Tutto quello che avreste voluto sapere su Repower

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Intervista esclusiva al vicedirettore Felix Vontobel
(di R. Weitnauer)
Si è concluso nel dicembre scorso il vertice sul clima di Parigi: un’occasione per interpellare Repower e conoscere le sue strategie per il futuro.

Signor Vontobel, dopo molte ipocrisie e dopo i fallimenti passati, sembra che a Parigi sia stata data una possente spallata ai combustibili fossili. Gli accordi sono stati firmati dalle 195 nazioni partecipanti e sono impegnativi. Lei crede che questa volta ci sarà per davvero un cambiamento di regime?
Parigi è di sicuro un grande passo nella direzione giusta. Tuttavia, non sussistono ancora sufficienti garanzie politiche per la mitigazione dell’effetto serra.

Eppure, i resoconti parlano di attenzioni inconsuete dedicate al riscaldamento globale da governi, organizzazioni, imprenditori e multinazionali. Sembra in particolare che tutti siano interessati alle nuove opportunità economiche offerte dalla svolta energetica. La tecnologia ha infatti compiuto passi in avanti sul piano dei costi e dell’efficienza. Inoltre, sono drasticamente aumentati i grandi finanziatori disposti a investire sui mercati delle energie alternative.
Le intenzioni ci sono. Il protocollo invece non è cosi vincolante come può sembrare. Il caso del Canada che a suo tempo aveva firmato il protocollo di Kyoto del 1997 dimostra che ci sono sempre delle scappatoie.

Che cosa ha combinato il Canada?
Quella nazione si era impegnata a ridurre le emissioni di gas serra. Successivamente, non riuscendo a rispettare gli impegni presi, o non volendolo fare, il Canada ha immesso in atmosfera addirittura il 25% in più di CO2.

Bé, il Canada si sarà trovato nelle condizioni di dover pagare una multa miliardaria.
Appunto, no. Prima dello scadere dei tempi concessi dall’accordo il Canada ha deciso di recedere da esso, uscendo indenne dal quadro sanzionatorio contenuto nel protocollo. Toccata e fuga.

Lei sottintende che le nazioni possono sempre fare giochetti di questo tipo, finché non si redigono accordi realmente vincolanti. Fanno una bella figura agli occhi dell’opinione pubblica e dei diplomatici, ma poi continuano col medesimo regime industriale.
È passato del tempo dal vertice di Kyoto. Spero che la situazione protocollare sia cambiata. Ciò non m’impedisce tuttavia di nutrire ancora una certa sfiducia nei confronti della politica.

A prescindere da questa comprensibile sfiducia, sembra comunque che la pressione dei nuovi mercati si faccia sentire. Senz’altro la sentirete voi di Repower. Parlate spesso di futuro nei vostri comunicati, ma forse vi ritrovate con un assetto inadatto per fronteggiarlo.
Non posso nascondere che stiamo attraversando tempi difficili. Dobbiamo apportare diverse modifiche alla configurazione della nostra impresa per rispondere alle sfide dei prossimi decenni. Non sono operazioni indolori, ma la strada è tracciata.

Fonte foto: onlinereport.repower.com

A qualcuno verrebbe da dire che negli anni trascorsi avete perso il treno, sbagliando strategia. Il modello tedesco degli incentivi a pioggia RIC (rimunerazione a copertura dei costi) oggi imperversa. Si poteva forse immaginare da che parte sarebbe andato il fumo, vista la caparbietà e la potenza economica della Germania. Voi avete invece sempre insistito sul modello delle aliquote che è senz’altro più equo e logico, ma non altrettanto efficace nello stimolare la svolta energetica. Non potevate attrezzarvi prima, puntando maggiormente sugli impianti eolici e solari?
Non è vero che il modello delle aliquote è meno efficace. Ha il grande vantaggio di generare più energia rinnovabile con meno soldi e sussidi e si basa su un modello di mercato libero in cui domanda e offerta determinano il costo del prodotto. Il sistema RIC si è reso interessante agli occhi dei puri investitori finanziari, cioè a figure che hanno puntato sulle fonti sussidiate, pur senza avere alcuna attinenza col mercato dell’energia elettrica.

