“Contrabbandi letterari”, Robert Walser incontra Italo Svevo

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Contrabbandi… di primo acchito si potrebbe fraintendere il concetto pensando a scambi italo-svizzeri illegali. Non è questo il nostro caso. Ci troviamo, invece, di fronte a contrabbandi letterari, ossia uno scambio transfrontaliero in ambito culturale, messo in atto dalla Pro Grigioni Italiano, insieme alla libreria Il Mosaico di Tirano, alla Biblioteca comunale di Ponte in Valtellina e alla Biblioteca civica di Tirano.

Ciclo di letture tra Valtellina e Valposchiavo

“Merce” di scambio sono due testi letterari, il romanzo italiano “Una vita” di Italo Svevo e il romanzo svizzero “L’assistente” di Robert Walser. La rassegna di quattro incontri si dividerà fra Tirano e Poschiavo con appuntamenti alternati; la lettura di brani scelti sarà spunto per un confronto dialettico tra i presenti e per un ideale dialogo tra le opere stesse. Lukas Rüsch presenta il progetto.

L’avventura dell’ufficio
Lo svizzero Robert Walser e l’Italiano Italo Svevo sono riconosciuti come classici della letteratura mo-derna europea. Senza che sapessero uno dell’altro hanno esplorato un campo finora sconosciuto dalla letteratura: la vita di tutti i giorni degli impiegati, la vita quotidiana nell’ufficio. “Una vita”, scritto da Svevo tra il 1886 e il 1892, e “L’assistente”, scritto da Walser nel 1907, focalizzano l’esperienza di un giovanotto che assume un nuovo impiego in un ufficio. I due romanzi si concludono con la fine del rapporto di lavoro.

Circa settecento chilometri separano i due ‘teatri’ dell’azione dei nostri due romanzi, l’ufficio triestino e l’ufficio svizzero. Alfonso Nitti, protagonista di Svevo, entra in una banca a Trieste, nella Banca Maller & Co. Inventando questa ditta Svevo poté sfruttare la propria esperienza; diciannovenne entrò nel 1880 nei servizi della “Banca Union” a Trieste, dove rimane fino al 1899, anche durante la stesura del romanzo stesso 1886-92.

Guardando indietro sulle origini della nostra società dei servizi
Guardiamo all’interno della Banca Maller del romanzo. Eccetto qualche frammento di conversazione è udibile un unico rumore: lo stridere delle penne degli impiegati che copiano delle cifre da una lista a un’altra, che scrivono o copiano delle lettere, le indicazioni di una cambiale ecc. I telefoni non squillano perché non sono ancora a disposizione. La Banca Maller è un campo esclusivamente maschile, guidato dal direttore Maller, ci sono poi due o tre procuratori, una dozzina di scriventi e contabili e infine il fattorino che porta i documenti da una stanza all’altra.

Trasferiamoci in un altro ufficio, è l’anno 1903. Lo scrittore Robert Walser inizia un impiego quale assistente presso un ingegnere a Wädenswil, sulle sponde del lago di Zurigo. Si tratta di un posto che include vitto e alloggio; Walser, lo voglia o no, fa parte della famiglia. È presente 24 ore su 24. Sull’esperienza di quest’impiego di sei mesi è fondato il romanzo “L’assistente”. Walser lo scriverà quattro anni più tardi a Berlino. Walser commenta il suo testo: “Non ho quasi dovuto inventare niente.”

Alienazione e compenso nella divagazione fantastica
I due protagonisti di Svevo e di Walser fanno fatica a capire quello che esige la loro professione. Si svagano durante il lavoro e commettono degli sbagli. Il biasimo dei superiori è umiliante. Alfonso Nitti soffre della superbia dei colleghi, della sfiducia che avvelena i rapporti tra gli impiegati della banca. Giuseppe Marti è soggetto a una continua alternanza tra benevolenza e malumore del suo principale capriccioso.

Ambedue i giovani impiegati sfogano il loro malessere nell’immaginazione, nei sogni ad occhi aperti. Tentano di prendere distacco, di riprendere se stessi attraverso lunghe passeggiate. Alfonso Nitti passa delle ore nella biblioteca civica di Trieste a studiare testi filosofici o letterari. Cova il progetto di un testo filosofico che renderebbe superflua tutta la filosofia attuale. Giuseppe Marti si ritira nella sua mansarda a scrivere una sorta di diario o di memorie.

L’emozione sotto il microscopio
Italo Svevo è un osservatore incorruttibile dei sentimenti più fini del suo protagonista. Ogni azione di questo è collocata in un groviglio di pretesti e d’intenzioni disperate. Svevo è quasi uno psicologo “avant la lettre”, cioè uno psicologo d’istinto (prima del suo confronto con i testi di Joyce o Sigmund Freud). Questa qualità non è dovuta a una premessa teoretica (come nel caso di Ibsen o Strindberg), ma a una straordinaria virtuosità di narratore. Svevo riesce a coinvolgerci immediatamente nello stato d’animo del protagonista, seguendo scrupolosamente il più piccolo moto interiore.

Giuseppe Marti è affascinato – e irritato allo stesso tempo – di far parte all’improvviso di una casa bene-stante, di bere il caffè di pomeriggio in compagnia della padrona di casa. L’aspetto elegante della don-na borghese occupa l’immaginazione dell’impiegato. E viceversa la signora non capisce il personaggio di Marti, il suo comportamento indeciso, l’evidente mancanza di sicurezza di sé. Tutta la condizione di vita di Marti è precaria sia per le condizioni pessime del suo lavoro sia per la volatilità dei suoi rapporti sociali. La sua esistenza è, come la descrive Marti stesso, “una giacca provvisoria”.

Fuori dalle pantofole, dentro nella vita!
Italo Svevo e Robert Walser s’inseriscono nell’avanguardia del romanzo moderno del Novecento. Sono menzionati assieme a James Joyce, Marcel Proust e Franz Kafka. Ci riferiamo liberamente a Giacomo Debenedetti, uno dei primi promotori appassionati dell’opera di Svevo. Lui descrive la spaccatura tra romanzo tradizionale e moderno: Se il lettore dell’ultimo Ottocento era abituato a leggere in pantofole davanti al caminetto, il nuovo lettore è sollecitato a coinvolgersi nella narrazione, a partecipare osser-vando dalla medesima altezza degli occhi del protagonista. Viene confrontato con una coscienza frammentata, con contraddizioni indissolubili, con tutta l’insicurezza dell’esistenza moderna.

Il romanzo moderno ci lascia senza riferimento all’istanza di un narratore omnisciente. Come se gli autori avessero avuto coscienza di questa perdita, hanno trovato un mezzo per compensare questa lacuna: l’ironia. L’ironia è una specie di complice del lettore: talvolta l’ironia mette in questione il procedimento stesso della narrazione, talvolta (soprattutto in Svevo) l’ironia spinge il racconto all’assurdo. L’inettitudine del povero Alfonso Nitti si rovescia nel ridicolo.

Per scaricare la locandina clicca qui.


Lukas Rüsch, uno dei relatori