Un elogio dell’imperfezione. Danza e poesia nell’opera di Annie Hanauer

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Penso alla danza come all’espressione della perfezione del movimento e all’esaltazione dell’armonia e della forza di un corpo integro. Lo spettacolo portato in scena a Poschiavo dall’artista statunitense Annie Hanauer nega tuttavia volutamente questo secondo aspetto. Un danzatore cieco, una ballerina che si muove con l’ausilio di stampelle, una danzatrice con un braccio artificiale, mostrano al pubblico la fragilità di un corpo mutilato e limitato. La danza si trasforma in un appello a considerare la dignità e la bellezza dell’umanità imperfetta, e il suo diritto ad esprimersi, a mostrarsi, a dialogare, a creare arte. A non essere relegata nel silenzio e nell’invisibilità.
La danza di Giuseppe Comuniello racconta di un’immersione in acque profonde, parla delle sensazioni tattili in un mondo subacqueo, dello scorrere sul viso delle bolle d’ossigeno liberate dal boccaglio, delle varie pressioni esercitate sul corpo dall’acqua. E il pubblico non vede con gli occhi – se non quelli dell’immaginazione -, ma tocca, accarezza, esplora con le mani e percepisce attraverso il corpo. L’avanzare strisciando sul palco, a brevi scatti, di Laila White, colpita dalla poliomelite, e che a un certo punto si alza e si dondola appoggiata sulle stampelle, è il suo incontro con il mondo fuori dal campo profughi algerino nel quale è nata e cresciuta. Le evoluzioni di Annie, il vorticoso ed elegante movimento delle sue braccia – uno dei quali artificiale – evocano il suo lavoro, la sua fatica, la sua stanchezza, il suo bisogno di riposo. E si placano nel sonno ristoratore, a casa dei suoi, in una notte di Natale.
Ciascuno dei tre protagonisti racconta la propria storia, ognuno ammette apertamente di essere la propria biografia, ognuno è solo. E nel contempo tutti cercano – lo ripetono le voci che si sentono durante lo spettacolo e il canto del quarto attore in scena, Deborah – un linguaggio, una visione, un racconto che possano avvicinarli, accomunarli, indicare una direzione e un cammino da seguire insieme.
Lo spettacolo andato in scena a Poschiavo nel corso del finesettimana, intitolato “A space for all our tomorrows” (che in italiano si potrebbe rendere con “uno spazio per tutti i nostri domani”) non è semplicemente un invito a riconsiderare la condizione di chi è disabile, a solidarizzare con la ricerca di senso degli artisti in scena, o da interpretare solamente alla luce dei limiti e delle mutilazioni di quei corpi. Perché le domande che solleva riguardano tutti, in un mondo frammentato, in cui ciascuno finisce per essere solo con la propria storia, in cui si sbriciolano le grandi narrazioni e in cui – scomodando il poeta Salvatore Quasimodo – “Ognuno sta sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”. E allora le parole di Deborah Lennieh, che durante lo spettacolo canta: “Non dimenticarti di dirmi se lo sai. Parleremo e parleremo e parleremo, finché non sentiremo qualcosa. Cammineremo e cammineremo e cammineremo finché non arriveremo, da qualche parte. In qualche modo. Da qualche parte. Qualcuno. Tu. Io. Loro. Noi”, diventano le parole di tutti, la speranza di tutti, il desiderio di tutti. Per trovare insieme uno spazio, in un domani migliore. Che potrebbe iniziare già oggi.

Annie Hanauer, “A space fo all our tomorrows”, spettacolo presentato presso le palestre comunali, nell’ambito della “Festa danzante, Poschiavo 12-14 maggio”, a cura dell’associazione “riverbero”