L’uscita prematura dal nucleare potrebbe uccidere

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Fonte: Ticinonline (Keystone)

L’opinione di R. Weitnauer
Un argomento non discusso relativamente alla prossima votazione: la chiusura a breve dei reattori atomici svizzeri incrementa il rischio di malattia e morte in Europa. Nota: per condensare il testo all’essenziale si può omettere la lettura delle didascalie delle immagini.

 

Tra pochi giorni, il 27 novembre, i cittadini svizzeri voteranno per accogliere o rigettare l’iniziativa sul cosiddetto “abbandono pianificato del nucleare”. Gli ultimi sondaggi danno il SI per favorito secondo Tamedia e una sostanziale parità per gfs.bern. Sembra che negli ultimi giorni i NO stiano guadagnando terreno. Tutto resta al momento incerto.
Al primo posto tra gli argomenti citati a suffragio del SI sta la paura di una possibile contaminazione dei territori svizzeri. L’eventualità di un incidente grave è anche ciò che, più di ogni altro elemento, ha stimolato la raccolta di firme da parte degli iniziativisti. La paura ha fatto senz’altro proseliti.
Ho già espresso la mia opinione in alcuni commenti per il NO. In questo pezzo sulla votazione del 27 novembre vorrei aggiungere aspetti che non mi sembra siano stati trattati dai media svizzeri nelle ultime settimane. Eppure, si tratta di fattori sanitari davvero critici nell’ambito della decisione popolare.

 

Fonte: IlPost

Il disastro di Černobyl ha profondamente impressionato l’opinione pubblica. Nell’immagine la centrale subito dopo l’incidente. La fotografia (scattata tre giorni dopo l’esplosione avvenuta nella notte tra il 25 e 26 aprile 1986) testimonia del danno strutturale provocato dall’esplosione del reattore RBMK numero 4 da 1000 megawatt. Il reattore appare letteralmente polverizzato, come anche l’edificio antistante che conteneva il generatore di corrente. La ciminiera visibile è alta 115 metri e serviva da ventilazione nel processo di raffreddamento dell’acqua che passava nel nocciolo (moderato a grafite). Il disastro è dovuto a macroscopiche carenze progettuali, già allora lungamente criticate da europei e americani, nonché a comportamenti irresponsabili che solo in una struttura amministrativa sovietica potevano trovare espressione.

Mi sono occupato di energia nucleare con esperti del settore, in occasione del referendum italiano del giugno 2011 che ha decretato la chiusura dei programmi per questo tipo di sfruttamento energetico. L’ingegneria nucleare italiana ha subito allora un duro colpo, ma continua con successo a operare all’estero dove la tecnologia dei reattori si sta ulteriormente sviluppando.  In ogni caso, l’uscita dal nucleare dell’Italia è avvenuta in condizioni molto diverse da quelle, ben più cruciali, che si prospettano ora per la Svizzera, una nazione fino ad oggi energeticamente autonoma e che attualmente per oltre un terzo produce elettricità attraverso reattori nucleari. Con tutte le centrali contemporaneamente in funzione si arriva al 38% di fornitura media (45% in inverno).
La ministra Doris Leuthard è stata molto attiva nel sostenere politicamente la svolta energetica che in Svizzera implica l’abbandono progressivo delle centrali atomiche. La stessa ministra ha però anche a gran voce ben descritto l’opposizione ufficiale del Consiglio all’iniziativa dei verdi, adducendo con semplicità ragioni di strategia energetica nazionale e d’interesse della popolazione. A titolo informativo, le interviste (in italiano, tedesco e francese) più recenti e significative rilasciate sul tema dalla signora Leuthard sono reperibili dal sito della Confederazione svizzera nella sezione Datec. Ritengo che chi non le avesse lette possa trarre da esse utili elementi a supporto della propria decisione di voto. Basta per questo rifarsi al collegamento che indico in calce di articolo.

 

Fonte: Blick

La signora Leuthard sale su una vettura Tesla a propulsione puramente elettrica. La ministra ha accolto molti consensi da sinistra a destra nel proporre la strategia di cambiamento energetico per la Svizzera. Ora mette però in guardia la popolazione dai contraccolpi che l’uscita precipitosa dal nucleare potrebbe provocare.

