Nell‘aula della Comunità Riformata di Poschiavo, lo scorso 1 ottobre, si è tenuta un’importante presentazione letteraria, che ha riunito 25 partecipanti ansiosi di scoprire il libro “La pastora illegale. Vita di Greti Caprez Roffler (1906-1994)”, scritto con passione da Christina Caprez, e introdotto da Daria Pezzoli Olgiati. Questo evento, curato dal pastore Paolo Tognina, ha offerto ai presenti un’esperienza unica, durante la quale sono state lette toccanti epistole della nonna Greti, intervallate da preziose testimonianze dei suoi discendenti. Le immagini catturate nel corso degli anni e un documentario di 18 minuti, curato dalla stessa autrice, hanno arricchito ulteriormente questa affascinante presentazione, che ha gettato luce su una figura straordinaria e poco conosciuta della storia svizzera.

Sono una donna, voglio essere madre e pastora, non sono una santa
“Sì, sono una donna, voglio essere madre e anche pastora”, ma non sono una santa.
«São Paulo, 16 febbraio 1930. Cara mamma, stiamo seriamente prendendo in considerazione l’idea che forse potremmo avere un figlio a fine gennaio 1931. Questo sarebbe il mio piano: concepimento all’inizio di maggio (e andrà proprio come vogliamo!). Inizio ottobre viaggio. Fine ottobre esami. In novembre, dicembre e gennaio starei con voi, e partorirei mio figlio da te».
Lei è Greti Caprez Roffler, nata nel 1906 in Prettigovia.
Vuole essere madre: magari imponendosi alla Natura! E la Natura si adegua: il 24 gennaio 1931 effettivamente nasce a Igis il primogenito Gian Andrea!
Che donna!
Nella sua lettera cita poi un viaggio e degli esami: vedremo più avanti.
Nell’Aula della Comunità riformata di Poschiavo, domenica scorsa 1. ottobre, sono convenute 25 persone per la presentazione del libro “La pastora illegale. Vita di Greti Caprez Roffler (1906-1994)”, scritto dalla nipote Christina Caprez, prefato da Daria Pezzoli Olgiati ed edito da Armando Dadò, Locarno.
La presentazione dell’autrice e del testo e della tematica è stata curata da Paolo Tognina, pastore in Valle, con la ben nota acribia, non priva di ironia, talvolta amara.
Questo l’ulteriore svolgimento: Christina ha letto alcuni passi, di epoche diverse, di lettere della nonna Greti, aggiungendo testimonianze di figli e nipoti. Una serie di fotografie hanno accompagnato la lettura, come anche un documentario di 18 minuti curato da Christina per la Televisione svizzera.
Di quanto è scritto nella prima parte del titolo di questo articolo (Sono una donna, voglio essere madre) abbiamo dato esauriente testimonianza citando la lettera.
Voglio essere pastora
Nel 1925 Greti si scrisse alla Facoltà di Filologia classica a Zurigo, per poi passare presto alla Facoltà di Teologia. Nel 1929 si sposa con Gian Caprez, ingegnere. Quasi subito partono per il Brasile, dove l’ingegnere ha trovato lavoro. Dopo un anno il ritorno in nave. Qui in una lettera Greti narra meravigliata del lussuoso e appropriato arredamento della nave (ed erano in seconda classe!). Lei cita il nome della nave: Conte rosso. Non poteva prevedere che dieci anni dopo il superbo transatlantico venne affondato da siluri britannici nel Mediterraneo. Nel naufragio perirono oltre 1200 marinai e fanti italiani.
Sbarcata a Genova raggiunse Zurigo, dove in ottobre sostenne gli esami finali. Il suo obiettivo, come abbiamo visto, era diventare pastora. Non fu facile, ma il 13 settembre del 1931 Greti entro in carica a Furna (sempre in Prettigovia). Lei aveva venticinque anni, era madre, e fu scelta malgrado le disposizioni contrarie del Consiglio ecclesiastico della Chiesa evangelica riformata dei Grigioni (che alla fine tagliò fondi alla piccola comunità). Per Greti e i suoi familiari (nel tempo arrivarono altri cinque figli) furono anni molto importanti di formazione sul campo e di realizzazione. Malgrado l’ottimo rapporto con i Walzer di Furna non finì al momento bene (nel ’34 l’addio al pastorato). Nel 1963, a Zurigo, nel Grossmünster, Greti e undici altre teologhe furono finalmente ordinate pastore.
Questa sua ostinazione nel volere aprire una breccia nella maschilistica struttura e mentalità della Comunità riformata era stata preceduta una dozzina di anni prima da un paio di pioniere teologhe zurighesi.
