Profumo di casa

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Il 2020 è volto al termine, un anno tormentoso sotto diversi punti di vista e che ci ha messo alla prova in vari contesti. Con il nuovo anno riproponiamo, su iniziativa del presidente de “Il Bernina” Bruno Raselli, una serie di editoriali scritti da persone vicine al nostro giornale. Persone che abitano la Valposchiavo, la vivono o che la conoscono da molto tempo. I temi trattati sono di libera scelta: pensieri sull’anno nuovo che non potranno prescindere dalla pandemia e dalle ripercussioni che avrà nel prossimo futuro. (Marco Travaglia)

Spero di non essere ripetitiva, in questo editoriale, parlando di pandemia, virus e lockdown. Il Bernina ha affrontato poco tempo fa l’argomento di come i giovani abbiano vissuto questo periodo, ma ci tenevo ad esprimere un pensiero un po’ più articolato su una cosa che ho riscoperto durante questo 2020: casa.

Facciamo un passo indietro. A marzo la pandemia ha colto impreparata gran parte della popolazione. Devo ammettere che per me è stata davvero come un interruttore, ON – OFF. Con un po’ di imbarazzo ripenso alla sera del 12 marzo, un giovedì. Era il compleanno di un’amica e non si era esitato a festeggiare. Prima un aperitivo al bar dell’Uni, dove la birra costa meno e si sta stretti, poi una pizza in centro. Una serata spensierata, che a pensarci ora sembra quasi surreale.

Ricordo che quella sera il virus, nonostante fosse già presente in Svizzera, ci sembrava così lontano. Ma dopo tre fette di pizza, ecco scattare l’interruttore: OFF. Una breve e-mail comunicava agli studenti che il politecnico sarebbe rimasto chiuso dal lunedì seguente fino a settembre.

A settembre?! Penso di poter parlare per tutti i presenti al tavolo se dico che, ingenuamente, ci sembrò di cadere dalle nuvole. Di colpo la pandemia, nelle nostre vite, iniziava ad esistere.

Il brusio al tavolo si era smorzato e all’improvviso tirava un’aria strana. Il ricordo, per quanto banale, che mi rimarrà per sempre impresso nella mente è il tram di quella sera. Sarò probabilmente suggestionabile, ma giuro di non aver mai visto un tram così deserto.

La mattina dopo ho fatto i bagagli, e alle 17 stavo varcando la porta di casa. Non immaginavo che ci sarei rimasta per i seguenti tre mesi. Erano cinque anni che non passavo più di alcune settimane a casa. Il tempo è volato, adattandosi ai ritmi delle lezioni online, alle “ore d’aria” e agli aperitivi a distanza. Ho imparato ad apprezzare casa, i pranzi pronti, le passeggiate pomeridiane, il silenzio e l’arrivo della primavera. Al contempo non nego che non vedevo l’ora di poter tornare ad attendere un tram, a sbuffare per i posti occupati in auditorio e per l’attesa in mensa.

Sono stati mesi in cui ci siamo stupiti davanti alla potenzialità della tecnologia, riscoprendo però il valore di un contatto umano. Quando a giugno ho deciso di tornare a Zurigo, per la prima volta ho sentito una sorta di malinconia varcando il Bernina. È stata una sensazione strana, che non credo di aver mai provato prima. A 16 anni morivo dalla voglia di andare via, di sentirmi grande e indipendente. È un sentimento sano da provare a quell’età, e penso che vivere in una valle periferica che ti obbliga ad andare via di casa presto sia in fin dei conti un vantaggio per la crescita personale. La pandemia mi ha obbligato a riscoprire casa, i miei genitori, a rivalutare la mia valle cinque anni dopo. È stato illuminante. Credo che questi mesi di stop tra le montagne di casa siano serviti a far maturare un affetto e una malinconia per la valle che, per la fretta che avevo di andare via, non si erano mai sviluppati. Non sono quindi solo le flotte di turisti ad aver scoperto quest’anno la nostra piccola realtà, ma anche chi ci è cresciuto senza rendersi conto del proprio privilegio.

Non nego di essermi quasi emozionata, a settembre, tornando al tran tran quotidiano, tra il rumore della città e la frenesia della gente, ma so che dentro di me esiste ora una nuova consapevolezza: quella di casa.


Matilde Bontognali