 

Non si può pretendere che ogni cittadino sappia come è costruita una centrale atomica e come funzioni un reattore a fissione. Nemmeno ci si deve aspettare che questi conosca i criteri di controllo di sicurezza e di manutenzione cui ogni impianto risulta obbligatoriamente sottoposto a intervalli cadenzati nel corso del suo ciclo di vita.
Altra cosa è però la disinformazione. Questa risulta purtroppo fomentata ad arte da associazioni di parte e da foto fasulle che circolano su Internet, riguardante i disastri che tutti hanno in mente: Černobyl e Fukushima. Si tratta di due incidenti che segnano il massimo nella scala di gravità INES, ma che hanno origini completamente diverse e per lo più ignote al pubblico (INES: International Nuclear and radiological Event Scale). Ben pochi hanno consapevolezza di quella che è la reale e, sottolineo, moderata incidenza statistica di tumori e morti conseguenti a quei due incidenti storici.
Queste e altre sono lacune inevitabili che affliggono i cittadini di tutte le nazioni industrializzate. Le gente non si occupa di risorse energetiche o reattori nucleari, dato che ha altro da fare nella vita. Ora, però, prima del 27 novembre, gli svizzeri dovrebbero documentarsi seriamente su questi ed altri aspetti connessi. Oggi non manca la possibilità di accedere a rapporti attendibili, dato che molte autorevoli organizzazioni internazionali del settore energetico o ambientale pubblicano in rete i propri documenti, redatti da staff competenti e nutriti.
Alcuni cittadini si sono già premurati in questa direzione, ma altri sono forse ancora suggestionati dai media più sensazionalistici o dalla propaganda terroristica di alcuni attivisti, veicolata magari con video di pochi minuti, che dunque non richiedono grandi sforzi, che sono di grande effetto, ma che sono tutt’altro che obiettivi e attendibili.

 

Fonte: TrendOnLine

La metafora del cigno nero è stata usata in origine dal filosofo della scienza anglo-austriaco Karl Popper per indicare la fallacia del ragionamento per induzione che procede per singole verifiche. Vediamo un cigno bianco, ne vediamo due, poi tre, quattro… mille. Deduciamo allora che tutti i cigni sono bianchi. Ma ecco che la nostra congettura crolla (viene falsificata) quando incappiamo nell’eccezione sconosciuta: il cigno nero. Nel campo dell’analisi del rischio il cigno nero rappresenta l’evento raro, ma grave. Si tratta di un riferimento paradigmatico usato anche in campo nucleare. In senso statistico una probabilità su un milione di causare mille morti in occasione del malfunzionamento di un reattore, ad esempio, rappresenta lo stesso pericolo che si ha con una probabilità su mille di causare un morto. Nondimeno, la prima condizione colpisce molto di più l’opinione pubblica. Per la stessa ragione, l’aeroplano può incutere paura ad alcune persone, pur dimostrandosi il mezzo più sicuro in assoluto per km percorso.

Sono dell’idea che si possa accettare la repulsione istintiva verso l’evento sporadico ma grave, derivante da un incidente di scala INES elevata a un reattore. Bisogna però saper relativizzare.
Che significa questo? Vuol dire che occorre quantificare il rischio e confrontarlo con rischi alternativi (tecnologici, sanitari, ambientali, finanziari). Si direbbe che quando si tratta di energia nucleare lo faccia solo una minoranza di persone.
Solitamente, si paventa l’eventualità della fusione di un nocciolo e non si pensa ad altro che a rifuggire da essa, costi quel che costi. È una reazione impulsiva umana, ma che secondo me è comprensibile solo quando non si ha il tempo di riflettere. In effetti, quel “costi quel che costi” finisce per presentare il conto. Il tempo per pensare ora c’è. Non è sopravvenuto alcun segnale che induca a credere in una diminuzione nel Paese della qualità o della quantità dei controlli di sicurezza.
È assodato che in Svizzera non sussista ormai più alcuna discussione sull’opzione nucleare nella strategia energetica nazionale: le centrali atomiche verranno chiuse, punto e basta. Quello che mi permetto di affermare è che ad alcuni individui non è affatto chiaro cosa comporti passare a uno switch-off prematuro rispetto all’uscita graduale già stabilita dalle autorità. Questo non solo nel quadro della fornitura di corrente, ma anche in quello sanitario.

