Un caffè di memoria a Bergün

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Il caffè di Luisa Moraschinelli, fra Schwarzenbach e Heidi
Dopo il caffè bevuto all’ospedale San Sisto di Poschiavo, beviamone un secondo tuffandoci negli anni 53-54.

(leggi la puntata precedente) Arrivata a Bergün e una volta superato il dubbio d’impatto con un fienile, e resomi conto che ero approdata in un ristorantino tipico del posto, misi il cuore in pace. L’immagine più caratteristica del paese rilevata nei primi giorni del mio soggiorno, anche se ancora non aveva l’insegna dell’Unesco, fu il trenino rosso che sfrecciava via nel piano e arrancava con fatica sulla salita in direzione Albula. Nel mio caso, quel trenino costituiva anche un aggancio con la terra di casa. Infatti arrivo e partenza da Tirano, quindi in Patria.


Una delle prime sorprese, girando nei momenti di pausa dal lavoro nel quale fui immediatamente immessa, come da contratto, fu quella di trovare un paese fatto quasi unicamente di anziani e di bambini. Ma dove erano i giovani? Potrei dire emigrati, ma in pratica loro erano pur sempre in Patria, ma trasferiti per lavoro nei centri più vicini: Thusis, Coira, Zurigo e altri. Eppure il lavoro non mancava a casa loro visto che Bergün era (e lo sarà ancora) uno fra i più importanti centri turistici dei Grigioni. Mi ci volle poco in seguito a capire che era di quel periodo in atto la legge sul lavoro, che si protrarrà, se pur con delle modifiche, fino agli anni Settanta ca.

Un ordine che noi nel corso degli anni seguiremo, anche senza entrare nei dettagli. Al primo posto quindi indiscusso i padroni di casa, gli svizzeri che occuperanno i posti di comando e responsabilità. Fanno seguito austriaci e italiani del Nord prima e poi del Sud, nei lavori manuali e solo fino a un certo livello. A distanza di tempo, aprirono la frontiera a spagnoli, poi portoghesi, poi jugoslavi e infine turchi. Passaggi che avvenivano a distanza di tempo a secondo dell’evolversi della domanda. Interessante notare che in questo susseguirsi di personale i permessi erano ben regolati; i primi andavano avanti, vedi l’apertura del lavoro in fabbrica, negli ospedali e dentro nel ristorante stesso con accesso a camerieri, cuochi ecc… Mentre i nuovi che seguivano dovevano occupare gli ultimi posti con la possibilità anche loro di avanzare man mano che seguivano gli altri. Questo fino agli anni 70 ca.

Una bella organizzazione che tutti i paesi d’emigrazione avrebbero dovuto seguire. Infatti poi quando le frontiere furono aperte indiscriminatamente, come tutti sanno, è stato il caos e tutti, noi compresi, dopo avere acquisito posti importanti, ci siamo cascati dentro e a fatica abbiamo dovuto adattarci a situazioni di ripiego, dopo che le nostre ditte hanno subito il fallimento. Altro che colpevolizzare Schwarzenbach di aver cacciato gli italiani! A nostro modesto parere, certamente non condiviso da chi non c’era, avrebbe dovuto arrivare cinque anni prima a frenare il discriminato afflusso di manodopera e il lavoro ci sarebbe stato per tutti (quelli che c’erano). E le prestigiose ditte, come la Veron che aveva appena festeggiato i cento anni e dava lavoro oltre che a noi emigrati, a tutta quella gente di una certa età del quartiere dove era locata. Parole inutili perché la storia non la scriviamo noi che l’abbiamo vissuta, ma chi lo farà per sentito dire.

Ma la mia intenzione era di bermi un secondo caffè a Bergün per ricordare. Infatti, dopo i primi giorni di incertezze in quel grazioso paese, tutto procedeva bene. Qualche intoppo per la lingua come in quella occasione in cui, entro il ristorante fui avvicinata da un distinto signore. Dalle sue parole deduco un invito a andare…? Caso volle che sulla parete di fronte ci fosse una locandina con l’invito a una festa. Il mio sguardo è attirato dalla parola “danza”. A quel punto la mia risposta fu alquanto scortese. Non avevo certo intenzione di andare a ballare. Lui se ne andò mortificato e solo in seguito lo riconobbi nel Pastore della chiesa locale e sicuramente il suo invito non era per il ballo ma a un incontro religioso.

Una novità, unica la carrettina, uso trasporto all’interno del paese. Carina da vedere. Ma a me stava sul gozzo ogni qual volta la dovevo utilizzare. Eppure c’erano le signore degli hotel che la usavano per portare o prendere bagagli dei clienti alla stazione, ma anche per portare bambini o qualsiasi altra cosa. La copia in miniatura di quella trainata dai cavalli per il trasporto del fieno e cose del genere. Caratteristica e penso unica nel suo genere, da quanto mi risulta, ma se mi capitava di doverla usare, lo facevo con ripugnanza: mi faceva sentire più animale che persona. Ma gli usi vanno rispettati e all’occorrenza non potevo esimermi dall’usarla.

Ma a animare Bergün in quella stagione è stato il film di Heidi (la prima versione?). Ha occupato tutta la stagione estiva. Gli alberghi si sono riempiti e le strade animate specialmente a sera quando i protagonisti erano nel paese. Un ricordo piacevole quando di buon mattino vedevo sfrecciar via la Jeep con i due piccoli protagonisti, Heidi e Peter che li portavano sulla frazione di Lach dove seguivano le riprese. Un lavoro molto impegnativo e faticoso per i due bambini, da quanto si diceva in giro. Altro ricordo il giorno che è stato mobilitato tutto il paese per la ripresa della Processione. A ciascun partecipante l’offerta di 25 Fr. Peccato che io ero occupata. Sarebbe stato una grande novità. Sempre inerente alla produzione del film, sere in cui parte della troupe veniva nel ristorante. Ricordo il vecchio nonno e la zia. La mia sorpresa era vederli magari mangiare due uova alla coque. Altro che sorpresa! Personaggi che erano sulla breccia e alloggiavano nel più grande hotel del paese, prendersi quel gusto di mangiare due uova era fuor di misura! Ma i gusti sono gusti.

Il caffè nella mia tazzina è finito e quindi, anche per questa volta, punto e basta.



Luisa Moraschinelli