Medico, ingegnere, insegnante o muratore? Cosa farò da grande?

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Faccio parte di quel gruppo, che non credo più essere una minoranza, di persone che non ha mai saputo esattamente cosa fare da grande. Purtroppo o per fortuna, da adolescenti abbiamo alle spalle un genitore che per forza di cose influenza in parte la nostra riuscita a scuola e le nostre scelte in seguito; questo almeno delimita già il nostro percorso di vita. Grazie al sistema di educazione svizzero, che è sempre più aperto a nuovi tipi di percorso formativo, e grazie al sistema di sostegno all’educazione, la formazione è un’occupazione sempre più inclusiva.

Malgrado il fatto ch’io non sappia ancora adesso cosa fare da grande, proseguo con dedizione la formazione da me scelta. Attraverso la mia esperienza di crescita ho capito perché sempre più persone non sanno quale strada scegliere: sempre più giovani cambiano indirizzo di lavoro, di formazione, alternano lo studio con esperienze pratiche o anni sabbatici. L’offerta di formazione è in effetti sempre più vasta. Ogni anno nascono nuovi indirizzi di studio e ciò capita per accontentare la richiesta sul mercato di nuovi titoli di lavoro e ciò, a sua volta, aiuta a servire il sistema di produzione che si vuole sempre più innovativo, in modo da adattarsi al cambiamento. Questa corsa scandita dalla connettività crescente tra spazi e individui è forse inevitabile… Non è però imponendo questa fretta s’un percorso formativo dei giovani, che ancora si vuole lineare e costante, determinato e eccellente, che si arriva alla migliore strategia per orientare una persona nell’attuale ambiente professionale.

La non capacità di scelta di un giovane adolescente per il suo indirizzo lavorativo non è sintomo d’insuccesso. Al contrario, questo può essere un sintomo della mancanza di una gamma di possibilità tra cui scegliere, abbastanza rappresentativa delle offerte di studio e di lavoro esistenti (e parlo solo della Svizzera). Non viviamo più in un mondo composto unicamente da medici, ingegneri, meccanici, insegnanti e panettieri; non viviamo più in un mondo in cui una persona esegue una sola professione e dunque segue una sola formazione nel corso della sua vita; non viviamo più in un mondo in cui per ogni disciplina esiste una professione associata.

La studio è prima di tutto una formazione personale dell’individuo. Durante la mia esperienza formativa universitaria ho soprattutto imparato: il francese, l’inglese, la redazione di testi e migliorato le mie capacità di comunicazione, sintesi, analisi, concettualizzazione, progettazione, organizzazione del lavoro e lavoro di gruppo. Vi sembra un curriculum? In effetti queste sono qualità sempre più ricercate sul mercato del lavoro.
Lo studio è anche un’occupazione quotidiana e un mondo composto da luoghi e da persone che interagiscono tra di loro. Durante la mia esperienza formativa ho vissuto in città, ho imparato a convivere con altre persone, ho sviluppato un pensiero politico e filosofico mio personale, ho conosciuto professori, studenti, rifugiati con cui ho scambiato opinioni sulla vita, la politica, la spiritualità, la formazione, ecc. Lo studio non rappresenta solo cosa vogliamo fare da grandi!

Desidero, con questo articolo, condividere i miei pensieri, perché lo studio e la ricerca, a volte, è anche sentirsi soli davanti a un computer e sentire la mancanza di casa. Inoltre, il mio intento con questa riflessione è di rendere attenti quelli che, ancora imperterriti, già assillano i bambini con la famosa domanda: cosa farai da grande? Farai un apprendistato o andrai a studiare?
Propongo di smetterla di valorizzare le solite quattro professioni e di suddividere gli adolescenti in due categorie ormai troppo distinte. Bisogna sostenere i giovani e stimolarli a sviluppare le loro capacità personali e a approfondire i loro interessi. C’è così tanta competizione sul mercato del lavoro che: più si avranno sviluppate delle capacità differenti e delle aspettative professionali flessibili, maggiore sarà la probabilità di trovare un posto di lavoro.
Ma soprattutto, e così concludo e parlo anche a me stessa, non dimentichiamoci, quando insegniamo e inseguiamo gli obiettivi di formazione e di carriera, dell’importanza della qualità di vita e di tutti quei valori che a volte si perdono nel tram tram del nostro quotidiano.


Lucrezia Albertini
studentessa in antropologia all’università di Neuchâtel