 

Fonte: Barndivate

Lo spegnimento di una singola centrale nucleare è un processo, non un’azione unica. Occorre infatti prevedere un periodo di circa 6 anni per mettere in sicurezza l’impianto e il materiale fissile. Di questo iter fa parte una corposa pianificazione tecnica, logistica ed economica. Lo switch-off delle centrali nucleari in un contesto nazionale in cui esse erogano 1/3 della produzione elettrica globale, come si può allora intuire, pone problemi di uscita controllata esponenzialmente più rilevanti. In effetti, l’opzione impatta drammaticamente su un’intera strategia energetica nazionale. A questa scala d’intervento sono coinvolte anche riconfigurazioni massicce della rete di trasporto (che deve essere sempre in equilibrio) e dei rapporti di fornitura.

I fautori dell’iniziativa sostengono che la disattivazione dei reattori possa nel breve termine essere compensata tramite la fornitura supplettiva di impianti verdi (sole e vento). Secondo tutte le valutazioni tecniche ciò è semplicemente impossibile. Attualmente le installazioni alternative coprono soltanto il 4% della produzione. Per supplire all’ammanco nucleare esse dovrebbero arrivare al 15% di copertura già l’anno prossimo, per superare in seguito il 35%. Se si considera che, nella migliore delle ipotesi (pianificazioni, progetti, concessioni e realizzazioni), queste nuove forniture possono incrementarsi al più di un 1.5% all’anno, si capisce bene che l’affermazione degli iniziativisti non è accettabile sulla carta e ancor meno nella realtà.
L’erogazione costituzionalmente intermittente delle nuove fonti in assenza della fornitura nucleare costante (di banda) stabilirebbe inoltre delle difficoltà di conciliazione tra domanda e offerta, nonché dei problemi di equilibrio di rete nel dispacciamento dei pacchetti di energia, irresolubili nel breve termine, anche ricorrendo all’idroelettrico.
L’importazione dall’estero di altra energia nucleare oppure di energia di origine fossile si prospetta dunque come un’eventualità inevitabile, richiedendo anch’essa un adeguamento ingente dell’infrastruttura. Sono questi aspetti discussi, anche se spesso in modo confuso. Quello che però nessuno ha raccontato al riguardo è quale sia il rischio in termini di malattie e morti aggiuntivi in Europa che tale importazione implicherebbe. Su questo è meglio dunque avere le idee chiare.

 

Fonte: Slate

Imbarcazioni impegnate nello spegnimento dell’incendio divampato a bordo della Deepwater Horizon il 21 aprile 2010.

