La tecnologia in Valposchiavo
Un anno fa, quando partimmo col Trenino Rosso per il lungo viaggio in Valposchiavo, giunti alla seconda stazione, a Campocologno, ci salutammo ricordando che per gli appassionati di storia dell’ingegneria questa è senza dubbio una tappa da non perdere. Qui c’è la storica centrale idroelettrica, un tempo Forze Motrici Brusio, oggi Repower Centrale Campocologno I, costruita tra il 1904 e il 1907 e poi trasformata negli anni Sessanta del Novecento; poco più in là c’è anche la cosiddetta “Centralina”, la centrale Repower Campocologno II, costruita nel 1950 per sfruttare il più modesto salto d’acqua tra la prima centrale e la frontiera.
Qui, a Campocologno, a due passi dalla Valtellina, anch’essa terra di idroelettrico, siamo nel luogo giusto per scoprire qualcosa in più di questa fonte energetica che da quattromila anni, con relativa facilità, è utilizzata tanto per produrre energia meccanica che energia elettrica. Le masse d’acqua a riposo, che siano laghi o ghiacciai, fiumi o torrenti, hanno in sé molta energia, la cosiddetta energia potenziale gravitazionale pronta a trasformarsi in energia cinetica non appena, per effetto della gravità, si mettono in movimento; nei secoli l’uomo ha imparato a intercettare il movimento dell’acqua, per esempio con una turbina, trasformandolo in energia meccanica, la stessa energia meccanica che fa girare un generatore per produrre energia elettrica.
Sono sicura che lo avete già intuito: gli elementi chiave di un impianto idroelettrico sono il cosiddetto “salto” (salto geodetico) da cui proviene l’acqua e da cui dipende l’energia della massa in movimento e la turbina idraulica, macchina costituita da un organo fisso, noto come distributore che dà la direzione alla massa di fluido (la cosiddetta portata) e una parte mobile, la girante che trasforma la pressione dell’acqua in energia cinetica.
Nella centrale di Campodolcino I l’acqua del Lago di Poschiavo, attraverso una galleria sotterranea prima e la condotta forzata poi, arriva, dopo un salto di 418m, alle due turbine Francis, turbine cioè progettate per salti tra i 10 e i 400 m, anche con portate d’acqua notevoli (fino a 40 metri cubi al secondo). Nella “Centralina”, invece, la turbina scelta è del tipo Kaplan, adatta a salti geodetici contenuti, come quello di 13 m della centrale.
In un caso come nell’altro si tratta di turbine a reazione, in cui cioè l’energia disponibile è convertita in parte in energia cinetica e in parte in pressione.
Quando raggiugeremo Cavaglia, rifletteremo insieme su un’altra turbina tipica degli impianti idroelettrici, la Pelton e impareremo a riconoscere le principali categorie utilizzate nella classificazione degli impianti. Prepariamoci, il viaggio è lungo e appassionante.
Chiara M. Battistoni