Un anno senza estate

0
164

Accadde veramente, esattamente due secoli fa, nel 1816
(di P. Pola)
Il 1816 vien ricordato come l’anno senza estate. L’eruzione del vulcano Tambora, situato nell’attuale Indonesia, avvenuta nell’aprile del 1815, provocò una tale immissione di cenere negli strati superiori dell’atmosfera che causarono un abbassamento globale della temperatura, percepito in tutta la sua gravità nell’estate del 1816. Anche la Valposchiavo non fu risparmiata dalla conseguente carestia.

 

I fenomeni meteorologici, che con sempre più frequenza stravolgono il normale decorso delle stagioni, non appartengono esclusivamente ai nostri tempi, anche se, la cadenza degli eventi cosiddetti estremi, è probabilmente figlia dell’epoca che ci appartiene.

Dopo un inverno estremamente mite e povero di precipitazioni, stiamo ora vivendo una primavera fresca, che ha portato neve anche alle quote più basse. Sarà questo il presagio ad un’estate umida e fredda? Difficile poterlo prevedere ora. Ma questo scorcio di stagione ci rammenta la decorrenza, proprio quest’anno, del doppio centenario di un evento che aveva portato fame e carestia in diverse parti del mondo, provocato da un fenomeno naturale che aveva quasi completamente “oscurato” l’estate.

Il 1816 è infatti conosciuto come l’anno senza estate. Causa l’eruzione avvenuta già nell’aprile del 1815 del vulcano Tambora, situato sull’isola di Sumbawa, nell’arcipelago indonesiano della Sonda, gravi anomalie al clima estivo, percepite nel modo più cruento l’anno successivo, hanno distrutto i raccolti in gran parte dell’Europa, negli Stati americani del nord-est e nel Canada orientale.

La catastrofe climatica ha toccato in modo significativo anche la Svizzera, dove il Governo aveva addirittura dichiarato lo stato d’emergenza. Della grave carestia, causata dal mancato raccolto, non è stata risparmiata neppure la Valposchiavo dove, parimenti alle altre zone, le ripercussioni sulla popolazione sono state gravi.

Così cita un passaggio di Daniele Marchioli, estrapolato dalla Storia della Valposchiavo, volume secondo, Quadrio, Sondrio 1886: “Non poche furono le famiglie condannate all’uso esclusivo degli erbaggi e delle radici della più scarsa sostanza nutritiva… Nella poca segale raccolta abbondava poi la cornuta in modo che si appalesarono generali gli effetti dell’intossicamento, capogiri, tremiti, vomiti. Si osservi che la coltivazione del pomo di terra [patata] non era ancora introdotta.

Anche nella vicina Valtellina le ripercussioni causate dall’eruzione del vulcano sono state catastrofiche. Lo si può apprendere da un brano di Cronache locali di Tirano (Zoia, 2004): “1816 – 30 ottobre … Il raccolto dell’uva che si è fatto in questi giorni in generale fu scarso, ma il peggio è che nei luoghi più caldi e nelle migliori situazioni non si è rinvenuto un grappolo maturo. La costiera di sopra S. Gervaso non presentò che uve, se non in uno stato, quale solitamente si osserva nel mese di Agosto, cioè senza avere ombra di tintura. Il vino dell’anno scorso si paga L. 214 alla soma…”. “1817- li 13 di Aprile – L’inverno fu assai bello, ma la carestia che regna … mette in angustia coloro a cui tocca sostenere la languente umanità. Turbe di poveri molestano le porte de benestanti… La cattiva qualità del vino del 1816 ha contribuito a renderci miserabili, non trovandosi per alcun conto acquirenti di questo genere… ”.

Un articolo pubblicato su questo specifico tema, lo scorso 10 gennaio 2016, dalla “Schweiz am Sonntag“, a firma di Oliver Berger, raccontando della situazione venutasi a creare in Svizzera ed in particolare nel Cantone dei Grigioni nell’estate del 1816, parla di esplosione dei prezzi del grano, persone ridotte alla fame e di migliaia di morti. Per vincere la fame ci si nutriva delle cose più inverosimili, citando addirittura l’esempio di bambini che mangiavano l’erba dei prati, come le pecore.

Lo stesso articolo menziona poi alcuni interessanti estremi climatici che, quell’anno, hanno caratterizzato il nostro paese: nella Svizzera interna tutti i mesi si sono verificate nevicate fino a 800 metri d’altezza, mentre il 2 e il 30 luglio 1816 è nevicato fino in pianura. Oltre a ciò ci sono pure state disastrose alluvioni: il Reno, così come altri fiumi di dimensioni minori, sono straripati.

Le conseguenze dell’anno senza estate si sono ripercosse anche negli anni a venire. Fonti storiche parlano di circa 6’000 morti di fame solo nel Canton San Gallo, mentre nel Canton Appenzello la carestia dovrebbe addirittura aver decimato un sesto della popolazione.

Che impatto avrebbe, oggigiorno, un anno senza estate sull’umanità? Problemi quali la scarsità di cibo e l’esplosione dei prezzi riguardo i beni di prima necessità sarebbero solo una parte delle ripercussioni che ci si potrebbe attendere, senza poi parlare dell’influsso sulla salute degli esseri viventi.

Pur considerando l’enorme evoluzione che separa le due epoche, rendendo pertanto difficile un paragone diretto fra le stesse, è presumibile che, anche oggi, non si uscirebbe completamente indenni da un anno senza estate, come lo fu il 1816.