La pericolosità dell’uso dei combustibili è evidente nel confronto degli incidenti gravi (sono considerati tali quelli che causano direttamente più di 5 decessi). Se prendiamo come base gli ultimi 40 anni, le centrali termiche dei paesi industrializzati hanno causato in media 100 fatalità (morti dirette) ogni anno, mentre le centrali nucleari hanno accusato una fatalità all’anno soltanto, includendo Černobyl e Fukushima.
Tuttavia, è nel confronto dei decessi indiretti e a lungo termine che il divario appare eclatante. Infatti, l’uso delle fonti fossili per generare elettricità, oltre ai gas serra, determina il rilascio di emissioni nocive che causano nei paesi industrializzati patologie varie e mezzo milione di morti ogni anno! Sono dati ufficiali Ocse, l’organizzazione dei paesi industrializzati.
E il nucleare? Se si escludono gli incidenti più gravi menzionati, i decessi nel lungo termine sono pari a zero. E se, invece, inglobiamo quegli eventi nefasti? I verdi del Parlamento Europeo stimano in 40’000 morti le conseguenze mondiali del disastro di Černobyl. Il loro modello attribuisce la mortalità agli effetti che si sono ripercossi su ampie aree geografiche, a seguito dei trasporti ventosi ad alta quota di radioattività dall’impianto bielorusso.
In realtà, emerge che le dosi così considerate derivano da un decadimento di 37 chilobecquerel per metro quadrato (radiazione gamma), un valore minimo. Le ricadute dovute a esposizioni di questo grado non alterano le grandezze statistiche sanitarie imputabili ai decessi per tumore che comunque si verificano di norma. Discorso analogo, anzi più pregnante ancora, vale per Fukushima.
Tornando all’Ocse, prevedendo un certo numero di incidenti medi e gravi nel tempo (si prende una base temporale di un milione di anni), le stime dell’organizzazione parlano di meno di 10 decessi postumi da radiazione ogni mille anni, insomma uno ogni secolo. Naturalmente, queste stime andrebbero pesate con la produzione elettrica delle diverse fonti. La generazione totale nei paesi Ocse di elettricità da fonti fossili è infatti superiore a quella derivata dai reattori atomici. Ma, anche così facendo, permane la sproporzione tra la pericolosità delle fonti fossili e quella imputabile allo sfruttamento nucleare.

 

Fonte: Greentech Media

L’avventura del nucleare è destinata a concludersi in Svizzera, in Germania e in Belgio, mentre in Italia è già un capitolo chiuso. Molte altre nazioni continuano però a investire nella fissione (spaccatura) dell’atomo a scopo di fornitura elettrica industriale. Ciò significa che altrove si moltiplicano anche le ricerche tecnico-scientifiche su questo tipo di sfruttamento. Si possono menzionare ad esempio i reattori al torio, ancora in fase di studio, ma considerati sicuri al 100%, dal momento che il processo di fissione non deve essere moderato e richiede invece continua stimolazione per essere tenuto in attività. Questo tipo di impianti è molto più economico ed efficiente e produce poche scorie radioattive che, tra l’altro, possono essere incenerite. Il reattore al torio, un’invenzione del premio Nobel italiano Carlo Rubbia, non ha ancora trovato un’applicazione pratica su scala industriale, per via di una serie di svantaggi. Cina e India hanno tuttavia dichiarato di puntare al torio nel futuro.

Possiamo pensare che gli analisti dell’Ocse non sappiano fare il loro lavoro, ma allora sono in buona compagnia con gli analisti di altre analoghe organizzazioni ufficiali e non certo di parte. Le risultanze sono infatti del tutto simili. Possiamo credere che tutte queste persone abbiano sbagliato i calcoli, che non sappiano valutare la ricorrenza dei terremoti, l’affidabilità dei controllori o, persino, il comportamento scriteriato degli umani.
Si può anche credere che tutte le morti incerte, gli aborti e le problematiche genetiche in aree come quella di Černobyl siano occorrenze dovute alle radiazioni ionizzanti. In verità, pochi lo sanno, non solo non è riscontrabile alcuna correlazione assodata tra questi eventi infausti e l’incidente al reattore, ma nemmeno sussiste una significativa devianza statistica. Ma non fa nulla: pensiamo pure che anche questi casi siano dovuti alle radiazioni. Tutto sommato, per un mero criterio cautelativo, vogliamo metterci in una botte di ferro e non avere dubbi.
Tuttavia, a questo punto non possiamo non considerare dati di riscontro, altrimenti parliamo di aria fritta, ovvero guardiamo solo a un lato della medaglia. E, allora, riferiamoci pure alle molto più tragiche valutazioni di parte presentate dai gruppi ambientalisti, ma confrontiamole con le statistiche relative alle centrali termiche su cui nessuno ha alcunché da obiettare.
Ebbene, anche in questo caso, un concetto statistico fondamentale resta fermo: le centrali a combustione continuano a dimostrarsi straordinariamente più pericolose delle centrali nucleari. Anche in queste condizioni, le patologie gravi e le morti per unità di tempo e per energia prodotta, cioè per ogni anno e per ogni terawattora immesso in rete, sono circa 500 volte maggiori con l’uso dei combustibili fossili che con il ricorso al nucleare.
In verità, a livello mondiale non scherza nemmeno l’idroelettrico, condizionato fuori dai paesi industrializzati da alcuni disastri come l’immane catastrofe cinese dei bacini di Banqiao e Shimantan.

