La “bulgia” che si tramanda…

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Quando ero piccola i miei genitori mi hanno sempre portato dall’ava Ida per le vacanze estive. Io non aspettavo altro, anche perchè poi mi lasciavano lì, a La Rasiga, per tutta l’estate e loro se ne tornavano in Ticino. Di malinconia non ne avevo, e non c’era tempo di pensare a casa. Non potete immaginare che felicità poter andare a spasso dove e quando volevo, fermarmi a giocare, conoscere nuovi amici o infilarmi in qualche stalla a sbirciare gli animali, e non da ultimo gustare gli ottimi piatti che preparava la mia ava.

Lei era dolcissima e mi lasciava fare; più o meno sapeva dov’ero, e solo i rintocchi delle campane della chiesa di St. Antonio mi avvertivano che era ora di tornare. La sera si poteva ancora uscire a giocare con tutti i ragazzi della contrada, ma al suono serale dell’Ave Maria dovevo tornare: appuntamento alla  banchèla, dove lei sferruzzava calzini per i nipoti maschi, condividendo le notizie della giornata con l’amia Lina , la Genia e l’Elvira. Intanto gli uomini se ne stavano un pochino più in là, tra loro, a raccontarsi del fieno e della fatica, ciccando l’ultimo pezzo di toscanello e facendo progetti per il giorno seguente, tempo permettendo. Non c’erano le previsioni meteorologiche, guardavano il cielo, la luna e al Curnasèl.

Poi, a inizio settembre, i miei genitori tornavano a riprendermi; che tristezza dover ripartire, salutare tutti gli amici e i parenti, smettere di essere libera e dover tornare a star seduta dietro il banco di scuola…
Solo la promessa, strappata durante l’ultimo abbraccio di saluto alla mia nonna, di poter tornare presto a Poschiavo, mi rallegrava e mi faceva tornare a casa un po’ meno triste. Sulla strada del lago, verso sud, mi voltavo più volte a guardare, cercando di fotografare con gli occhi quell’immagine, per ricordarla una volta arrivata a Lugano.

La mia mamma mi ha tramandato l’attaccamento per questa valle, il piacere a passarci del tempo, e grazie ai suoi racconti ho imparato ad apprezzare la natura e i luoghi, con tutti i suoi profumi e le fragranze. Mi ha fatto capire, fra le altre cose, l’importanza di saper comunicare con le persone, e così sento di appartenere. Si potrebbe pensare che da qualche parte io abbia ancora in giro la bulgia, usata per trasportare le mie cose quando sono partita da Poschiavo. In realtà ho sempre avuto solo una valigia per le vacanze, ma nata in Ticino mi sento di essere anche un pochino poschiavina.

Sicuramente grazie a questo, crescendo, ho continuato a scegliere di trascorrere parte delle mie vacanze in valle.
L’ho fatto anche quest’anno. Due settimane durante le quali ho potuto approfittare delle molte proposte offerte. Qui non ci si annoia mai. Natura, lago, teatro, musica, cinema, piazza e amici, pulenta… e qui sento di stare bene.
Nei momenti in cui avevo bisogno di stare sola e sentire solo del silenzio per poter ascoltare i miei pensieri, bastava che mi avviassi a piedi verso il lago, camminando sulla strada dei prati; e se invece avevo voglia di fare due chiacchiere, bastava incamminarmi sulla Via da Mèz.

In paese trovi sempre qualcuno che ha piacere di scambiare due chiacchiere davanti a un caffè, qualcuno che ti chiede come stanno i parenti, qualcuno che è curioso di sapere quanti anni ha tuo figlio, quando sei arrivata e per quanto tempo rimani. E se quel qualcuno non ti conosce, ti parlerà del tempo o del prezzo esagerato delle bibite, dei turisti del treno rosso che non si fermano nel borgo neanche per bere un bicchier d’acqua.
Tutto questo in città non succede più e forse non è mai successo. Nessuno si guarda o ha voglia di comunicare con l’altro: tutti stanno dentro agli schermi degli smartphone per sapere cosa succede da un’altra parte e nessuno sa la storia dell’altro. Tutti sono impegnati a risolvere chissà quali problemi, ma in realtà non c’è la semplice abitudine o il piacere di guardare in faccia chi incontri per strada o alla fermata del bus. E basterebbe uno sguardo e un semplice saluto augurale di buona giornata.

A Poschiavo questo non accade: la gente sa ancora comunicare e lo fa con piacere, magari le persone sanno quasi tutto di tutti, ma questo fa parte del gioco. E ti senti abbracciata.
Poschiavo è cambiata in questi anni. Molte case sono state ridipinte e sistemate, gli alberghi sono ringiovaniti offrendo al turista i migliori comfort e i ristoranti servono piatti rivisitati e nuovi gusti di gelato, sono stati tracciati nuovi sentieri da percorrere a piedi o in bicicletta e vuotate altre marmitte…

E in questa fresca brezza lenta di cambiamento la gente è rimasta cordiale come un tempo; ti sorride e ti saluta anche se non ti conosce, e dopo alcune frasi di rito ti piazza lì la fatidica domanda: “Ma ti es miga la fiola da… ?”


Patrizia Stefanoni

1 COMMENTO

  1. Grazie e complimenti cara Pati per questo bell’editoriale – fa piacere leggere tanta positività, sia tu sia l’altrettanto bravissima Serena Bonetti siete brave osservatrici di una (nuova?) realtà che effettivamente sta impermeando Poschiavo di uno sviluppo promettente. Condivido il tutto per tutto il tuo parere. Spero che si vada avanti così, pure in autunno e nel lungo inverno – le attività diminuiranno, la piazza sarà vuota, ma i badòz continuano. In vari villaggi engadinesi ormai non c’è più una sola osteria in cui gli indigeni possano incontrarsi e scambiarsi due parole. “Da noi” invece per fortuna non è e non sarà mai così. Potrò quindi continuare a chiedere anch’io: “E ti, da chi’es?”