Maschilismo nella Chiesa riformata e dunque lei femminista audace.
Ordinazione femminile nel Cristianesimo
Qui si impone una parentesi. Tognina ha ricordato che tutte le chiese riformate nel mondo sono arrivate all’ordinazione femminile da tempo (in America già dalla seconda parte dell’Ottocento). Niente da fare per il Cattolicesimo e l’Ortodossia.
Però proprio in questi giorni papa Francesco, rispondendo a cinque cardinali conservatori, si è espresso, sempre molto cautamente. «Non è stata ancora sviluppata esaustivamente una dottrina chiara e autorevole (…) Quando parliamo della potestà sacerdotale siamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità (…) Se questo non viene compreso e non si traggono le conseguenze pratiche di queste distinzioni, sarà difficile accettare che il sacerdozio sia riservato solo agli uomini e non potremo riconoscere i diritti delle donne o la necessità che esse partecipino, in vari modi, alla guida della Chiesa», il monito di Francesco.
Greti, santa subito?
Tornando a Greti, rimane l’ultima definizione: “Non sono una santa”. In realtà lei non si è mai così espressa, è invece una constatazione della nipote Christine. Costei ha ricordato che la nonna col passare del tempo si dimostrò sempre più conservatrice, arrivando persino a dichiarazioni che si possono classificare purtroppo come xenofobe e razziste. Al di là del pensiero politico c’è stata una situazione che ha fatto molto riflettere la nipote Christine e cioè il periodo di “assistenza spirituale alle donne dissolute”, rinchiuse nelle celle dell’Istituto correzionale Realta.
Scrive Christine: «Dalla metà del diciannovesimo secolo fino agli anni Sessanta le autorità prendevano di mira persone dissolute, scansafatiche o poveri vagabondi. Molte di queste persone non si era macchiate di reati e nemmeno chiedevano il sostegno statale, ma semplicemente non vivevano in conformità con il decalogo delle virtù borghesi, come scrive la storica Tanja Rietmann nel suo studio sulle misure di internamento coatto a scopo assistenziale nei Grigioni del 19° e 20° secolo. I criteri di valutazione erano molto differenti: agli uomini si rimproverava la poca voglia di lavorare e l’alcolismo, alle donne la mancanza di moralità perché vivevano la loro sessualità al di fuori del matrimonio o perché avevano messo al mondo un figlio illegittimo Di conseguenza fannulloni e dissoluti dovevano essere rinchiusi nel istituto di correzione Realta, dove scomparivano a volte per anni dietro le grate. Lavoravano nell’agricoltura, negli atelier di cucito o negli scavi del Reno, che proprio vicino all’istituto si faceva strada con molte ramificazioni attraverso i territorio. Fino agli anni Trenta coloro che a Realta erano considerati a rischio di fuga, portavano delle catene. Greti non criticò nel diario né le condizioni a Realta, né l’internamento di donne che non corrispondevano alla norma. Secondo lei le donne internate nella Correzione erano personalmente responsabili de loro situazione. Tanto la pastora era aperta sul tema de sessualità all’interno del matrimonio, tanto meno lo era invece nei confronti del sesso fuori dal matrimonio. Nei suoi rapporti espresse raramente critiche, peraltro blande, sul fatto che a Realta venivano internate persone che ai suoi occhi non dovevano essere confinate in questo istituto».
Giova forze ricordare che recentemente al Festival cinematografico di Venezia è stato presentato il film “Lubo” sulla comunità Jenisch. “In pratica l’esercito elvetico reclutava forzatamente gli uomini, mandandoli al confine, poi rapiva i bimbi per strapparli alla loro cultura d’origine e rieducarli presso altre famiglie con nuovi nomi rendendoli irrintracciabili. Non è la prima volta che il cinema affronta questa questione obbrobriosa, che peraltro è andato avanti sino agli anni ‘70. Lo aveva fatto Valentina Pedicini con Dove cadono le ombre (sulla storia di Mariella Mehr), e Urs Egger con Kinder der Landstrasse”, scrive Antonello Catacchio sul quotidiano Il Manifesto.
La voce dei figli e dei nipoti
Non sono mancate note liete nel corso della serata, sempre da passi del libro. Molto interessante i colloqui di Christine con zii e cugini aventi per tema la figura della nonna Greti. Ne ricordiamo un particolare. Lei aveva educato i figli al lavoro domestico senza distinzione nei sessi. Ai maschi aveva insegnato anche a cucire, ricamare e lavorare a maglia. Christine ha chiesto agli zii se loro parlassero ai compagni delle loro abilità domestiche: «Nemmeno per sogno lo abbiamo fatto!».