto una notevole risonanza mediatica, che non poteva essere ignorata dai responsabili della pianificazione locale. Ma loro non avevano motivo di preoccuparsi. Tutto era sotto controllo, infatti, potevano contare sulla competenza degli esperti d’oltre Bernina.

Inoltre, bisognava concludere velocemente i lavori per il progetto Lagobianco e anche in quest’ambito non hanno minimamente considerato le ripetute contestazioni. Inevitabilmente, presto o tardi, dovremo riflettere sulle conseguenze finanziarie e pianificatorie inerenti a un progetto ormai in stato comatoso, tenuto in vita artificialmente. Tuttavia, il PDC scrive subito dopo l’anticipazione dei grossi cambiamenti al lavoro svolto: ricordiamo inoltre, per dovizia di informazione, che anche il venir meno del progetto Lagobianco ha condizionato fortemente l’attuale tempistica di revisione, togliendo di fatto quella pressione che faceva inizialmente ritenere realistico avere una nuova pianificazione e una nuova legge edilizia entro la fine del 2014, che avrebbero fatto la chiarezza necessaria. È difficile distinguere se chi ha scritto questa frase sia solo un illuso oppure abbia perso il senso della realtà.

Oltre al fatto che sono state trascurate le questioni del diritto federale e cantonale, va anche constatato, che la valutazione del tempo necessario per evadere le procedure prescritte non è stata realistica. Il Consiglio doveva, infatti, considerare l’esame preliminare cantonale, l’esposizione pubblica che realisticamente avrebbe potuto generare delle modifiche, la presentazione e l’approvazione in Giunta, la votazione popolare e i possibili ricorsi, come pure la successiva procedura d’approvazione del Governo. Persino lasciandosi prendere dall’ottimismo e pregando che non emerga il minimo intoppo, per portare a termine tutte queste fasi e introdurre il nuovo ordinamento base entro la fine del 2014, il Consiglio doveva disporre degli atti pianificatori completi verso la fine del 2012. Inoltre, diversamente da quello che cerca di suggerire il PDC, i primi indizi della “sospensione” del progetto Lagobianco sono emersi solo verso la fine del 2013 (Repower precisava che si trattava solo di un rallentamento dei lavori), mentre gli atti pianificatori sono stati inoltrati al Cantone per l’esame preliminare in dicembre del 2014! In ogni caso, da tutto questo possiamo soltanto dedurre che l’attuazione della revisione pianificatoria è stata una forzatura di Della Vedova, Heiz e Menghini. Una circostanza che costerà al comune ancora diversi 100’000 franchi – oltre a quelli già spesi – per sopperire alle insufficienti valutazione giuridiche e pianificatorie.

Le conseguenze del piano direttore cantonale

Ma non è tutto, siccome pochi giorni fa si è conclusa la consultazione sulla nuova regolamentazione del piano direttore cantonale. 120 pagine descrivono il nuovo concetto territoriale e i compiti che i comuni e le regioni dovranno svolgere per una revisione pianificatoria definitiva. Dalla documentazione emerge che verranno definite diverse categorie territoriali e funzionali, distinguendo i contesti economici, turistici, viari, residenziali ecc. Questa differenziazione ha evidentemente lo scopo di designare i centri urbani considerati adatti per un futuro sviluppo insediativo, come prescrive la legge federale. In questo modo, verrebbero ottimizzate le condizioni pianificatorie, creando le premesse urbanistiche per lo sviluppo e la possibilità dei centri di progredire nel contesto residenziale, economico-imprenditoriale e turistico. Quest’obiettivo viene però in parte ridimensionato dall’imposizione d’ostacolare il fenomeno della crescente dispersione insediativa. La limitazione delle superfici edificabili ha la conseguenza che per permettere lo sviluppo dei centri previsti, evidentemente connesso all’aumento delle superfici edificabili in dotazione, gli altri comuni dovranno procedere al dezonamento delle superfici eccessive.

