Salvataggio in storie di rifugiati

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Il racconto di Luisa Moraschinelli
Non solo sigarette e tabacco passavano la frontiera, ma conosciamo anche storie di rifugiati che la passavano in senso inverso per assicurarsi la vita.

La testimonianza ci è arrivata dall’Australia un paio di anni fa, per lettera da un protagonista, che l’ha vissuta in prima persona.

Mister x lo chiameremo, faceva parte di un gruppo di cinque ebrei fra i rifugiati che dalla Zagabria erano venuti all’Aprica, sempre con la speranza, prima o poi di passare la frontiera

I cinque, stanchi di attendere avevano organizzato in proprio di partire, grazie all’aiuto di un uomo del posto a sua volta contattato da dei “passatori”. Nell’attesa erano stati rifugiati in una cascina della contrada Dosso, sempre d’Aprica dove dormivano sul fienile.

Pochi giorni d’attesa. Il tempo di prendere contatto con dei “passatori”. Cinque, sei giorni e finalmente arrivò l’ordine di partire. Dall’Aprica scesero attraverso il bosco evitando di farsi vedere da chiunque. A Stazzona furono accompagnati in una casa privata dove ad attenderli c’erano uomini designati ad accompagnarli, i cosiddetti: “passatori”. Fatta la conoscenza, e stabilito i patti e suppongo, rifocillati alla bell’e meglio, sempre da Stazzona, attraversato l’Adda e le contrade di Villa di Tirano, si avviarono su verso la montagna a piedi naturalmente. Sicuramente non erano abituati. Infatti, almeno dalla mia esperienza gli ebrei rifugiati all’Aprica appartenevano a un ceto sociale abbastanza elevato e non erano abituati a certe fatiche. Infatti ad un certo punto, uno di loro non ce la faceva più a continuare e dovettero faticare non poco a trascinarlo non volendo abbandonarlo.

Quante ore di cammino, non lo dice, ma sicuramente parecchie fino a quando, sempre all’interno del bosco, i due passatori, a un certo punto si fermarono e senza tante spiegazioni dissero loro che a quel punto erano in territori svizzero, quindi al sicuro e che avevano terminato il loro lavoro secondo i patti stabiliti e ripresero il cammino del ritorno.

Quei cinque uomini a quel punto si sentirono persi e magari anche derubati. Abbandonati in un bosco dove non c’era nessun segno di segnaletica. E se fossero ancora in territorio italiano? E a che prezzo? Si chiedevano. (A questo punto mi permetto di smentire la comune falsa diceria che i “passatori” a un certo punto derubavano gli ebrei di quanto avevano e poi li buttavano giù dalle rocce. I Passatori saranno anche stati avidi di denaro, ma non erano assassini, ma gente dei nostri paesi che faceva quel lavoro come un altro).

Infatti i nostri cinque ebrei avranno pagato caro quelle guide, ma non li hanno né derubati, né ammazzati, ma come pattuito, portati su territorio svizzero.

Ma quei poveri uomini come facevano a sapere che erano in territorio svizzero? Lì non c’era l’ufficio informazione. Noi, guardando in basso, da quelle zone ci renderemmo subito conto se siamo su territorio italiano o svizzero, ma loro?

Passato lo sgomento pensarono che una decisione la dovevano pur prendere. Infatti, a un certo punto, uno di loro, visto che vicino c’era uno di quei tipici canaloni di sassi frantumati, si rese disponibile a sedersi su quella ghiaia e lasciarsi trascinare fino al basso. Si sacrificava per tutti. Se fosse arrivato in fondo, uno dopo l’altro potevano tentare la discesa.

Ma fortunatamente non fece in tempo il primo a mettere in atto quel, quasi certo suicidio. Infatti appena messo piedi sul bordo di quel canalone, dal basso (suppongo da Campocologno ) scattò il suono lacerante di una sirena. A quel punto (per me sempre commovente rileggere questo passo) i militi di guardia e suppongo anche altra gente, dal basso, avvistato quegli uomini e intuito cosa stavano per fare, a furia di gesti e grida li esortarono a stare fermi dove si trovavano che sarebbero arrivati gli aiuti a indicare il sentiero per scendere al sicuro. E così fu, con un felice esito che a distanza di anni hanno potuto testimoniare il salvataggio, dal loro paese.

Anche in questo caso nessuno avrà fatto o farà un monumento a quelle guardie svizzere per questo salvataggio. Ma noi siamo contenti di testimoniarlo a onore loro, ma anche con un pensiero a quei passatori che avevano pur fatto il loro dovere pattuito di portarli sul territorio svizzero.


Luisa Moraschinelli