C’è un’atmosfera davvero speciale quassù, in Alta Valtellina, una specie di “confusione controllata” che si alimenta di sorprese ed entusiasmo sportivo. È la due giorni più attesa della Valtellina, quella che porta tra queste montagne candidate alle Olimpiadi 2026 gli uomini della discesa libera e del super gigante e con loro tutta l’effervescenza dell’imponente organizzazione di Coppa del Mondo. Sono giorni di festa, in cui il profumo del Glühwein (qui noto come vin brulè) inebria turisti e cittadini e regala ai vicoli del borgo un calore che sa di antico.
Dalla storica Piazza del Kuerc, il cuore della Bormio antica realizzata nel XIV secolo come luogo di adunanze e di giustizia, la Stelvio illuminata incute meno timore, quasi fosse un dolce declivio che porta in paese. È quando ci si inerpica ai bordi del tracciato che ci si rende conto di quanto sia ripida; uno scivolo perfettamente preparato, con passione e sapienza, nonostante l’avarizia delle precipitazioni nevose. Basta superare il megaschermo sotto cui si assiepano molti tifosi e salire verso il bosco di betulle per scoprire una Stelvio assai tecnica, abitata dagli addetti ai lavori, personale sul campo e tecnici delle riprese televisive. Quassù il fruscio degli sci degli atleti che affrontano le ultime porte e spariscono dietro il salto finale che immette sul traguardo è forte e chiaro, a conferma del ghiaccio che rende la pista un difficile banco di prova.
Per un appassionato di sci, vivere una gara di Coppa del Mondo è come vivere il proprio sogno; che si sia o no atleti, si respira l’aria adrenalinica della competizione; lontani quanto basta dal traguardo per non restare travolti dall’allegro frastuono dei cori dei tifosi e della musica, si vive l’attesa dell’atleta, se ne osservano le evoluzioni, se ne respira la tensione, immaginando la fatica delle ultime porte, con lo striscione del traguardo quasi in vista. Quanti anni sono passati dal quel lontano 1985, in cui Bormio ospitò per la prima volta i mondiali, quando su questa stessa pista si confrontarono atleti del calibro di Franz Klammer e Pirmin Zurbriggen (al suo rientro dopo un intervento al menisco). Decenni che hanno trasformato lo sci, il modo di concepire la sicurezza di attrezzi e tracciati; non è cambiata, invece, la capacità di emozionare, di coinvolgere gli appassionati in un abbraccio empatico che non è così frequente negli sport individuali.
A giudicare dai cappellini delle nazionali indossati dal pubblico, qui c’è una bella fetta del mondo alpino; un tifo ordinato fatto di tanti applausi, non solo per chi vince (la doppietta di Domink Paris è già nella storia dello sci contemporaneo!) ma anche per chi salta o cade. La premiazione sul campo, la cerimonia dei fiori e degli inni, con gli abiti tradizionali della Valfurva e di Bormio, segna la fine degli impegni agonistici ma non certo la festa dei tifosi, che si ritrovano per le vie del borgo ad ascoltare i concerti organizzati per loro e bere in compagnia un bicchiere di vin brulè. Per gli atleti, invece, è già tempo di pensare ai nuovi appuntamenti del 2019, a partire dalla gara di Oslo del 1° gennaio, in attesa delle classicissime di Adelboden e Wengen di metà gennaio.
Chiara Maria Battistoni