Quali figure?
L’eolico e il solare sono opportunità che hanno cavalcato soprattutto i proprietari di grandi appezzamenti di terreno. Non è il nostro business. Tra l’altro, esso implica anche una buona dose di speculazione finanziaria. Certo, in futuro il solare potrà essere conveniente anche in forma distribuita, lungo le strade e sulle facciate delle abitazioni. Queste soluzioni inserite in reti intelligenti (smart grid) sono però ancora da sviluppare e ottimizzare. Un ulteriore punto dolente che mi porta a rifiutare la sua osservazione è comunque…

… la politica…
Esatto. Come abbiamo più volte lamentato, è la politica energetica incoerente che ci mette i bastoni tra le ruote. L’idroelettrico è una risorsa energetica eccellente, è mossa dal sole, è rinnovabile, è pulita, ha l’efficienza più alta che oggi si possa ottenere e copre circa il 60% del fabbisogno di energia elettrica nazionale. Eppure, la politica energetica odierna è riuscita a mettere la spina dorsale dell’approvvigionamento elettrico svizzero in crisi. È una follia.

D’accordo. Quello che però vorrei obiettare è questo: pur ritenendo il modello RIC una stortura di mercato, come di fatto è, avreste potuto accoglierlo ed entrare nei nuovi mercati in espansione, usufruendo degli incentivi, invece d’insistere sul modello delle aliquote. Dopotutto, l’idroelettrico non è così preponderante nei vostri affari.
Invece, lo è decisamente. È proprio questo il punto. Ci siamo ritrovati a dover affrontare un cambiamento delle regole del gioco a partita già iniziata. Dobbiamo gestire un patrimonio del passato, formato da concessioni e impianti reiteratamente rinnovati nel corso dei decenni, di cui peraltro andiamo fieri, ma che non sono ancora ammortizzati. Sfortunatamente, i loro costi elevati ci accompagneranno anche nei prossimi anni. A causa di una politica energetica errata, questi impianti sono diventati un fardello.

Si sa che siete obbligati a competere su un mercato in cui i prezzi di vendita sono molto bassi, spesso sotto il costo di produzione, per via della concorrenza incentivata. Il vostro risultato netto (oneri finanziari inclusi) è sotto di 108 milioni di franchi. Suppongo che tutti i produttori di energia idroelettrica si trovino nelle pesti.
In realtà, alcuni di loro se la cavano meglio di noi, perché approfittano di un mercato solo parzialmente aperto. Si tratta di un altro effetto collaterale di una politica energetica poco coerente.

Un mercato solo parzialmente aperto? Che significa?
Significa che la legge consente alle aziende di riversare i costi di produzione elettrica sugli eventuali clienti vincolati, vale a dire sugli acquirenti di energia che non hanno accesso ai prezzi di mercato.

Repower non ha questa possibilità?
I clienti vincolati di Repower assorbono solo il 10% delle forniture. Il rimanente 90% è costituito da energia venduta ai prezzi di libero mercato, ovvero spesso sotto il costo di produzione e quindi in perdita.

Capisco. Torniamo però sulla questione nodale dell’idroelettrico. Abbiamo stabilito che, purtroppo, esso è diventato un fardello. Se me lo permette, vorrei farmi un quadro di questo fardello. Lei sottolineava che il peso della quota idroelettrica è in questo contesto critico. Quanto lo è?
Al momento abbiamo a disposizione un potenziale di circa 2.5 terawattora (2500 milioni di kilowattora) annui di idroelettrico (produzione propria, partecipazioni, contratti pluriennali).

Io mi riferisco all’incidenza economica. Dopotutto, acquistate e vendete energia, la distribuite, fate trading e avete altri tipi di produzione all’estero. Secondo i bilanci del 2014 vendete ogni anno circa 17 terawattora. Solo il 9% è vostra produzione diretta e proviene essenzialmente dagli impianti montani. Quanto dipendono dunque i profitti di Repower dall’idroelettrico?
Tenendo conto che dei 17 terawattora trattati una buona parte è commerciale (quindi rivenduta dopo acquisto con rischi e margini limitati), il risultato operativo dipende per più del 60% dall’idroelettrico.

