La possibile assenza delle autorità russe dal Forum economico mondiale (WEF) di Davos (GR), già ventilata dal premier Dmitri Medvedev, “non intaccherà assolutamente il prestigio della Russia nell’economia globale”. Lo ha detto il presidente Vladimir Putin parlando alla stampa russa a margine dell’East Asia summit a Singapore. La presenza russa nei Grigioni si è comunque già fatta vieppiù modesta dal 2014.
Gli organizzatori del WEF, che si svolge ogni anno a gennaio, avrebbero vietato secondo notizie di stampa (ne ha riferito l’autorevole quotidiano britannico Financial Times lo scorso 6 novembre) la partecipazione all’evento agli oligarchi russi Oleg Deripaska, magnate dell’alluminio che controlla En+ Group, e Viktor Vekselberg, patron della società di partecipazioni Renova (attraverso cui controlla anche i gruppi industriali svizzeri Sulzer, OC Oerlikon e Schmolz+Bickenbach), nonché al capo della banca statale russa Vtb Andrei Kostin. Tutti e tre sono sotto sanzioni statunitensi. E proprio gli Usa avrebbero esercitato pressioni sul WEF. Quest’ultimo ha rifiutato di esprimersi sulla
vicenda.
“Se qualcuno impone restrizioni ad eventi di questo tipo – ha dichiarato il presidente russo – si spara a un piede, distrugge la base della propria attività”. Putin ha aggiunto che gli imprenditori russi “hanno il diritto di decidere da sé se partecipare o meno” al forum in terre retiche.
“L’esclusione di questi uomini d’affari è un’iniziativa curiosa da parte degli organizzatori dato che Davos è un evento privato”, ritiene Charlie Robertson, capo economista della società finanziaria Renaissance Capital, interrogato dall’agenzia di stampa Afp. “Non ci saranno conseguenze; è come se non si fosse invitati a una festa. È tutta una questione di ego”.
La presenza della Russia al WEF, un tempo appariscente, è divenuta sempre più discreta negli ultimi anni, per effetto delle sanzioni e del rallentamento economico nel Paese. Putin, che aveva tenuto il discorso di apertura nel 2009 quand’era primo ministro, non è mai più tornato nella stazione turistica retica.
Per la Russia postsovietica la manifestazione grigionese è stata dapprima l’occasione per mettere in mostra davanti alle élite mondiali la ricchezza accumulata dai suoi oligarchi con il passaggio all’economia di mercato, poi la forza dei suoi conglomerati di Stato costituiti durante l’amministrazione di Putin, anche grazie al boom del petrolio negli anni 2000. È a Davos che gli uomini d’affari russi nel 1996 decidono di sostenere la rielezione di Boris Eltsine, in difficoltà di fronte al candidato comunista, alla presidenza del Paese.
La presenza russa a Davos ha iniziato a scemare in particolare dopo le prime sanzioni occidentali contro Mosca in seguito all’annessione della Crimea, allora ucraina, nel 2014. Dopo l’edizione dello scorso gennaio, Pael Baev, ricercatore associato all’Istituto francese delle relazioni internazionali (ifri) ha sostenuto che la presenza russa era “insignificante” e ha ricordato l’epoca in cui “gli affari russi generavano un’attenzione smisurata”. Per l’esperto non sorprende che l’élite economica mondiale non si interessi a “questa potenza vacillante, generatrice di problemi” e segnata dalla corruzione.
Secondo l’analista Chris Weafer, interrogato dall’Afp, “il Paese è costantemente immerso in qualche forma di crisi” dal 2008, ma in termini di sanzioni, “il 2018 ha rappresentato una svolta” con la pubblicazione da parte di Washington di una serie di oligarchi minacciati di essere posti su una lista nera.
Waefer ritiene che, malgrado le attuali tensioni, gli investitori russi saranno nei Grigioni in gennaio, anche se meno numerosi. L’assenza dal WEF sarebbe “un ulteriore passo verso l’isolamento”. Per l’analista, la minaccia di Medvedev va interpretata come mossa
di politica interna per mostrare che la “Russia non si lascia calpestare”.
Ats