La “Vecchia” secondo il rito ambrosiano

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Si è svolto in un clima di festa e grande partecipazione di pubblico, domenica scorsa 10 marzo, il carnevale “vecchio” secondo il rito ambrosiano nel basso brusiese. Il corteo con il carro della “Vecchia” è partito all’imbrunire dal campo sportivo comunale ai Casai per poi sfilare attraverso le case di Zalende, dove nei prati sottostanti era stata preparata la catasta di legna per il grande falò finale.

Parlando con alcuni partecipanti pensionati sembra che più di cinquant’anni fa questa tradizione fosse ancora viva in tutti i villaggi del comune di Brusio, anche se nella parte alta (Brusio e Viano) l’usanza voleva che il rogo con il fantoccio personificante la “Vecchia” venisse bruciato il 1° marzo, mentre a Campascio, Zalende e Campocologno la festa coincideva con la fine del carnevale secondo il rito ambrosiano.

Il rogo della “Vecchia” esercita ancora un fascino non indifferente su grandi e piccini, e la ricorrenza di domenica scorsa – nella sua parte conclusiva – ha visto un concorso enorme di persone, forse intorno alle duecento. Un tempo le ex scuole di Li Geri organizzavano la sfilata del carro con la “Vègia e ‘l vegiùn” di giorno, e i ragazzi che vi partecipavano facevano vibrare con forza i campanacci appesi al loro collo lungo le strade dei paesi, quasi a voler risvegliare la primavera.

A Campocologno il falò con la “Vecchia” veniva però acceso sempre nella tarda serata e vi partecipava tutta la comunità. Anticamente il rogo veniva bruciato presso il Castello di Piattamala (in dialetto “Castelasc”) mentre nella seconda metà del secolo scorso si spostò sempre più a nord, dapprima nell’area che oggi è stata trasformata in “scalo merci” e più tardi nei pressi delle scuole di Li Geri. La sera precedente si teneva anche una festa con musica e ballo a cui partecipavano tutti i giovani non ancora sposati.

È interessante infatti notare come per queste tradizioni folkloristiche in Valposchiavo si intreccino usanze diverse legate ai ritmi della terra e ad antichi culti pagani. E per una volta in più la nostra regione rappresenta un corridoio fra le usanze invalse in Valtellina, da un lato, e quelle dell’Engadina dall’altro. L’usanza del “Popoc da marz” nel comune di Poschiavo e della “Vègia” in quello di Brusio, infatti, oltre ad avere un unico denominatore comune sono paragonabili per importanza al più blasonato Chalandamarz engadinese ed hanno una loro precisa connotazione storico-sociologica.

Anche se un’accurata descrizione delle due tradizioni è rintracciabile nell’inventario del patrimonio immateriale delle regioni alpine presente sul sito interreg intangible search, sorprende un po’ constatare come la Confederazione non abbia ancora censito queste due particolari usanze ancora molto vive nel nostro territorio sul suo sito Tradizioni viventi .


Achille Pola