Così, più del 60% dei profitti o delle perdite va imputato all’idroelettrico.
Sì. Ricordiamo comunque che in questo computo incidono sempre elevati costi fissi, cioè indipendenti dalla vendita.

Il 60% è una percentuale importante, come lei giustamente sottolineava. Resterebbe però un 40%, una fetta non indifferente di profitti che solo in minima parte dipende da fonti eoliche o solari, vostre o compartecipate. Suppongo che il ruolo giocato dai combustibili fossili in quel 40% di risultato operativo diventi ora un po’ scomodo.
L’unica fonte fossile di Repower è la centrale a ciclo combinato di Teverola partecipata per il 61%. Il resto dell’energia è formato da un mix europeo proveniente da diversi fonti.

La centrale di Teverola a ciclo combinato (gas-vapore) ha una capacità produttiva di circa 2.5 terawattora all’anno, un valore ben superiore all’attuale produzione idroelettrica di Repower. Sembra dunque che la vendita della partecipazione alla centrale campana si spieghi col vostro desiderio di disfarvi delle risorse fossili.
È vero, la capacità produttiva teorica è di 2.5 terawattora annui; quella effettiva è però molto minore. Essa dipende nel tempo dall’immissione in rete di energia da fonti rinnovabili e dal prezzo di mercato del momento. Preciso comunque che non abbiamo ancora venduto nulla. Siamo in fase di valutazione. Tuttavia, è vero, abbiamo annunciato che esiste questa possibilità. L’abbiamo fatto, in quanto le emissioni di CO2 diventano in prospettiva un aspetto su cui effettivamente condurre serie riflessioni, anche nel contesto del nostro futuro riposizionamento.

Sembra di poter dedurre, da quanto lei mi comunica, che in futuro la produzione energetica sarà per voi meno interessante.
Abbiamo intenzione di continuare a crescere, ma diminuendo la dipendenza dalla produzione e dal prezzo del kilowattora. Vogliamo aumentare le entrate derivanti dalla fornitura di servizi e da nuovi prodotti che creino plusvalore per la clientela. In questa ottica intendiamo rafforzare le nostre posizioni in Italia e in Svizzera, continuando però a servire i nostri clienti tedeschi dalla Svizzera. Stiamo invece valutando se abbandonare le attività in Romania.

A proposito di produzione, mi sembra che sia un bene che il progetto della centrale a carbone calabrese non sia andato in porto…
C’è stata una votazione cantonale che ha messo una pietra sopra la questione.

Quello che volevo dire è che, anche se aveste avuto il via libera su tutti i fronti, prima di partecipare alla costruzione di un simile impianto ora dovreste pensarci su due volte, anche mantenendo in seguito una quota minore.
Ne convengo. Probabilmente, non lo realizzeremmo. Ma è sempre così: prima ci si ritaglia il tempo per aprire le porte, poi si decide quale corridoio imboccare. Bisogna sempre avere delle alternative per distribuire il rischio.

Potrebbe riassumere in pochi concetti cosa ispira il rimodellamento cui attualmente state sottoponendo l’azienda?
Sì. Potrei affermare che siamo in procinto di ridurre la complessità di Repower. Vogliamo che il nostro rilancio dipenda da fattori nell’insieme più controllabili e in sintonia con l’obiettivo di diventare un azienda di vendita e di servizi basati su competenze chiave: produzione, rete, commercio e vendita.

Il mercato delle energie alternative è maturato e si è stabilizzato negli ultimi anni. Dopo alcune speculazioni iniziali pare che saranno solo i grandi gruppi a riuscire a posizionarsi stabilmente sul mercato. Le piccole realtà aziendali risulteranno invece più minacciate dai venti della concorrenza. Occorre insomma una massa critica. Voi l’avete?
Siamo una società grigionese che gestisce attività internazionali, ma le nostre dimensioni sono modeste rispetto alle imprese multinazionali. È da anni che seguiamo una strategia di collaborazione per condividere impianti di produzione e servizi (dotandoci di rivenditori in Svizzera). Con il riposizionamento vogliamo spingere questo sviluppo e completare l’offerta.

