2021: tra Covid, digitalizzazione e voglia di normalità

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Il 2020 è volto al termine, un anno tormentoso sotto diversi punti di vista e che ci ha messo alla prova nei contesti sociali, culturali ed economici. Con il nuovo anno riproponiamo, su iniziativa del presidente de “Il Bernina” Bruno Raselli, una serie di editoriali scritti da persone vicine al nostro giornale. Persone che abitano la Valposchiavo, la vivono o che la conoscono da molto tempo. I temi trattati sono di libera scelta: pensieri sull’anno nuovo che non potranno prescindere dalla pandemia e dalle ripercussioni che avrà nel prossimo futuro. (Marco Travaglia)

Gianni Rodari

È consuetudine, all’inizio di ogni anno, fare previsioni sull’anno che verrà. Lo si è fatto anche 12 mesi or sono – a maggior ragione – all’alba di un nuovo decennio. L’inizio del terzo decennio del terzo millennio. Manna per i cultori della cabala, un 2020 che risultava simpatico già nella componente numerica, ma non solo. Venti venti appariva piacevole nel suo gioco di parole. Una cifra rotonda, bella anche all’approccio visivo, che evocava positività, non foss’altro che per i grandi eventi in calendario, preludio a notti magiche che gli anni pari sono soliti regalarci.

Tutti sappiamo invece com’è andata a finire. Abbiamo imparato a conoscere il termine pandemia – dal greco pándemos, ciò che interessa tutte le persone – parola finora quasi sconosciuta alle nostre latitudini o utilizzata semmai per evocare avvenimenti e periodi storici di manzoniana memoria o, in tempi meno remoti, l’influenza spagnola di un secolo fa. Nel giro di pochi mesi ci siamo assuefatti a questo termine, così come a fare la contabilità dei numeri che quotidianamente e in modo non sempre ordinato inondano le nostre case, consapevoli che dietro ogni cifra si cela un volto e dietro ogni volto una storia diversa, fatta d’apprensione, ma anche di coraggio, di speranza, ma pure desolante rassegnazione. Abbiamo inoltre imparato che accanto ad ogni rassegna numerica si cela anche il volto di chi nega, di coloro secondo i quali il virus è una semplice influenza, noncuranti dell’eloquente realtà che li circonda, indifferenti al dramma di chi soffre e di chi deve sopportare in lontananza il dolore di chi lentamente muore, in solitudine, senza neppure il conforto di un’ultima parola o un’amorevole carezza.

La pandemia sta inesorabilmente cambiando le nostre abitudini, il mondo del lavoro, le relazioni, le amicizie, l’approccio con la vita quotidiana. Avremo certamente l’era “ante” e “post” Covid. Per molte ragioni l’anno del Covid-19 è stato una sorta di crocevia tra presente e futuro, il lancio definitivo della digitalizzazione, entrata per forza o diletto in ogni casa. Non siamo più obbligati a lasciare il domicilio per recarci al lavoro, le riunioni possono avvenire in videoconferenza, così come la scuola. Si può fare ogni genere d’acquisto online e anche sport e cultura sono fruibili in modo virtuale. Insomma, una prova generale di come potrebbe essere strutturata a breve la vita privata, lavorativa e ricreativa. Sarà veramente questa la realtà di domani? In parte lo è già, ma speriamo non venga trasformato tutto in un orrendo surrogato. E non dico ciò perché sono un dinosauro tecnologico e fatico in generale a rincorrere il nuovo che avanza. Sono convinto che la crescita della società non può prescindere da incontri e condivisione, al di là degli aperitivi virtuali (mamma mia che brutta cosa… ) e di ogni vantaggio che la tecnologia offre. Un fattorino d’oltralpe mi ha raccontato alcuni giorni fa d’aver consegnato, in una sola settimana, settanta pacchetti allo stesso nucleo familiare. Distorsione al sano utilizzo dello shopping domestico, l’altra faccia della medaglia.

Come sarà allora il 2021? Provo ad immaginarlo come nella filastrocca “Nuovo Anno” di Gianni Rodari: “L’anno nuovo come sarà? Bello, brutto o metà metà? Trovo stampato nei miei libroni che avrà di certo quattro stagioni, dodici mesi ciascun al suo posto, un Carnevale e un Ferragosto e il giorno dopo del lunedì sarà sempre un martedì.” Chissà se il grande Rodari avrebbe usato le stesse parole nel 2020. Difficile pensare che il 2021 sarà un anno normale, ma gettiamo le premesse affinché lo possa diventare, tutti ne sentiamo il bisogno.


Piero Pola