Dal punto di vista teorico e razionale le analisi, che emergono dalla documentazione relativa al piano direttore cantonale, non sono contestabili. Infatti, è evidente che i territori vicini agli altri centri urbani svizzeri, dotati delle prerogative per attrarre nuovi residenti, convenientemente allacciati dalle reti viarie e dai mezzi di trasporto pubblici, sono predestinati. Simili criteri valgono anche per le località turistiche rinomante. Tuttavia, il Gran Consiglio, che dovrà approvare l’adeguamento del piano direttore cantonale, farebbe bene a concentrarsi sui punti salienti, evitando di disperdere tempo ed energia nel perseguimento dei soliti interessi particolari. Lo spazio di manovra è limitato, siccome la modifica è sostanzialmente prescritta dal diritto federale. Ciononostante, il concetto presentato rischia di compromettere ulteriormente i territori periferici. Le regioni e i comuni avranno la possibilità di elaborare delle analisi appropriate, presentando il loro modello di sviluppo (che negligentemente i nostri responsabili comunali non ha ritenuto necessario approfondire per la revisione pianificatoria). Però, senza un intento dichiarato da parte del Cantone e la disponibilità d’investire non solo nello sviluppo dei centri, ma anche in un proporzionato potenziamento dei territori periferici, le regioni come la nostra risulteranno notevolmente penalizzate.

Appena il Consiglio federale approverà il piano direttore cantonale, che demarcherà “provvisoriamente” l’ubicazione e la dimensione delle superfici insediative, toccherà alla regione e al comune rielaborare gli atti pianificatori sulla base del loro modello di sviluppo e delle indicazioni fornite dal Cantone. E in quest’ambito diventerà imperativo sfruttare al meglio i comparti urbani esistenti non ancora edificati, provvedendo alle basi legali indispensabili, e procedere anche ai dezonamenti richiesti. Un particolare da non sottovalutare consiste nel fatto che la designazione delle superfici edificabili verrà stabilita in base agli scenari dell’evoluzione della popolazione. Pertanto, se premettiamo che il piano direttore formula una prospettiva per i prossimi 20 anni e durante questo periodo non sarà raggiunto l’auspicato potenziamento a livello regionale e comunale, in un ventennio le conseguenze di uno spopolamento potrebbero risultare “drammatiche”. Per questi motivi è indispensabile attivarsi coerentemente.

Restano due belle metafore

Quattro anni fa ho scritto in un articolo di Poschiavo Viva che la pianificazione non ha lo scopo d’invadere le ultime superfici libere per intenti funzionali, ma di sondare anche i processi inerenti alla società, alla formazione, all’economia e proporre dei concetti per il loro potenziamento. Però, questo presuppone una verifica interdisciplinare di diversi temi fondamentali, come la trasformazione storica e contemporanea del territorio e degli insediamenti, l’opportunità di riqualificare il paesaggio (magari considerando pure l’interramento della linea d’alta tensione), l’urgenza di verificare le strutture viarie che pregiudicano gli abitati e il loro sviluppo o le premesse necessarie per consolidare la cultura, la formazione, le attività economiche e turistiche sul nostro territorio. Purtroppo, trascorsi più di due anni dall’inizio della legislatura, il concetto di sviluppo territoriale neanche abbozza simili argomenti, ma si limita alla decorazione linguistica e grafica degli ormai ricorrenti interventi puntuali.

A questo punto sono trascorsi più di sei anni dall’inizio della revisione pianificatoria e dopo aver speso un considerevole importo possiamo “ricominciare”. Ci restano due belle metafore, usate dai responsabili comunali per sottolineare i poetici obiettivi dell’intervento pianificatorio: la rivitalizzazione del Poschiavino quale colonna vertebrale della riqualificazione territoriale (che non potremo mai pagare…) e la cittadella del lavoro a Robbia (che, anche limitandosi alle infrastrutture d’allacciamento per il terreno di Repower, sarebbe costata al comune milioni di franchi…).


Mario A. Tempini