È in questa ottica che va inquadrato il rapporto stretto con Swisspower Energy AG, anch’esso da voi annunciato sui media?
Sì, è così. La massa critica sarà un fattore discriminante per operare sui mercati globalizzati che saranno improntati da una produzione decentralizzata e da un aumento di nuovi servizi orientati a una gestione intelligente dei sistemi. Non si può restare fermi, ma nemmeno piccoli e isolati.

La vostra recente decisione di uscire dalla borsa di Zurigo è un provvedimento temporaneo?
Personalmente, ritengo che sarà definitivo. Rimanere quotati in borsa è per noi costoso e i vantaggi sono relativi. Le prescrizioni contabili (IFRS) e la revisione diventano sempre più burocratici e onerosi. Ciò non toglie che i nostri titoli saranno ancora scambiati in piazze secondarie, come per esempio la borsa di Berna.

Secondo alcuni esperti, anche ammettendo che gli accordi parigini saranno rispettati, non sarà possibile contenere l’incremento termico medio mondiale nei fatidici 1.5 gradi centigradi rispetto all’epoca pre-industriale (siamo già a +1 grado). Secondo loro, per risolvere il problema occorreranno drastici miglioramenti nell’efficienza di conversione energetica e nuove tecnologie. Una di quelle discusse è un ritorno: si tratta dell’energia nucleare. Che ne pensa?
È noto che le centrali nucleari di quarta generazione sono molto più sicure ed emettono un esiguo quantitativo di scorie. Tuttavia, in Svizzera e in Italia, per tanti anni, non si vedrà un ritorno al nucleare. Repower ne valuta l’uscita, perché non ha delle partecipazioni rilevanti e perché nota anche il quel settore delle incertezze politiche.

Più che alle grandi centrali io mi riferivo ad impianti nucleari avanzati e di piccole dimensioni, giudicati sostenibili. Mi viene in mente, per esempio, il progetto TerraPower, il cui principale finanziatore è Bill Gates.
Per impostazione storica Repower non fa ricerca di base, ma si focalizza sulle tecnologie esistenti, da impiegare in modo intelligente e sostenibile.

Ci stiamo avviando alla conclusione. Ed ecco la domanda delle cento pistole: che fine ha fatto l’ambizioso progetto Lagobianco?
Il cantone ha approvato le concessioni e al momento è in corso l’iter per l’approvazione del progetto.

Vorrei evitare di perdermi nella burocrazia. Riformulo pertanto la domanda in un altro modo: se l’autorizzazione dovesse giungere domani mattina vi mettereste subito all’opera?
In tutta onestà, la risposta è: no. La situazione del mercato, connotata da eccedenza di produzione e prezzi bassissimi, non lo permetterebbe.

Potreste però esporvi, qualora riteneste che i profitti futuri del turbinaggio/ripompaggio fossero lucrosi. No?
Oggi nessuno guadagna soldi con produzioni che non risultino sussidiate, quindi mancano i profitti necessari per l’investimento. Non vediamo nel breve termine un ribaltamento della situazione. Se un giorno le distorsioni di mercato verranno meno e e se le fonti rinnovabili, eolico e fotovoltaico, si svilupperanno in conformità agli accordi di Parigi, allora il progetto Lagobianco diventerà di nuovo interessante e si troveranno anche i finanziatori disposti a investirvi.

Un’ultima domanda, Signor Vontobel. Lei pensa che la sede centrale di Repower rimarrà a Poschiavo per i prossimi dieci anni e anche oltre?
Secondo me sarà così. Potrà forse capitare che qualche funzione venga spostata altrove e, viceversa, che qualche attività venga portata a Poschiavo. Tuttavia, il cuore dell’azienda (che consiste nel know how idroelettrico, nella rete e nel commercio di energia) starà anche in futuro dov’è sempre stato.

Roberto Weitnauer