 

Fonte: World Top 10’S

La diga di Banqiaio in Cina è stata costruita nel 1949 come componente di una centrale di 20 gigawatt di potenza. È crollata nel 1975, a causa delle piogge eccezionali provocate dal tifone Nina. Circa 170’000 persone perirono in conseguenza dell’inondazione. Quasi 6 milioni di edifici sono andati distrutti e 11 milioni sono stati gli sfollati. Nell’intervallo 1969-2000 nei paesi non-Ocse il complesso delle dighe è stato pericoloso all’incirca come il complesso delle centrali a combustione. Nello stesso trentennio nei paesi Ocse l’idroelettrico è risultato invece 600 volte meno pericoloso delle centrali elettriche (circa 0.003 fatalità per ogni gigawatt prodotto e per ogni anno;nei paesi non-Ocse tali fatalità sono invece circa 10). Il record di sicurezza va ascritto alle centrali nucleari.

Dovrebbe essere chiaro a questo punto dove vada a parare il discorso: se la Svizzera importerà energia elettrica dall’estero per circa 22 miliardi di kilowattora, una porzione rilevante sarà di origine fossile tedesca, giacché in Germania funzionano diverse centrali a carbone o lignite. La Svizzera causerà così indirettamente in ambito europeo un netto incremento di pericolosità per la salute dei cittadini.
Alla luce di questi fatti, qualcuno potrebbe affermare che l’iniziativa in votazione è animata da posizioni ideologiche che tendono a imporsi a discapito della salute dei cittadini europei (specialmente dei tedeschi, ma poi anche degli stessi svizzeri). Non mi spingo a tanto, ma, al di là dei possibili problemi di rete e di costo, davvero non comprendo come si possa proporre un distacco prematuro della fornitura nucleare, senza soppesare le conseguenze sanitarie, visto che la pericolosità dello sfruttamento energetico è proprio l’oggetto primario del contendere su cui si dovrà votare il 27 novembre.
La presunta compensazione a breve termine con le fonti alternative è invece pura fantascienza. Stando così le cose, se dovesse vincere il SI, sarà meglio che la Svizzera opti per importazioni di energia nucleare dalla Francia. La Svizzera avrebbe fatto un bel buco nell’acqua, ma almeno non diverrebbe responsabile di morti e malattie aggiuntive.

 

Fonte: The Interpretations of Dreams

Il numero di malattie e morti causati nel lungo termine dalle emissioni delle centrali elettriche a combustibile (olio combustibile, gas naturale, gpl, lignite, carbone, ecc) è di interi ordini di grandezza maggiore di quello imputabile all’uso dell’energia nucleare. Rinunciando anzitempo alle centrali atomiche attualmente in esercizio, la Svizzera non solo accuserebbe seri problemi d’indipendenza energetica, ma provocherebbe un proporzionale incremento della pericolosità su scala europea.

Come preannunciato, concludo questo articolo con l’indicazione delle interviste rilasciate dalla ministra Leuthard. Ecco dunque il collegamento Internet che presenta anche un breve video (in tedesco) in cui la ministra espone in sintesi la posizione ufficiale del Governo: per vedere il video clicca qui.

Chi volesse tracciare un quadro completo per semplici domande e risposte (faq) dell’oggetto di votazione può rifarsi a questo collegamento del DATEC presieduto dalla ministra Leuthard cliccando qui.

Infine, a coloro che intendessero entrare in possesso di informazioni sulla produzione e gestione energetica in Svizzera consiglio la pagina dei “temi” dell’Ufficio federale dell’energia (UFE). Avverto che la documentazione disponibile è davvero ponderosa. Questo link è dunque orientato soprattutto a chi vuole approfondire e consultare statistiche specialistiche: per consultare il link clicca qui .

Roberto Weitnauer