Giornata della memoria: morire di scarpe

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Scarpe raccolte e conservate nel museo di Auschwitz - CC BY-SA 3.0 - immagine da Wikipedia - Author Pensierarte

Se hai l’impressione di essere nato a una distanza di sicurezza rispetto allo sterminio, come puoi non considerare te stesso un sopravvissuto? [Affinati, 1998]

Ha preso bene la mira chi ha scritto questa frase, perché ti colpisce in un punto preciso, sensibile e fragile insieme, e ti chiama in causa.
Oggi, 27 gennaio, torna la Giornata internazionale della Memoria, dedicata alle vittime dell’Olocausto, ma non solo, direi proprio dedicata ad un’umanità intera perché non dimentichi.

Memoria è la capacità di conservare traccia, per questo la sola commemorazione, intesa come rituale, potrebbe non bastare e finirebbe per allontanare sempre più l’evento reale e storico dalla concretezza.
Conservare traccia significa riportare all’ascolto ancora e ancora le testimonianze dei sopravvissuti, anche se sono sempre meno, anche se tra qualche anno non ve ne saranno più. Rimarranno però i loro scritti, le loro esternazioni, le loro fotografie.
Così come rimangono le parole di Primo Levi, chimico, scrittore, poeta, deportato ad Auschwitz nel 1944, sopravvissuto al lager e morto nel 1987. In un’intervista durante un viaggio effettuato 40 anni dopo quello tragico della sua deportazione, Levi racconta come siano spesso piccole cose concrete ad avere un grande e violento effetto evocatorio. I treni merci per esempio, che sfrecciavano davanti al suo finestrino, dove ora stava comodamente seduto, scatenavano immediatamente un riflesso incondizionato, devastante. Poi gli odori: allora come adesso, racconta Levi, l’ingresso nelle città polacche era segnato dall’odore del malto tostato e da quello acre del carbone che brucia; ecco, quelli rimarranno per lui sempre gli odori della Polonia e del Lager.
La memoria rievoca altre tracce: vicino al suo campo passava una strada di campagna, quasi sempre deserta, ma a volte, da dietro il reticolato, vedevano passare dei pullman che portavano al lavoro degli operai polacchi. Su uno di questi veicoli c’era una scritta: beste Suppe, Knorr Suppe! Pareva loro così irreale, racconta Levi, che si potesse scegliere tra una zuppa migliore o peggiore!
E non è vero, continua Levi, che nei campi di concentramento ci si adattava a tutto. Si moriva proprio perché non ci si sapeva, né poteva adattare. Si moriva di scarpe, per esempio. Ti gettavano addosso due scarpe scompagnate, neanche dello stesso numero, magari una col tacco e una senza, una stretta, una larga e i piedi si ferivano, si infettavano, si gonfiavano. I piedi gonfi e infetti non erano ammessi all’infermeria, troppo comuni e frequenti per esser riconosciuti come malattia. Chi aveva i piedi gonfi finiva in camera a gas.

Tracce, conservate per nutrire la memoria. Per permettere all’umanità intera di sviluppare una specie di immunità, affinché un simile orrore non si ripeta.
Tracce, raccontiamole.


Serena Bonetti

1 COMMENTO

  1. Buon giorno Serena
    Giusto ricordare quanto qualcuno ha tremendamente sofferto. Vorrei riproporre quanto menzionato nel mio commento di un pò di tempo fa, volgendo il pensiero verso la sorte di Jeannine
    Alle volte ci penso e non posso fare a meno di ricordare la fortuna inconcepibile di essere arrivato su questo pianeta al posto e al momento opportuno. Mi auguro che i Tuoi pensieri vengano letti da più persone. Essi invitano alla riflessione.
    Cordialità
    Mario Costa