La raccolta e il commercio dei mirtilli negli Anni 40

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Vecchie storie comuni di confine
Per noi nati in paesi di confine, vedi Valtellina e Valposchiavo, specialmente se di una certa età, ci sono storie in comune da ricordare.



Veramente il materiale non manca; vedi emigrazione, contrabbando, ebrei, vigne eccetera, ma facendo ricorso alla nostra memoria storica ci piace ricordare una cosa della quale non se ne è sentito mai parlare e forse siamo in pochi a ricordare. Si tratta della raccolta e il piccolo commercio di mirtilli in atto ai tempi della nostra infanzia, Anni 30-40, fino al dopoguerra.

Protagonista della commercializzazione, un binomio Plozza-Triacca, valposchiavini, ancora sulla breccia ai nostri giorni, ma non più in questo campo. Fornitrice del prodotto, gente d’Aprica (Valtellina) ma anche dalla Bresciana, visto che il camion da noi per caricare arrivava da Corteno, se non oltre. Un provvidenziale commercio, anche se di modeste dimensioni, ma che portava nella famiglia di quel tempo un prezioso contributo. Una parentesi unica e irripetibile ai nostri giorni in quanto il bosco ha ancora qualche spiazzo di piantine di mirtilli, ma il prodotto non basta nemmeno per un fortuito assaggio. Colpa sicuramente della trascuratezza del bosco, ormai soffocato da frasche e fogliame che più nessuno raccoglie. Ai tempi di cui ci stiamo occupando, il bosco era coperto da quelle belle verdi piantine e durante l’estate presentavano il loro frutto di colore bluastro.


La raccolta non era affidata ai grandi, visto che l’introito non era sufficiente per coprire la giornata, ma in particolare ai bambini. Per solito era la mamma che se li portava nel bosco in tarda mattinata e vi rimanevano fino a una certa ora del pomeriggio, con una pausa breve sul mezzogiorno per consumare la “marènda” avvolta in un canovaccio. Ragazzi grandicelli, ma sempre di scuola elementare, in quanto gli altri già andavano a giornata, nel bosco per mirtilli ci andavano anche da soli, tanto poi si univano a altri. Le mamme per solito si portavano la gerla (naturalmente possibilmente nuova o comunque pulita in quanto i mirtilli da consegnare dovevano essere trattati con la massima delicatezza). Altri invece usavano un cesto o anche dei secchielli. Tutti però portavano una “scatoletta” di latta legata con una cordicella in vita dove vi mettevano i mirtilli dopo averli raccolti, per di più con la solita macchinetta e poi quando era piena, la versavano chi nella gerla, chi nel cesto e chi in qualche capace secchiello. Non era un lavoro faticoso, ma pure impegnativo in quanto si doveva stare chini per ore.

Già da piccoli insegnavano come trattare quei minuscoli frutti. Raccolti per di più con la tipica macchinetta, ma anche a mano, si versava una manciata del prodotto nel cavo della mano, lo si passava dall’una all’altra delicatamente, soffiandoci sopra in modo che uscissero le inevitabili foglioline e poi si deponevano, sempre delicatamente, nel recipiente apposito. Prassi raccomandata in quanto alla consegna dovevano conservare quella patina biancastra farinosa naturale.

Al rientro in paese non si portavano nelle case, ma si andava direttamente al centro di raccolta che aveva la sede in una casa di ogni contrada. Il responsabile pesava il prodotto e pagava in contanti. Poche monetine ma preziose in quel periodo. Non servivano per comperare dolci o giochi, ma li incassava la mamma per comperare il pane. Il responsabile vuotava poi i mirtilli nelle apposite candide cassette in legno che poi al mattino presto portava sul ciglio della strada carrozzabile e all’ora stabilita passava il camion Plozza-Triacca che caricava il prodotto (dopo aver controllato che i mirtilli non fossero “pisciulec” ossia che conservassero ancora quella naturale patina biancastra). Caricato il pieno, lasciavano le cassette vuote per il giorno appresso.

Storie di fantasia? No. E guarda caso da Brusio, dove evidentemente arrivava il prodotto, c’è ancora chi ricorda (il signor Prospero) che ha lavorato in quel campo, riempiendo a sua volta piccole cassette di mirtilli che a sua volta finivano nei negozi del posto. Quanto è piccolo il mondo, e al di qua e al di là della frontiera il passo non è poi così lungo, rimasto vivo nella mente di chi c’era.


Luisa Moraschinelli